DI SOPHIE CHAPELLE
Bastamag.net
Una quota tra il 3 e il 5 % delle
emissioni mondiali di gas serra sono legate al settore dei rifiuti.
Il lavoro svolto dai ricuperatori e dai riciclatori contribuisce a ridurre
queste emissioni. Ma non sono le comunità
locali a beneficiare dei finanziamenti internazionali per l’“ambiente”,
ma le grandi imprese di incenerimento e di smaltimento dei rifiuti.
Alcuni lavoratori asiatici, africani e dell’America latina sono arrivati
a Durban per sentire la loro voce alla Conferenza sul clima.Ha lasciato le montagne di cartoni,
gli oceani di plastica e di relitti in metallo, per attraversare una
buona parte dell’Africa. Arrivato da Dakar, Aliou Faye si è arrivato
a Durban (in Sudafrica) per rappresentare i ricuperatori degli scarti.
Originario del Senegal, Aliou lavora dall’età di 16 anni nella discarica
gigante di Mbeubeuss che riceve i rifiuti scarti della capitale senegalese.
È oggi responsabile dell’associazione Book-Diom, che raggruppa 1.500
recuperatovi e riciclatori che operano nella scarica. “Organizzarsi
è fondamentale“, ci spiega. Per affrontare i rischi di malattie
ai quali sono esposti questi lavoratori, la prima iniziativa della loro
associazione è stata quella di costruire un ambulatorio e un centro
sanitario, grazie al sostegno del Programma delle Nazioni Unite per
lo Sviluppo (PNUD). Hanno fatto anche in modo che i ragazzini
non vadano più a sgobbare sulle montagne di rifiuti. Queste iniziative
sono state ignorate dal governo senegalese che, senza concertazione,
ha deciso di fermare la discarica e di espellere i lavoratori, ufficialmente
per ragioni sanitarie e ambientali.
“Più
che altro è un progetto di un’autostrada a pedaggio che passa
sulla discarica che serve per sbatterci fuori”,
spiega Aliou. La soluzione raccomandata dal governo? L’apertura di un
centro di smaltimento su un altro campo, a Sindia. Ma questo nuovo centro
utilizzerebbe solo 350 persone sulle 1.500 che lavorano in questo momento
alla discarica. Su questi non c’è stata una grande riflessione. “Invece
i recuperatovi sono i primi soldati dell’ambiente naturale. Si deve
essere un minimo di rispetto“, s’indigna Aliou (leggere anche questo articolo). A Sindia gli abitanti si sono mobilitati
contro il progetto, temendo un inquinamento delle acque e dell’ambiente
naturale.
La finanza preferisce l’incenerimento
al biogas
Questo centro di smaltimento è
anche un affare bello proficuo. La sua costruzione è stata affidata
a due società italiane, tramite la loro filiale senegalese, Gta
environnement. Il costo: circa 8 miliardi di franchi Cfa, 12 milioni
di euro. Il progetto gode dei finanziamenti legati alla lotta contro
il cambiamento climatico: i “Meccanismi di Corretto Sviluppo ”
(MDP) il cui l’obiettivo è quello di aiutare i paesi ricchi
a limitare le loro emissioni di CO2 finanziando progetti a costo inferiore
nei paesi del Sud. La gestione dei rifiuti rappresenta una quota tra
il 3 e il 5% delle emissioni globali di gas serra, per il gas liberato
dalla loro combustione o per il metano emesso per la decomposizione
delle sostanze organiche gettate nel pattume.
I paesi poveri sono quindi incoraggiati
a industrializzare il trattamento dei loro rifiuti, nascondendoli o
installando degli inceneritori. Ma ciò genera spesso un costo sociale,
ambientale e economico insostenibile. “Queste società
nascondono o bruciano gli scarti organici, mentre noi possiamo fare
del compost e del biogas”, afferma Aliou: “Il nostro lavoro
di riciclaggio e di recupero è oggi il mezzo più
efficace di ridurre le emissioni di gas nel settore dei rifiuti.”
Alcuni studi dimostrano che il riciclaggio riduce più di 25 volte le
emissioni, particolarmente di metano, rispetto all’incenerimento. Tuttavia
gli inceneritori beneficiano di finanziamenti firmati “MDP“.
E non sono né corretti, né creano lavoro.
Quindici milioni di persone
vivono del riciclaggio
Questi progetti di incenerimento e
di seppellimento entrano in concorrenza diretta coi riciclatori di scarti.
Gli inceneritori dipendono da scarti secchi che bruciano bene – carta,
plastica e cartone – per mantenere in essere la combustione. E sono
precisamente queste le materie che vengono recuperate dai riciclatori
e che assicurano loro un reddito. Sono quindici milioni nel mondo a
vivere della raccolta, della cernita e del riciclaggio dei rifiuti.
“Noi proteggiamo l’ambiente! Ma ci sono perSone che né
rispettano, né riconoscono il nostro lavoro”, deplora Aliou:
“Ridurre, riutilizzare, riciclare”, sono le loro parole d’ordine.
mondiale dei ricuperatori chiede
che i Fondi
verdi per il clima, creati
un anno fa a Cancun, siano direttamente accessibili ai recuperatovi
e ai riciclatori dei rifiuti. E che non siano riservati solamente alle
multinazionali. “Ma le condizioni di lavoro devono essere migliorate
e c’è bisogno per questo di un sostegno finanziario“, riconosce
Aliou. Una necessità quando si viene a conoscenza delle deplorevoli
condizioni sociali e sanitarie che devono affrontare i lavoratori delle
discariche. Se beneficiassero dei Fondi, questi lavoratori assicurano
che ciò “rafforzerebbe l’economia locale, potrebbero creare
lavoro verdi e migliorare le condizioni di vita di milioni di lavoratori.”
Si augurano di essere integrati nel sistema di gestione municipale dei
rifiuti e di non essere più considerati dei fuorilegge. Che siano diretti
alle multinazionali o alle comunità locali, i Fondi verdi per il clima
non sono comunque ancora operativi. Sui 100 miliardi di dollari di fondi
previsti, non è stato versato ancora un centesimo.
Fonte: Recyclage local contre multinationales : la guerre des déchets aura-t-elle lieu ?
09.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE