DI PETER SINGER E AGATA SAGAN
blogs.nytimes.com
Lo scorso ottobre, a Foshan in Cina,
una bambina di due anni è stata investita da un furgone. L’autista
non si è fermato. Nei sette minuti successivi all’incidente, più
di una dozzina di persone sono passate, a piedi o in bicicletta, davanti
alla bambina ferita, senza fermarsi. L’ha travolta anche un secondo
furgone. Alla fine, una donna l’ha trascinata sul ciglio della strada
e poi è arrivata la madre. La bambina è morta in ospedale. La scena
dell’incidente è stata filmata e ha destato grande scalpore quando
è stata mandata in onda da una rete televisiva e poi mostrata online.
Un evento simile è accaduto a Londra nel 2004, come in molti altri
posti, lontano dagli occhi delle telecamere.Eppure la gente può comportarsi
in modo diverso e spesso lo fa.
Se lanciamo le parole “Eroe salva”
su un motore di ricerca, troveremo sempre nuove storie di passanti che
hanno affrontato treni in corsa, forti correnti marine e incendi violenti,
per salvare degli sconosciuti. Atti di estrema generosità, responsabilità
e compassione sono quasi universali, così come i loro opposti.
Perché certe persone sono pronte
a rischiare la propria vita per aiutare degli sconosciuti, mentre altre
non si fermano nemmeno per chiamare il pronto intervento?
Per decenni gli scienziati si sono
dedicati a questioni del genere. Negli anni Sessanta e nei primi anni
Settanta, i famosi esperimenti condotti da Stanley Milgram e Philip
Zimbardo suggerirono che la maggior parte di noi, in particolari circostanze,
avrebbe volontariamente fatto del male a persone innocenti. Durante
lo stesso periodo John Darley e C. Daniel Batson dimostrarono che anche
alcuni studenti di seminario, sapendo di essere in ritardo per una conferenza
sulla parabola del buon Samaritano, sarebbero passati davanti a uno
sconosciuto ansimante sul marciapiede senza fermarsi. Ricerche più
recenti ci dicono molte cose su ciò che accade nel cervello, quando
le persone devono prendere decisioni morali. Ma siamo davvero vicini
a capire cosa influenza il nostro comportamento morale?
Eppure mancava qualcosa in questi tre
esperimenti: alcune persone facevano la cosa giusta. Un esperimento
recente (sul quale abbiamo delle riserve etiche), condotto presso l’Università
di Chicago, sembra gettare una nuova luce sul perché di certi nostri
atteggiamenti.
I ricercatori hanno preso due ratti
che condividevano la stessa gabbia e hanno intrappolato uno di loro
in un tubo che poteva essere aperto solo dall’esterno. Il ratto libero
ha provato ad aprire la porta e alla fine ci è riuscito. Anche quando
i ratti liberi avevano la possibilità di mangiare una grande quantità
di cioccolato, prima di liberare il topo in trappola, hanno quasi sempre
preferito aiutare il loro compagno. I ricercatori interpretano queste
scoperte come la dimostrazione dell’esistenza dell’empatia. Ma se
è così, hanno dimostrato anche che tra i ratti c’è una varietà
di comportamenti, dato che solo ventitre ratti su trenta hanno deciso
di liberare il proprio compagno.
La causa delle differenze di comportamento
giace nei topi stessi. Sembra plausibile che gli umani, così come
i ratti, non abbiano tutti lo stesso livello di disponibilità
nei confronti del prossimo. Sono stati condotti molti studi anche su
particolari tipi di soggetti, come gli psicopatici, ma c’è ancora
molto da scoprire sulle differenze relativamente stabili (forse radicate
nei nostri geni), presenti nella stragrande maggioranza delle persone.
Indubbiamente, i fattori situazionali
possono fare grande differenza e forse anche le convinzioni morali,
ma, se gli umani sono semplicemente predisposti in maniera diversa ad
agire moralmente, ci sono ancora molte cose da sapere su queste differenze.
Solo allora potremo capire appieno il nostro comportamento morale, incluse
le ragioni per cui varia così tanto da persona a persona, e se c’è
qualcosa che possiamo fare in merito.
Se le continue ricerche sul cervello
mostrano delle diversità biochimiche tra i sistemi neurologici
di coloro che aiutano il prossimo e quelli di coloro che non lo fanno,
ciò potrebbe portarci a creare una “pillola della moralità”
una droga che ci spingerebbe ad aiutare di più gli altri? Considerando
che molti studi mettono in relazione le condizioni biochimiche con l’umore
e il comportamento, e considerando anche la conseguente proliferazione
di droghe che li modificano, non sarebbe un’idea tanto incredibile.
Se così fosse, la gente sceglierebbe di assumerle? In alternativa alla
prigione, ai criminali potrebbe essere data l’opzione di un impianto
che, rilasciando una droga, li rendesse meno inclini a fare del male
agli altri? I governi potrebbero cominciare a sottoporre le persone
a un esame diagnostico, per individuare coloro che hanno più probabilità
di commettere dei crimini? Si potrebbe offrire la “pillola della moralità”
a coloro che sono più a rischio; se rifiutassero, gli si potrebbe richiedere
di indossare un dispositivo di rintracciabilità che mostrerebbe dove
si trovavano in un preciso momento, così saprebbero di poter essere
individuati, se commettessero un crimine.
Cinquant’anni fa Anthony Burgess
scrisse “A Clockwork Orange” [“Arancia meccanica”, ndt],
un romanzo futuristico sul capo di una banda di delinquenti che viene
sottoposto a una procedura che lo rende incapace di violenza. La versione
cinematografica di Stanley Kubrick, del 1971, fece scoppiare un’enorme
polemica e molti affermarono che non saremmo mai giustificati se privassimo
un individuo del libero arbitrio, anche allo scopo di prevenire la più
scabrosa delle violenze. È ovvio che qualunque proposta di creare una
pillola della moralità incontrerebbe la stessa obiezione.
Ma se i processi chimici del nostro
cervello influenzano il nostro comportamento morale, il fatto che l’equilibrio
sia dovuto alla natura o a un intervento medico non inciderebbe sulla
nostra libertà di agire. Se tra noi ci sono delle differenze biochimiche
che possono essere utilizzate per predire se i nostri comportamenti
saranno etici o meno, allora o tali differenze sono compatibili con
il libero arbitrio, o sono la prova che, almeno per quanto riguarda
alcune delle nostre azioni etiche, nessuno di noi ha mai avuto libertà
di scelta. In ogni caso, che il libero arbitrio esista o meno, potremmo
presto trovarci faccia a faccia con delle nuove scelte sulle maniere
in cui siamo disposti a influenzare il nostro comportamento in meglio.
Fonte: Are We Ready for a ‘Morality Pill’?
28.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARILISA POLLASTRO