SECONDA GUERRA MONDIALE: IL RUOLO DECISIVO DEI RUSSI NELLA SCONFITTA DEL NAZISMO

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blankDI ALEKSANDER B. KRYLOV
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Sono notizia recente gli scontri in Estonia tra la polizia e la minoranza russa che protestava per la rimozione del monumento ai soldati dell’armata rossa che liberarono il paese dai nazisti: ennesimo segnale del tentativo di sminuire il ruolo dell’armata rossa nella sconfitta del nazifascismo. In occasione del 62esimo anniversario della vittoria sui nazisti (che per i russi ricorreva il 9 Maggio) è doveroso ricordare l’immane sacrificio del popolo russo che, con la vittoria a Stalingrado e nella battaglia di Kursk, rovesciò l’esito della seconda guerra mondiale. Ben prima dello sbarco in Normandia. N.d.r.

La battaglia di Kursk per gli storici britannici, o il nazismo che venne dall’Ovest

Alcune tendenze degne di nota continuano a comparire negli studi storici britannici e statunitensi circa la Seconda Guerra Mondiale e particolarmente sugli ultimi anni del conflitto. Fino a poco tempo fa, gli studenti inglesi e statunitensi si concentravano prevalentemente sugli eventi relativi al Fronte Occidentale (la battaglia di El Alamein, lo sbarco in Normandia, l’offensiva delle Ardenne, ecc…). C’è una ben precisa ragione dietro l’enfasi assegnata alle operazioni compiute dagli Alleati: tale approccio creava tra la gente la falsa impressione che USA e Gran Bretagna sole avessero sconfitto la Germania (venne scoperto che, in certi casi, studenti inglesi e statunitensi effettivamente credevano che la Russia fosse alleata con la Germania nella Seconda Guerra Mondiale).Questa, chiamiamola ‘interpretazione storica’, divenne canonica in Occidente a partire dall’avvento della Guerra Fredda, dal momento in cui, aderendo ad una sorta di “approccio di classe”, W. Churchill screditò nelle sue memorie il cruciale contributo dell’Armata Rossa alla vittoria sulla Germania nazista.

In seguito, il pensiero degli storici occidentali fu largamente influenzato da scritti di ufficiali ex-fascisti, impiegati per l’esame degli archivi militari nazisti, e da numerose memorie lasciate dai generali della Wehrmacht. Di norma, autori di tal fatta tendevano a giustificare se stessi e l’esercito tedesco nel complesso presentandosi quali entità puramente professionali, avulse da Hitler, come da ogni ideologia. Le memorie dei cani da guerra di Hitler riflettevano anche buona parte dell’arroganza di casta e l’orgoglio ferito, i quali contribuivano a distorcere ulteriormente il quadro del recente passato. D’altra parte, le memorie di leader politici e militari sovietici generalmente non venivano impiegate come “contradditorio” scolastico e ideologico contro il flusso di letteratura degli ex-hitleriani. Le cronache di guerra pubblicate in URSS furono sottoposte ad una censura così violenta che il più delle volte perdevano ogni valore come fonti di conoscenza storica.

I primi tentativi di accertare in modo più realistico i rispettivi ruoli del fronte orientale e occidentale vennero intrapresi in Occidente passati circa 30 anni dalla fine della guerra. John Erickson, storico britannico, fu tra i primi a muoversi in questa direzione: nei suoi libri “The Road to Stalingrad” [“La strada per Stalingrado” n.d.t.] (1975) e “The Road to Berlin” [“La strada per Berlino” n.d.t.] (1983), rivelò la portata dell’effettivo contributo del fronte orientale per la sconfitta della Germania fascista. Dopo, David M. Glantz, storico militare statunitense, scrisse numerosi testi sulla guerra dal fronte russo. Tra il 1989 e il 2006, diede alle stampe 16 lavori, tra cui “When Titans Clashed: How the Red Army Stopped Hitler” [“Quando i Titani si scontrarono: Come l’Armata Rossa fermò Hitler” n.d.t.].

Centinaia di testi di studiosi anglo-statunitensi si concentrarono su vari aspetti particolari delle operazioni al fronte orientale come il trattamento dei prigionieri di guerra, le pulizie etniche in tempo di guerra, il ruolo dell’NKVD (i servizi segreti dell’URSS), l’economia e le risorse alimentari, ecc… Quelle edizioni non erano fatte per il grande pubblico, sicché per decenni le impressioni delle masse di lettori in Gran Bretagna e USA vennero formate soprattutto dalle memorie lasciate da W. Churchill ed altri uomini di stato occidentali, che presentavano il fronte occidentale come teatro principale della seconda guerra mondiale. Questa tradizionale impostazione ha iniziato a scemare solo di recente. Sotto questo aspetto, “Europe at War 1939-1945: No Simple Victory” [“L’Europa alla guerra dal 1939 al 1945: una vittoria non semplice” n.d.t.] di Norman Davies, uno storico britannico, ha giocato un ruolo decisivo.

Norman Davies è un autore popolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, a ragione. Divenne famoso dopo la pubblicazione di “The Isles. A history” [“Le isole. Una storia” n.d.t.] (1999), ampio e accattivante trattato sul passato britannico. I suoi “Europe. A History” [“Europa. Una storia” n.d.t.] (1996) e “Europe at War 1939-1945: No Simple Victory” [“L’Europa alla guerra dal 1939 al 1945: una vittoria non semplice” n.d.t.] (2006) ebbero ugual fortuna. In quest’ultimo libro, Davies condanna in modo chiaro, e con atipica veemenza per uno studioso inglese, il patologico narcisismo degli USA. In particolar modo manifesta una speciale acrimonia contro quegli autori statunitensi che stupidamente continuano a convincere i loro connazionali che furono gli USA a fermare il fascismo e infine a sconfiggere Hitler.

Secondo Norman Davies, sul fronte orientale i combattimenti, che infuriarono per 4 anni, coinvolsero 400 divisioni tedesche e sovietiche; il fronte stesso si estendeva per 1.600 km. Nel frattempo, le offensive sul fronte occidentale coinvolsero 15-20 divisioni al massimo. L’armata tedesca subì l’88% delle perdite sul fronte orientale. Fu l’esercito sovietico a fermare la volontà e la capacità dell’armata tedesca di portare a compimento importanti offensive al fronte nel 1943. La Battaglia di Kursk, questo è il nome che gli storici dovrebbero ricordare! Norman Davies sostiene che il ruolo chiave dell’armata sovietica nella seconda guerra mondiale sarà così palese ai venturi storici che in futuro USA e Gran Bretagna verranno semplicemente accreditate di aver fornito un supporto estremamente importante.

Ciononostante, nel perorare la causa del cruciale contributo offerto dall’Armata Rossa contro il fascismo, N. Davies incappa nel cliché ideologico sullo “scontro dei due totalitarismi”: nella sua visione, il regime più animalesco della storia europea non fu annientato dalle democrazie, ma da un altro brutale regime. In altre parole, un tiranno fu sconfitto da un tiranno.

Pur riconoscendo il decisivo apporto dell’Unione Sovietica per la vittoria durante la seconda guerra mondiale, N. Davies ignora completamente il fatto che il nazismo tedesco, sconfitto dalla Russia storica, e successivamente dalla sua incarnazione USSR, tra il 1941 e il 1945, fu un prodotto incredibilmente aggressivo e inumano della civiltà occidentale. Allo stesso tempo, N. Davies riconosce il ruolo personale di Stalin nella vittoria russa. Geoffrey Roberts, altro storico, concorda con questa visione. Nel suo “Stalin’s Wars. From World War to Cold War, 1939-1953” [“Le guerre di Stalin: dalla guerra mondiale alla guerra fredda, 1939-1953” n.d.t.], scrive che la rinascita dalle ceneri dopo errori così numerosi e la condotta del paese verso la vittoria più grande fu un vero e proprio trionfo, e che il mondo fu salvato per le democrazie da Stalin.

La verità è che il mondo fu salvato dai Russi, non dal genio di Stalin. Stalin stesso lo ammise nel 1945, nel suo brindisi “ai Russi” durante un ricevimento per i comandanti dell’Armata Rossa al Cremlino. Per i Russi, questa guerra sarà sempre grande, patriottica e totale, perchè per noi fu uno scontro mortale contro il male assoluto – il nazismo che venne dall’Ovest.

Aleksander B. Krylov
Fonte: http://en.fondsk.ru/
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12.05.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MOLECOLA

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