SI ALLONTANA LA PROSPETTIVA DI UN'OFFENSIVA MILITARE CONTRO L'IRAN?

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DI IGNACIO KLICH
Revista Debate

Il rovescio sofferto dal fronte israelo-statunitense per la cattura di un velivolo spia nella Repubblica Islamica, la campagna elettorale di Obama e la radicalizzazione dei settori ultraortodossi in Israele come fattori chiave per comprendere lo scenario.

Oltre alla detenzione in Iran di un
agente statunitense il cui processo ha avuto inizio a Teheran martedì 27 dicembre, l’inaspettata cattura iraniana di un veicolo aereo non guidato dall’uomo (UAV) nordamericano che violava lo spazio aereo nel paese asiatico costituisce un rovescio militare di grande importanza per gli Stati Uniti. La Central Intelligence Agency (CIA) è fino a questo momento l’unico operatore statunitense del modello Sentinel; l’esemplare catturato è stato costretto ad atterrare nella Repubblica Islamica, mentre stava monitorando il programma nucleare iraniano.
Siccome non si tratta del primo UAV
catturato dagli iraniani – ce ne sono stati altri sei, alcuni dei quali israeliani – anche lo Stato ebraico è coinvolto in questa situazione. Col risultato che il premier Benjamin Netanyahu si è servito di una successiva riunione del suo gabinetto per annunciare la nomina di Evyatar Mataniah come titolare del Direttivo Nazionale di Cibernetica, la struttura centrale della sicurezza israeliana e dei suoi sforzi per mantenersi, con le parole di Netanyahu, tra i paesi alla testa della guerra elettronica.

Dopo questi rovesci isreaelo-statunitensi, l’Iran ha trascorso un mese fitto di infortuni, accidentali e/o provocati dai nemici della Repubblica Islamica, nel novembre scorso. Tra questi, l’esplosione provocata da un attentato o una disattenzione in una base missilistica del Corpo Islamico delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC)
nella periferia di Teheran. Lo scoppio ha provocato la morte di diciassette vittime, tra cui quella del generale Hassan Moghaddam, uno dei responsabili del programma missilistico iraniano. C’è stata anche un’altra esplosione nella città di Esfahan, sede di importanti installazioni
nucleari iraniane.

Di solito molto ben informato, il bollettino statunitense Stratfor ha comunicato di non essere riuscito a identificare gli edifici colpiti dalla seconda esplosione, mostrandosi molto poco convinto dal tentativo delle fonti dell’intelligence ebraica di alimentare “con scarso acume” l’impressione che entrambi gli incidenti fossero stati la conseguenza di operazioni israeliane.

In ogni caso, la cattura del Sentinel
ha provocato le proteste iraniane, pronunciate rispettivamente all’Organizzazione delle Nazioni Unite, all’Organizzazione della Conferenza Islamica e al Movimento di Paesi Non Allineati – anticamera di un vaticinato appello rivolto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, in cui la penetrazione dello spazio aereo iraniano, coi 250 chilometri percorsi da questo UAV fino all’atterraggio nel nordest dalla Repubblica Islamica, è stata descritta come la continuazione di mesi di attività segrete compiute dal governo “statunitense”.

Oltre alla morte di Moghaddam e allo scoppio di Esfahan, l’Iran è stato testimone dell’irrigidimento delle misure punitive di Washington e dei suoi alleati per il suo programma nucleare, dopo il parere negativo dato da Mosca e Pechino per dare un
altro giro di vite al regime di sanzioni del Consiglio di Sicurezza. Anche se per molti questo programma maschera l’ambizione iraniana di dotarsi di un’arma atomica, secondo la versione di Teheran si tratta di un uso pacifico dell’energia nucleare. Paradossalmente, la posizione russo-cinese si basa sulla convinzione dei militari statunitensi che l’Iran non sia ancora riuscito a concepire, tanto meno a mettere in pratica, la costruzione di armi nucleari. Ma è sicuro che stia accaparrando risorse di possibile utilità.

Tali acquisti nutrono l’allarmismo del governo israeliano, ovviamente interessato a conservare i vantaggi
politici derivanti del suo monopolio regionale nelle armi nucleari. Non sorprende quindi che vari candidati alle presidenziali e altri commentatori
vicini alla destra repubblicana statunitense stiano sparando a zero sul presidente Barack Obama, vista la sua resistenza nel ricorrere alle soluzioni militari propinate da Israele, prima di aver deciso di sostituire l’Iran con il Pakistan. Nessun Repubblicano dovrà affrontare le conseguenze pratiche delle proprie affermazioni prima che sia noto il verdetto delle urne nel novembre del 2012.

Chi si pavoneggia e chi traccheggia

Con queste premesse è ovvio l’interesse di Teheran nel pubblicizzare la cattura del Sentinel – progettato per evitare il rilevamento dei radar nemici – come un significativo risultato ottenuto dall’Iran. Si comprende quindi lo sfoggio di propaganda, in sintonia con lo status iraniano di potenza regionale di Hossein Salami, vicecomandante dell’IRGC, sulla forbice non molto ampia “tra noi e gli Stati Uniti, o il regime sionista e gli altri paesi sviluppati“.

Al contempo, sarebbe sciocco ignorare che Washington stia cercando di sminuire questo risultato e di indicare che Teheran abbia tratto beneficio da un cattivo funzionamento del Sentinel e da errori operativi che hanno causato la perdita di altri UAV per difetti e condizioni climatiche avverse. Fonti ufficiali iraniane, invece, insistono su un sofisticato attacco cibernetico diretto contro l’apparato. In sintonia col traccheggiare di Washington, il Wall Street Journal ha citato alcuni funzionari statunitensi che sostengono – senza uno straccio di prova a sostegno della loro ipotesi – che il Sentinel sarebbe andato distrutto al contatto col suolo iraniano, e che Teheran sia riuscito a rimontarlo, come se fosse un puzzle, per esibirlo poi in pubblico.

Che la discesa sia dovuta al successo di un’interferenza elettronica iraniana nel GPS del Sentinel – una ragione scartata da vari esperti statunitensi, anche se questa vulnerabilità è nota da anni – o da altre circostanze, il danno causato a Stati Uniti e Israele per la cattura è stato ammesso dagli specialisti di entrambi i paesi. Il Lexington Institute statunitense, ad esempio, considera la perdita del Sentinel un vero “disastro” paventando, anche
nel caso in cui si sia disintegrato toccando terra a Kashan, che tra i resti ci siano comunque segreti da poter ricavare. Da parte sua, il sito DEBKAfile ha sottolineato lo stato di “shock” dei servizi di intelligence dei due paesi, vista la “clamorosa debacle
che questa cattura comporta per la tecnologia degli UAV implementata da Stati Uniti e Israele.

In effetti, le implicazioni vanno dalla
possibile penetrazione iraniana dei codici segreti che guidano le azioni del Sentinel gestite via satellite dagli Stati Uniti e da altri luoghi, fino al più sicuro accesso dell’Iran e di altri paesi a un tesoro di segreti tecnologici sui materiali per evitare il rilevamento di radar, i sistemi di rilevamento di immagini, i sensori speciali per monitorare le conversazioni e per localizzare particelle nucleari o i contatti tra le reti di comunicazione.

Per questo, Washington dovrà rispondere a una serie di vulnerabilità, non solo quelle associate
al GPS ma anche altre messe in evidenza quando, ad esempio, elementi
avversi alla presenza statunitense in Iraq riuscirono a scaricare le
immagini raccolte da un altro drone, realizzando le contromisure per
eliminare in futuro eventuali recidive. Ciò è tanto più necessario per un ipotetico attacco all’Iran anche alla luce dell’avvertimento del Segretario di Difesa statunitense, Leon Panetta, che ritiene che quanto è accaduto sia d’ostacolo al proseguio dei voli di monitoraggio.

Tra le righe della dichiarazione di
Panetta, si può notare, dalla già citata pubblicazione ebraica, che il Sentinel in mani iraniane può avviare la prossima e più dura “fase” di guerra cibernetica contro la Repubblica Islamica. In passato questa lotta obbligò l’Iran a sostituire buona parte delle centrifughe impiegate nell’impianto di arricchimento di uranio a Natanz grazie alla penetrazione
dello Stuxnet, un virus informatico sviluppato da Stati Uniti e Israele, come confermato dal New York Times.

Frattanto, Fars e Mehr, due agenzie
semiufficiali iraniane, hanno già rimarcato le richieste di Russia
e Cina per ispezionare il Sentinel, e una ha riportato le affermazioni
di un consulente legale iraniano: l’UAV può svolgere “un ruolo chiave negli scambi dell’intelligence iraniana coi rivali degli Stati Uniti“.

A sua volta, DEBKAfile ha iniziato
a speculare sul prezzo richiesto dall’Iran per accedere alle sollecitazioni
dei russi e dei cinesi: “tecnologia nucleare e missilistica avanzata, l’ultima parola in materia di centrifughe per arricchire l’uranio e il sistema antimissili aerei S-300“. Anche se questo potrebbe essere il prezzo da pagare, ciò che la Repubblica Islamica riuscirà a ottenere dipende, tra gli altri fattori, da quanto capaci siano i propri tecnici a carpire da soli i segreti tecnologici del Sentinel.

Lo stesso bollettino israeliano ha
descritto la recente visita a Mosca del cancelliere israeliano Avigdor
Lieberman come un tentativo per togliere a Teheran la succitata tecnologia e il materiale difensivo russo. Tutto ciò da un lato potrebbe accelerare il programma nucleare iraniano e dall’altro difenderebbe
la sua infrastruttura da un attacco preventivo statunitense o israeliano.
Dopo esser stato brevemente ospitato dal premier Vladimir Putin, Lieberman ha dichiarato che “le posizioni russe in Medio Oriente non sono utili” per il risultato del suo obiettivo.

Con l’intenzione di mettere pressione a Putin, non sorprende una successiva speculazione: accusare la Russia di avere fornito all’Iran la tecnologia necessaria per la cattura del Sentinel. È comunque un fatto ampiamente provato che le necessità
nucleari e di difesa di Teheran sono state sinora una variabile di accomodamento nella relazione della Russia con Washington.

Per questo media israeliano, quindi, la Repubblica Islamica è riuscita a forzare l’atterraggio
del Sentinel, dovendo ricorrere magari a terzi – forse nordcoreani o altri – per ottenere la tecnologia utilizzata dal drone. Comunque, la cautela russa nei confronti di Teheran spiegherebbe il sequestro questo mese a Mosca di materiale radioattivo destinato all’Iran e il riferimento alla Cina, da parte di una delle agenzie di stampa iraniane, come il primo tra gli avversari degli Stati Uniti che potrebbe aiutare l’Iran a recuperare il piano di volo, gli obbiettivi monitorati e altre informazioni di valore del Sentinel.

Non vanno neppure esclusi altri fornitori più insospettabili, come ci ha dimostrato questo mese l’azienda
israeliana Allot Communications, che stava vendendo all’Iran equipaggiamenti elettronici, non necessariamente utili per intercettare gli UAV, tramite un intermediario scandinavo.

In sintesi, la cattura del Sentinel ha aggiunto nuove difficoltà a quelle già esistenti per un attacco all’Iran. Di non minore portata, tra queste figurano il previsto rialzo del prezzo del petrolio nel caso di chiusura iraniana dello stretto di Hormuz, da cui passa un terzo del consumo mondiale di petrolio, un fatto che comprometterebbe il superamento della crisi da parte dei paesi centrali.
Non sono assolutamente casuali l’esercitazione navale iraniana iniziata sabato 24 dicembre a est di Hormuz, una zona in cui operano due portaerei statunitensi, o le dichiarazioni contemporanee di un capo dell’intelligence iraniana, il generale Seyed Hessam Hashemi, che “se le Stati Uniti proseguiranno le attività di spionaggio in Iran, la Repubblica Islamica abbatterà qualunque UAV spia e altri velivoli aggressivi“.

Tutto contrasta la soluzione manu militari, ancora di più quando, secondo fonti militari, questa ritarderebbe solo di due anni il programma nucleare iraniano, a meno che l’attacco non abbia una potenza impensata e che ottenesse
la completa eliminazione dell’infrastruttura nucleare e bellica dell’Iran.
Non sorprende, allora, che Washington si sia astenuta dall’uso della forza per riprendersi il Sentinel o per distruggerlo, dopo che Teheran si è rifiutata di restituirlo senza aver ricevuto scuse dagli Stati Uniti per l’intrusione nello spazio aereo iraniano.

Lucidità e pragmatismo

Con il ritiro dall’Iraq, il disinteresse
di Washington per vedersi coinvolta in un nuovo e indesiderato conflitto
mediorientale e le serie difficoltà di Israele nell’affrontare da sola un’offensiva contro l’Iran – una “enorme stupidità”, per il capo del servizio dell’intelligence ebraica (Mossad) fino a gennaio passato Meir Dagan -, confermano l’utilizzo delle sanzioni economiche e delle operazioni segrete per cercare di fermare l’ipotetica marcia iraniana verso gli armamenti nucleari. Questo scenario non esclude proteggere alleati e amici di Washington presenti nel Golfo con un possibile ombrello nucleare statunitense. Indubbiamente, nei mesi che porteranno ai comizi, le necessità elettorali (e non solo) di Obama porterebbero a non scartare in modo assoluto un’opzione militare, soprattutto nelle quattro settimane che precedono i comizi per massimizzare l’impatto sugli elettori.

Per quanto riguarda lo stato ebraico, Dagan avvertì nel maggio scorso che “chiunque attacchi la Repubblica Islamica deve sapere che può provocare una guerra regionale” in cui l’Iran, tra gli altri, lancerà missili su Israele, un’ipotesi confermata questa settimana – anche se non era necessario – dal Ministro iraniano della Difesa, Ahmad Vahidi. Inoltre, Dagan ha chiarito più di recente che un attacco israeliano può portare gli iraniani in una direzione contraria a quella desiderata, “al tentare di ottenere una capacità nucleare non appena gli sia possibile“. Non c’è dubbio che lo stato ebraico preferirebbe continuare a godere dei vantaggi derivanti dall’essere l’unica potenza nucleare del Medio Oriente. Anche se non riuscisse a mantenere questo status, Ephraim Halevy, predecessore di Dagan nella cupola del Mossad, ha comunque assicurato che “l’Iran non rappresenta un pericolo di vita” per Israele.

Per Halevy, la vera minaccia esistenziale viene portata dalla crescente radicalizzazione dei settori ultraortodossi del giudaismo israeliano. E, come ignorare che, pur avendo espresso la sua preoccupazione per l’ultraortodossia ebraica nel proprio paese, questo ex direttore del Mossad continua a sostenere che lo Stato ebraico è indistruttibile, quando “un’offensiva militare contro l’Iran non andrà a colpire solo Israele, ma tutta la regione per un secolo”?

Vista la sua autorità e il suo occhio clinico sul tema, difficilmente si può dire che Dagan e Halevy siano giunti a queste conclusioni con leggerezza. In ogni caso, si può sicuramente affermare che l’indistruttibilità di Israele non è da relazionare col successo di un’offensiva militare contro l’Iran, tanto che Matthew Kroenig, ex analista del Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti durante la gestione di Obama, ha ipotizzato la settimana scorsa il fallimento probabile di un attacco israeliano. Con parole meno brutali, il presidente Shimon Peres si è così espresso la domenica 25: “Israele ha le sue risposte per la questione iraniana, ma tutto il mondo se ne deve occupare, non deve essere un monopolio dello Stato ebraico.”

Inoltre, tra coloro che convergono
con Dagan e Halevy sulla convenienza di evitare un peggioramento della
situazione con un’iniziativa bellica, non ci sono soltanto quelli che auspicano un Medio Oriente denuclearizzato nel più breve tempo possibile, ma anche i sempre più numerosi israeliani che vogliono porre
fine alla dissuasione nucleare, per i quali portare avanti questo programma aprirebbe nuove possibilità per Israele.

Dopo della firma del trattato di non
proliferazione, lo Stato ebraico potrebbe affrontare, per esempio, con
l’aiuto internazionale, il rinnovamento del sempre più vetusto e, soprattutto, sempre più pericoloso, reattore nucleare di Dimona.

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Fonte: ¿Se aleja la perspectiva de una ofensiva militar contra Irán?

02.12.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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