DI JAMES PETRAS
I canaaniti hanno macinato il frumento e cotto il pane su di me. I figli di Abramo mi hanno portato al Tempio e io sono divenuta un Muro del Pianto.
Poi arrivarono i Romani e gli ebrei ellenizzati mi misero in un giardino fiorito nel quale bevevano vino ed enunciavano le virtù degli stoici e ridicolizzavano i racconti tribali dei loro antenati e i rabbini barbuti.
Quando i maccabei insorsero e saccheggiarono le case e i giardini dei filo ellenici, divenni un muro della fortezza di Masada, ridotta in macerie durante la battaglia finale.
Divenni una pietra nei campi spogli per vari secoli finché dei monaci e santi eremiti mi resero parte di un monastero…la latrina per la precisione.E nonostante mi affacciassi su una fresca sorgente e un uliveto e un mandorlo in fiore, l’odore dei sant’uomini che defecavano mi faceva barcollare.
Perciò fui felice della conquista e della riconquista – arabi musulmani, ottomani e crociati – a turno una moschea, una chiesa, sacra come una reliquia e profana come un orinatoio.
Ma con mio dispiacere tornai alle macerie dei campi vuoti mentre i luoghi sacri venivano demoliti.
Secoli dopo fui sfregata e pulita e servii, almeno, ad uno scopo utile: per impastare e cuocere il pane azzimo.
Le pecore brucavano nella mia ombra e i bambini si rincorrevano attorno a me, mentre un gallo sbarazzino destava la gente dal sonno usandomi come piattaforma per annunciare l’alba imminente.
Poi venne il tempo dei proiettili che scheggiavano e squamavano il mio rivestimento esterno, gli ottomani fuggirono ma io rimasi solidamente piantata anche se non più in uso, più un posto su cui si sedevano bambini ridenti e nonne che ripetevano storie di uomini saggi e maghi, e il piccolo piede marrone che batteva il tempo di musica e canzoni non mi faceva male.
Venne il tempo della Catastrofe, i proiettili fischiavano e il sangue scorreva
E le nonne dei bambini scapparono.
Le case furono saccheggiate, gli ulivi abbattuti, ma io non fui intaccata.
Rimasi una pietra, levigata da generazioni di narratori e dai loro uditori.
Attorno a me crescevano solo erbacce e cardi,
concimati dalle defecazioni della conquistatrice armata della Liberazione Ebraica
Da lontano vedevo incendi bruciare i villaggi da una parte,
e i giardini e le case, i coppi e i pozzi dall’altra.
Non restai sola a lungo quando l’asfalto rapidamente coprì le strade da e
Verso le città riservate agli ebrei – le pietre miliari furono tolte e impilate attorno a me.
Mi chiedevo a quale proposito.
Una collocazione rustica in un ristorante all’aperto di Tel Aviv che serve olive e formaggio
Ma non dai monconi bruciati degli ulivi né dai crani e dalle ossa degli agnelli macellati durante la loro liberazione.
Solitaria nel sole splendente
Sedetti a fianco alla strada deserta finché un giorno i ragazzi scalzi dai piedi marroni,
che calzavano ora scarpe da adolescenti, tornarono tirando pietre
alle auto che sfrecciavano sulla superstrada d’asfalto, nascosti alle mie spalle
mentre i proiettili rimbalzavano sulla mia scorza di granito.
Ho salvato una o due vite, forse solo per un minuto o un’ora?
E vennero i trasporti corazzati e seppellirono i feriti e i morti
In una fossa comune.
Non servii nemmeno da lapide (forse più tardi – molto più tardi)
Un memoriale, monumento ai ragazzi e alle ragazze scalzi che caddero.
Ed ora sono diventata parte del muro
Il colossale muro di un ghetto, coronato da filo spinato
Che squarcia i prati e deturpa i campi con i tronchi morti degli alberi d’arancio
Un giorno persi la mia solitudine ombrosa. Fui caricata su un camion
E divenni ciò che sono…il muro di una prigione.
Ho perso la mia grazia, snaturata e contesa:
ma soprattutto strappata ad un luogo d’affetto per un luogo di desolazione.
Mi dicono che dipende da che lato si guarda.
Sulla mia faccia posteriore stanno i giardini pensili e prati e appartamenti lussuosi
Di un Popolo Eletto
In accordo col proprio Testo Sacro.
Davanti la faccia degli sfrattati che vivono nel ricordo della loro lontana nazione
Mentre i loro bambini non ascoltano più storie di maghi e uomini saggi
Ma di combattenti per la resistenza e martiri e visioni di una nazione senza muri
E con loro la mia speranza che quando il muro cadrà
Tornerò alla mia solitudine ombrosa.
24 dicembre 2007
Titolo originale: “If Stones Could Talk”
Fonte: http://petras.lahaine.org/
Link
24.12.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DIEGO VARDANEGA