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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 7 giorni

QUELLO CHE NON VI HANNO DETTO SULL’AFFONDAMENTO DEL CONCORDIA

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A cura di supervice
Il 2 Marzo 2012
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LA PISTA RUSSA

DI RITA PENNAROLA
La Voce delle Voci

C’è qualcosa che non torna nelle

ricostruzioni sul naufragio. Quello che il comandante Schettino fin

da subito non riesce a spiegare è il motivo, forse inconfessabile,

che lo portò quella notte a dirigere la

“sua” nave a tutta velocità contro scogli che lui stesso conosceva

a memoria. Chi o che cosa lo spinsero a salire in plancia per la manovra

“kamikaze”? Smentita clamorosamente la versione dell’“inchino”,

vengono a galla fatti e personaggi che conducono tutti in Russia.
Assurdo. Impensabile. Nemmeno immaginabile.

Sono solo alcuni dei termini usati nei forum del personale marittimo

italiano, che comprende molti alti ufficiali, per definire quanto è

avvenuto in quell’attimo preciso del 13 gennaio scorso, ore 21.40,

a bordo del Costa Concordia, la più grande nave da crociera italiana,

simbolo di un orgoglio nautico affondato quella tragica notte dinanzi

all’isola del Giglio, trascinando con sé negli abissi, oltre alle

vittime, le sorti dell’unico comparto nazionale con fatturati e occupazione

in rapida ascesa: il settore crocieristico.

Lo sconcerto coglie in particolare

i tanti membri del Forum che per anni avevano viaggiato su navi comandate

da Francesco Schettino, considerato dalla stampa mondiale l’artefice

del disastro, perché, dicono, conosceva il Concordia come le sue tasche

e ancor di più il mar Tirreno, casa sua da oltre trent’anni di navigazione.

Il punto, allora, ben oltre le ricostruzioni

gossippare che hanno colorito le cronache della tragedia, e anche al

di là delle responsabilità successive all’urto, è precisamente

questo: cosa può aver indotto il comandante di lungo corso Schettino

a salire in plancia, quando la nave aveva già una rotta super-sicura

programmata, sostituire la navigazione manuale a quella del pilota automatico

e dirigere personalmente la nave contro gli scogli delle Scole, segnalati

perfino nelle mappe per villeggianti e che lui stesso conosceva

alla perfezione, per aver navigato decine di volte in quelle acque,

inchini compresi?

Del resto, è proprio questa l’unica

domanda alla quale Schettino non ha mai saputo dare risposte precise

fin dal primo, lungo interrogatorio del 17 gennaio. Dinanzi ai PM di

Grosseto farfuglia. S’inventa subito la storia dell’inchino, pur

sapendo che a smentirla ci sarebbero stati tutti: a cominciare dal comandante

Mario Palombo, cui sarebbe stato rivolto il presunto “omaggio”.

Spiega il P.M. Alessandro Leopizzi

a Schettino, che aveva appena detto la bugia: «Il comandante Palombo

si è detto sorpreso da quell’accostamento perché

dal punto di vista turistico, ci racconta Palombo, era privo di senso,

nel senso che non era navigazione turistica a gennaio col Giglio praticamente

semideserto anche da un punto di vista delle luminarie, mentre invece

tutte le altre accostate, quelle regolarmente pianificate dalla compagnia,

erano state fatte ad agosto in occasione delle feste patronali

Allora Schettino tira fuori un’altra

scusa: fare un piacere al maitre Antonello Tievoli, originario del Giglio:

«Era una cortesia – dice – che mi aveva chiesto Antonello e dissi “Va

bene, se ci sta il comandante Palombo a terra la facciamo, altrimenti

no”». Palombo sull’isola non c’era. Si trovava nella sua casa

di Grosseto.

Due giorni dopo il disastro è

il padre di Tievoli a smentire categoricamente Schettino: «La nave

passa ogni settimana e ogni settimana mio figlio ci avverte, ma non

ha mai chiesto di passare così vicino, né

lo ha fatto stavolta. Ci mancherebbe. La nave

è sempre passata almeno a 400 metri di distanza, questa volta

è andata sopra gli scogli. Non credo proprio che il comandante volesse

fare un omaggio a mio figlio. Venerdì

c’è stato un errore, qualcosa è andato storto.» Già. Ma che

cosa?

Nessun omaggio né inchino, ormai

è certo, in una notte gelida e buia di gennaio. Per tutti gli

aspetti del dopo-incidente (le manovre, le scelte difficili di accostare

la nave quanto più possibile alla riva per lo sbarco dei passeggeri),

le ricostruzioni del comandante stanno trovando poco a poco conferme.

