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La Redazione

 

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SCONFIGGERE LA CONGIURA CONTRO LA PALESTINA

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A cura di Das schloss
Il 24 Luglio 2007
34 Views

DI ALI ABUNIMAH
The Electronic Intifada

“State certi che i giorni finali di Yasser Arafat sono contati, ma permetteteci di finirlo a modo nostro e non come volete voi. E siate certi allo stesso modo che… darò la vita per mantenere le promesse che ho fatto di fronte al presidente Bush.” Queste parole sono state scritte dal signore della guerra di Fatah, Mohammed Dahlan, le cui forze appoggiate dagli Usa e da Israele sono state sradicate da Hamas nella Striscia di Gaza il mese scorso, in una lettera del 13 luglio 2003 all’allora ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz e pubblicate sul sito Web di Hamas il quattro luglio di quest’anno.

Dahlan, che, nonostante la sua incapacità a mantenere il controllo di Gaza, resta un consigliere anziano del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, delinea la sua congiura per rovesciare Arafat, distruggere le istituzioni palestinesi e rimpiazzarle con una leadership collaborazionista asservita a Israele. Dahlan scrive della sua paura che Arafat riunisse il consiglio legislativo palestinese e gli chiedesse di ritirare la fiducia dall’allora primo ministro Mahmoud Abbas, che era stato nominato all’inizio del 2003 dietro a insistenze di Bush per porre un freno all’influenza di Arafat. Dahlan scrisse che, per impedire ciò, era necessaria una “completa coordinazione e cooperazione da parte di tutti”, così come “mettere sotto pressione [Arafat] in modo che non potesse intraprendere questa iniziativa”. Dahlan rivela che ” abbiamo già dato inizio a tentativi per polarizzare le opinioni di molti membri del consiglio legislativo tramite l’intimidazione e la corruzione in modo che siano dalla nostra parte e non dalla sua [cioè di Arafat]”.

Dahlan chiude la sua lettera a Mofaz affermando: “mi rimane solo da esprimere tutto il mio rispetto e la mia gratitudine a lei e al primo ministro [Ariel Sharon] per la vostra continua fiducia in noi”.

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[La lettera del 13 Luglio 2003 mandata da Mohammed Dahlan all’allora ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz.]

Questa lettera è una piccola ma evidente prova che si aggiunge alla già esistente montagna di prove del complotto in cui è coinvolta la leadership di Abbas. Nel mese passato dalla nomina da parte di Abbas di un “governo di emergenza” sullo stile di quello di Vichy, guidato da Salam Fayad, degli storici leader di Fatah come Farouq Qaddumi e Hani al-Hassan hanno espresso la loro opposizione alle azioni di Abbas, respingendo in particolare il suo ordine che i combattenti della resistenza palestinese si disarmassero mentre l’occupazione israeliana continuasse senza opposizione.

Ciò sottolinea che la divisione che vi è oggi tra i palestinesi non è tra Hamas e Fatah, né tra “estremisti” o “moderati” o tra “islamisti” e “laici”, ma tra la minoranza di coloro che hanno messo il loro gruppo accanto al nemico come collaborazionisti da un lato, e coloro che sostengono il diritto e il dovere a resistere dall’altro.

Quantomeno i leader israeliani sono estremamente chiari su ciò che si aspettano dai loro servi palestinesi. Ephraim Sneh, sino a poco tempo fa vice ministro della difesa, esprime la visione comune dell’establishment israeliano:

“La più urgente e importante missione di Israele adesso è prevenire la presa da parte di Hamas della Cisgiordania. È possibile fare ciò indebolendo Hamas tramite un visibile progresso diplomatico; aiutando l’efficace ed effettivo funzionamento del governo del primo ministro palestinese Salam Fayad; e la creazione delle condizioni di un fallimento totale del regime di Hamas nella Striscia di Gaza.” (“How to stop Hamas,” Haaretz, 17 Luglio 2007).

Sneh dice chiaramente che “per uscire vittoriosi gli arresti e le campagne militari non sono sufficienti–è imperativo ottenere la sconfitta pubblica e politica di Hamas tramite un altro elemento palestinese”. Questo elemento è Fatah. Sneh elenca un certo numero di misure volte a raggiungere questo scopo, compreso l’impiego di più palestinesi come lavoratori a basso costo nell’economia israeliana, il rilascio dei prigionieri di Fatah o la restituzione del denaro delle tasse palestinesi rubato da Israele–ma non dice assolutamente nulla sul fermare la costruzione delle colonie israeliane esclusivamente per ebrei, sul porre fine all’occupazione militare e sull’abrogazione delle pratiche e delle leggi razziste. Con la sua caratteristica vaghezza egli afferma solamente che “è necessario imbarcarsi in una discussione col presidente palestinese sui principi per un accordo definitivo”. A14 anni da Oslo ciò probabilmente non convincerà molti scettici.

Dalla firma degli accordi di Oslo Israele ha fatto tutto ciò che poteva per minare la prospettiva di uno Stato palestinese, facendo di conseguenza zoppicare l’autorità palestinese. Cosa c’è dietro la determinazione da parte di Israele a sostenere la leadership collaborazionista di Abbas? perché non lasciarla semplicemente crollare e dichiarare vittoria?

I leader di Israele sanno che per ottenere l’appoggio ad uno “Stato etnico ebraico” è necessario nascondere la realtà che gli ebrei non sono più la popolazione di maggioranza in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza–cioè nel territorio controllato dallo Stato di Israele. Israele ha bisogno di una sovranità palestinese di facciata in modo da poter abbandonare il controllo di milioni di palestinesi, nello stesso modo in cui il sud Africa dell’ apartheid tentò di creare la copertura di “patrie indipendenti per i neri” — Bantustan — per prolungare il governo dei bianchi e dargli una base di legittimità. Se crolla l’autorità palestinese, Fatah, che non ha una base popolare, crollerà con essa.

Anche Hamas si trova a un bivio. Può sopravvivere al crollo dell’autorità palestinese, ma cosa diventerà? Esso è cresciuto da una porzione della società palestinese–masse povere e mobilitate dalla religione, eppure ottiene un più ampio appoggio per la sua resistenza contro Israele da quei palestinesi orfani dei loro leader voltagabbana e desiderosi di un’alternativa integra. Hamas ha la scelta di articolare un’agenda che può rispondere alle aspirazioni di una società palestinese in tutta la sua diversità, o può cadere nelle trappole che le vengono poste.

I leader di Hamas hanno fatto esemplari affermazioni in favore del pluralismo, di una democrazia genuina e del governo della legge, e sono stati giustamente fieri del rilascio del giornalista della BBC Alan Johnston. Ma devono essere giudicati dalle loro azioni e vi sono segni scoraggianti. Il Centro Palestinese per i Diritti Umani ha riportato diversi casi di abusi, rapimenti e torture da parte di membri della Forza Esecutiva di Hamas, e la morte di un prigioniero detenuto dall’ala militare di Hamas. È vero che questi incidenti non avvengono nel vuoto–Israele e i suoi alleati di Fatah continuano a impegnarsi in ben più vasti delitti, torture e rapimenti diretti ai membri di Hamas, mentre Hamas è impegnata in una battaglia per sopravvivere. Ma Hamas ha ottenuto la legittimità promettendo di porre fine alle orribili pratiche delle milizie di Fatah appoggiate da Israele. Deve mantenere tale promessa o vedrà sparire l’appoggio che si era duramente guadagnato. Allo stesso tempo deve iniziare ad articolare una visione per il futuro che prenda in considerazione la realtà di 11 milioni di ebrei israeliani e di palestinesi che vivono in un piccolo paese. Sappiamo contro cosa sia Hamas, ma non è chiaro a favore di cosa sia.

Hamas si sta volgendo ad accettare una soluzione a due Stati proprio mentre sta iniziando a sorgere, persino nei sostenitori del processo di pace di Oslo, l’idea che la soluzione a due Stati, necessaria per salvare Israele come un’enclave di privilegio ebraico, stia iniziando a essere fuori portata. Mentre la soluzione a due Stati ” sta diventando sempre meno probabile,” osserva Aaron David Miller, un veterano per 25 anni al Dipartimento di Stato e funzionario anziano dell’amministrazione Clinton al summit del 2000 a Camp David, ” si parla sempre più tra i palestinesi di una soluzione con un solo Stato–che naturalmente non sarebbe affatto una soluzione, e che significherebbe la fine di Israele come Stato ebraico”. (“Is peace out of reach?,” The Los Angeles Times, 15 Luglio 2007).

L’editorialista di Haaretz Danny Rubinstein predice che “prima o poi Hamas perderà la sua guerra contro Israele. Ma ciò non vuol dire che vi sarà un ritorno ai giorni di Oslo e all’idea dei due Stati”. Piuttosto, egli teme, ” vi saranno sempre più forti richieste da parte degli arabi palestinesi, che costituiscono quasi la metà degli abitanti di questa terra, e che diranno: sotto le attuali condizioni non possiamo fondare un nostro Stato, e ciò che ci rimane è chiedere diritti civili nel paese in cui siamo nati. Essi adotteranno gli slogan della battaglia degli arabi che sono già cittadini di Israele, e che chiedono uguaglianza e la definizione di Israele come uno Stato per tutti i suoi cittadini.” (“Nothing to sell the Palestinians,” 16 Luglio 2007). Perciò possiamo vedere che Abbas è oggi l’ultima speranza di Israele nella sua battaglia contro la democrazia. Una tale patetica coalizione non può ostacolare la strada della liberazione.

Ali Abunimah è cofondatore di The Electronic Intifada e autore di “One Country: A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse.”

Titolo originale: “Overcoming the conspiracy against Palestine “

Fonte: http://electronicintifada.net
Link
18.07.2007

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO

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