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La Redazione

 

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Sarnico e la paura della verità (14-15 maggio 1862)

Loreto Giovannone ricorda una delle prime “stragi di Stato”, avvenuta nel periodo risorgimentale
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A cura di Redazione CDC
Il 9 Dicembre 2022
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Sarnico e la paura della verità (14-15 maggio 1862)

Di Loreto Giovannone, civico20news.it

Grazie a ricercatori indipendenti dal mondo accademico emergono le verità storiche, avversate perché si scopre la falsità di chi ancora si rifà al mito.

I documenti d’archivio, gli atti parlamentari, i giornali dell’epoca hanno cambiato la visione del Risorgimento. Emerge una serie di miserevoli menzogne ed omissioni di eccidi e stragi utili al potere e a chi ne ricavò compensi.

La recente storia italiana è vista nella prospettiva reale, lontano dalle compiacenze alla politica di accademici e storici che l’hanno deformata.

Mentre all’annesso sud erano in corso fucilazioni, eccidi, stragi, rappresaglie, Sarnico fu tra le prime “stragi di Stato”, l’inutilità degli ideali garibaldeschi piegati nel sangue agli interessi della politica, alla ragion di Stato.

Per una precisa scelta si riportano di seguito, letteralmente, i racconti fatti di Sarnico dal giornale “Lo Zenzero”.

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ANTEFATTOTradotti ieri da Bergamo dai Reali Carabinieri, si trovano nel Castello di Milano da circa 180 giovani italiani di varie provincie, arrestati per ordine del governo di Torino, e accusati non si sà bene di che cosa.

A questi giovani, il generale Garibaldi: indirizzava il 15 del corrente, prima che partissero da Bergamo, la seguente lettera: Trescorre [oggi Trescore Balneario (Bergamo)], 15 maggio 1862. Miei cari amici, Io vi consiglio di lasciarvi condurre, e vi autorizzo a dire, che siete stati chiamati a Bergamo da me, La Nazione poi non dubito, vi sarà grata dello slancio vostro patriottico, e della vostra abnegazione. Vi saluto tutti, e sono con affetto Vostro per la vita G. Garibaldi.

Lettera dei garibaldini arrestati al sindaco di BergamoBenenerito municipio di Bergamo. Da questo luogo di reclusione, non possiamo inviarvi i nostri ringraziamenti in forma migliore, per le vostre gentili offerte; ma comunque essi sieno, voi li aggradirete, perchè vi vengono da giovani cuori italiani, e dai seguaci di quell’eroe, che incominciò a far l’Italia, e che la terminerà con noi. Se non accettiamo le vostre offerte, ciò non vuol dir rifiuto ma bisogno di sobrietà, per imitare il nostro capo e padre, Garibaldi.

Bergamo, dal cortile dei Carabinieri Reali, il 15 maggio 1862, ore 3 1/2 pom. (Seguono le firme) 

Risposta del sindaco ai garibaldini arrestati. Signori, Esprimo la mia gratitudine per le cortesi espressioni usate a riguardo del Municipio. Tutto che si può fare, onde rendere meno spiacevole la momentanea loro reclusione, sarà fatto, e ciò pel sentimento che legar deve il cuore di tutti gli italiani. Bergamo, il 15 maggio 1862. (Vostro G. B. Camozzi, Sindaco).

blankIL FATTOBrescia, 16 maggio. Vi annuncio una sventura gravissima, accaduta ieri a sera in questa città: Ieri mattina erano dai carabinieri tradotti, da Palazzuolo a Brescia, quattro ufficiali del seguito di Garibaldi, e fra questi il distinto e valoroso colonnello Nullo, uno dei mille, e chiusi subito nelle carceri della pretura urbana. Sparsasi la nuova per la città, corse rapida fra il popolo la voce di una dimostrazione in favore di Nullo. Sul far del sera, il popolo si radunò sotto la loggia del palazzo municipale, e di là si recò alle carceri gridando: Vogliamo Nullo, Viva Garibaldi!

Di là, la folla, fattasi immensa, andò dal prefetto, ripetendo in modo più insistente, ma calmo: Vogliamo Nullo e i suoi, e gridando sempre Viva Garibaldi. Il prefetto non essendosi mostrato al popolo, corse voce che fosse al teatro Guillaume, ove il popolo si recò tosto, ma inutilmente; perché ivi pure il prefetto, o non era, o non volle mostrarsi. La folla allora cominciò a diminuire, solo buon numero di giovanotti e pochi uomini, ritornarono ancora avanti alle carceri, ripetendo le medesime grida. Frattanto che il popolo passava da un luogo all’altro, nel cortile delle carceri furono introdotti 30 soldati di linea, comandati da un sottotenente.

L’ampia porta, che dal cortile mette in istrada, era stata chiusa, ma i battenti non erano assicurati che da debolissimo catenaccio, in modo che a un piccolo urto cedevano e la porta aprivasi. Quando il popolo si presentò per la seconda volta alle carceri e vide chiusa la porta, cominciò a gridare più forte, nell’intenzione di farsi sentire dai prigioni.

In quel malaugurato punto, alcuni giovanetti urtarono la porta, ma questa, cedendo all’urto, ritornava al suo primiero posto, appena l’urto cessava. Questo sforzo di pochi venne appoggiato da molti, due battenti cedevano, e la porta aprivasi. In quell’istante, i soldati che erano nel cortile, fecero fuoco sul popolo. Un giovine di quindici anni, cadde morto all’istante, vari altri furono feriti e trasportati all’ospedale: le loro ferite furono dichiarate mortali. – Ma ciò che è orribile, ciò che fa fremere al rammentarlo, è che i soldati sortirono dal cortile, tirando fucilate per la contrada, e caricando alla baionetta gente inerme! ! !

L’EPILOGOSi parla di deplorabili collisioni, avvenute ieri a Brescia, tra cittadini e soldati stanziali. Udimmo accennare a parecchi feriti e morti. il colonnello Nullo sarebbe stato condotto da Trescorre a Brescia, legato come si costuma coi malandrini, dai Reali Carabinieri. Pare che la trista collisione di cui si tiene parola, abbia avuto origine nella indignazione dei cittadini per questo fatto. Desideriamo sinceramente, che questa notizia non si confermi. – Vuolsi che il deputato Brofferio sia passato oggi per Milano, diretto a Trescorre, con una missione confidenziale del governo, presso il generale. – Il numero degli arrestati a Trescorre, Bergamo, Brescia e Palazzuolo, si fa ascendere a 400. – È voce che tutti gli arrestati saranno tradotti, senza indugio, ad Alessandria. – Al momento di porre in torchio riceviamo la seguente lettera da Brescia:

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Questa sera Brescia deplora un avvenimento dolorosissimo. Una pacifica dimostrazione presentavasi alla prefettura, chiedendo la liberazione del colonnello Nullo. La parola del Prefetto avrebbe sciolto la dimostrazione. – Egli restò muto. Diede ordini proconsolari. La dimostrazione recossi alle carceri, ove alle pacifiche grida di piccolo gruppo inerme, rispondevasi con triplice scarica di fuoco, inseguendo i cittadini. Piangonsi 6 vittime.

Il Telegrafo essendo chiuso impostiamo. Brescia, 15 maggio, ore 11 1/2 pom. Il Circolo Nazionale. N.B. La Sentinella Bresciana [giornale], che ci giunge in questo punto, conferma il triste fatto. Se non che, essendo la Sentinella, la Perseveranza [giornale] di Brescia, assolve il Prefetto e chi ha tirato i colpi di fuoco, e condanna invece chi ha ricevuto quei colpi… Il colonnello della guardia nazionale in quel momento dov’era? Se invece della truppa, fossevi stata la milizia cittadina, sarebbesi evitata l’effusione di sangue.

La Questura non aveva carabinieri da mettere di guardia sulla porta, i quali con buone parole raccomandassero lo scioglimento? Perché li mandò solo dopo il terribile fatto? Lascio i vostri lettori giudici dell’accaduto solo mi limito a dire che il modo, onde agì ieri il governo moderato, richiama alla memoria un’epoca maledetta di inaudita oppressione.

PS. Nel momento di chiudere la lettera, ho notizia che i morti a quest’ora sommano a tre; uno ferito mortalmente, agonizza all’ospedale: parecchi feriti si trovano nelle proprie abitazioni…

Prefetto a Bergamo all’epoca dei fatti: Giovanni Antonio Colonna Romano Filingeri, duca di Cesarò, nominato senatore al 30 novembre 1862, ex prefetto di Palermo, in carica a Bergamo dal 1° febbraio 1862  al 1° dicembre 1864.

Uno dei tanti nobili siciliani voltagabbana che passarono, senza scrupoli, dai Borbone ai Savoia.

Continua “Lo Zenzero” del 29 novembre 1862: Sappiamo di parecchi altri arresti operatisi a Sarnico e Palazzuolo. – È del tutto infondato, quanto da taluno si assevera, che siasi violato effettivamente il confine austriaco. E Il Diritto  d’oggi scrive: «Noi possiamo assicurare, e non v’è Gazzetta ufficiale o giornale officioso che possa smentirci, che il generale Garibaldi, fin dal giorno di giovedì, ha ripetutamente scritto al governo, per avocare a sé solo tutta la responsabilità di quei tentativi». La Sentinella Bresciana [giornale] d’oggi, reca: «Quattro sono i morti che si hanno a lamentare nel tafferuglio di giovedì sera: Redondi Stefano, d’anni 29, facchino; Zanardelli Domenico, d’anni 14, sarto; Ghidini Faustino, d’anni 44, lavorante tipografo; Scolari Giovannni, d’anni 14, calzolaio». – Si legge nella Costituzione. «Il cav. Raccagni, generale di brigata a Milano, trattenne in castello gli arrestati, opponendosi agli ordini dall’autorità governativa che li voleva tradotti senza indugio in Alessandria.

Si telegrafò in proposito a Torino ed a Napoli, e i prigionieri furono finalmente avviati alla volta di Alessandria, dove sono giunti la scorsa notte».

La stampa venne manovrata come cassa di risonanza per la propaganda di regime.

Parleremo la prossima volta del successivo episodio di Aspromonte, del 29 agosto 1862, con il ferimento di Garibaldi e di quello che era indicato come Programma di Conciliazione.

Di Loreto Giovannone, civico20news.it

Loreto Giovannone. Studioso di storia alla ricerca dell’identità culturale e geografica delle origini. Studioso dei documenti amministrativi e ufficiali dell’Unità d’Italia conservati negli Archivi di Stato. Scopritore della prima deportazione di Stato di civili del Sud Italia nei lager del centro nord. La prima deportazione in Europa attuata dallo Stato italiano dal 1863, circa settanta anni prima del nazismo. Scrittore, articolista di argomenti storici con la predilezione della multidisciplinarietà di scuola francese. Convinto assertore che la Storia è la politica del passato.

link fonte: https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=26631

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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