Ma il buco nero resta proprio nei circa 20 minuti che hanno preceduto

quel fatale momento: perché Schettino decide di accostare velocemente

sotto gli scogli, dichiarando agli inquirenti addirittura di aver visto

la scena dell’impatto “a occhio nudo”, dentro una plancia che,

come in tutte le grosse navi da crociera, è più attrezzata della cabina

di un super jet?

Il motivo, la ragione inconfessabile,

quella che il comandante non può spiegare, è sicuramente un’altra.

Schettino sa e non parla. Probabilmente, non può. Così come non possono

confessarla, quella verità, gli alti ufficiali o le altre persone dell’equipaggio

(forse qualcuno fra i quattro indagati del personale di bordo, oltre

a Schettino e al suo secondo, Ciro Ambrosio) che ne erano a conoscenza.

Tanto da non poter impedire l’accostamento stretto agli scogli del

Giglio. Una verità che oggi si sussurra a mezza bocca. C’era qualcuno

che doveva calarsi in mare velocemente dalla nave e raggiungere l’isola,

o qualcosa da sganciare nell’area marina degli scogli ad essa limitrofi?

Schettino – e chi con lui sapeva – furono costretti a quel passaggio

azzardato, ma destinato ad andare ben diversamente, senza danni? Da

chi fu indotto, e perché?

In un modo o nell’altro, grazie al

lavoro tenace degli inquirenti, una verità dovrà venire a galla, senza

ombre. Lo si deve a quei 25 morti nel naufragio ed ai sette dispersi

accertati ufficialmente. Sempre che non ve ne siano stati altri, di

passeggeri a bordo, non dichiarati.

Shaboo a bordo!

La ricostruzione della Voce prende

le mosse da alcune circostanze inedite di tutta la vicenda. Particolari

che potrebbero condurre molto vicini alle vere ragioni del folle gesto,

di quel brusco accostamento di una nave da 117mila tonnellate alla costa

rocciosa. Era insomma come se Schettino “dovesse” passare rapidamente

in prossimità di quello scoglio, risultato fra l’altro di proprietà

privata (come ha svelato il programma Quarto Grado, appartiene all’ultima

anziana discendente della famiglia Rossi, gigliese). Per quale ragione?

Ed è mai possibile che una “isoletta” accatastata regolarmente

non fosse segnalata nelle mappe, come dice Schettino a botta calda ai

PM?

Il comandante, è stato accertato dalle

perizie, era sobrio e non faceva uso di stupefacenti. Le lievi “contaminazioni”

da cocaina rinvenute sui capelli sono risultate “accidentali”. Di

quella polvere, a bordo, doveva essercene. E non è una gran novità.

Davvero. Perché quattro anni fa, solo quattro anni fa, a bordo del

Concordia furono arrestati sette marittimi filippini che utilizzavano

i viaggi dell’ammiraglia di casa Costa, soprattutto quelli che facevano

scalo in Spagna, per trasportare un micidiale allucinogeno, lo Shaboo.

«Le navi da crociera – spiega un ambientalista, Giovanni D’Agata

– sono un canale considerato appetibile dai trafficanti di droga, soprattutto

quelle che seguono rotte molto vicino alla costa e quindi meno controllate

rispetto ai porti».

L’operazione del 2008 era stata condotta

dalla polizia marittima di Savona – snodo di quello spaccio clandestino

via mare – in collaborazione con la Dea di Miami e con i colleghi spagnoli.

Barcellona e dintorni sono infatti diventate un avamposto mondiale per

i trafficanti di stupefacenti, come dimostrano, da ultimi, i sequestri

a raffica di ingenti capitali e immobili sulla Costa del Sol, a Tenerife

o alle Canarie, disposti dalla DDA partenopea ai danni di narcotrafficanti

affiliati alla criminalità organizzata campana, in primis i clan dell’area

maranese e vesuviana. Traffici – si legge nei più recenti rapporti

dell’Antimafia – che in tempi di globalizzazione spinta vengono oggi

gestiti su scala internazionale, attraverso “cartelli” comprendenti

le sempre più agguerrite e potenti mafie di altri Paesi.

Assalto alla Toscana

Ci arriviamo. E cominciamo ricostruendo

alcuni contorni dei luoghi in cui si svolge questo autentico film dell’orrore.

Partiamo dalla Toscana, diventata epicentro di traffici illeciti ad

opera di numerose organizzazioni criminali. Fra le prime c’è la mafia

russa. A dirlo è la Fondazione Antonino Caponnetto della Toscana nel

suo Rapporto 2011 sullo stato del crimine organizzato in zona.

Dopo aver dichiarato fin dal titolo

che alla data di pubblicazione il fatturato delle mafie in Toscana era

pari a 15 miliardi di euro, il dossier si apre, non a caso, col capitolo

sulla mafia russa, «che è presente in Toscana da diversi anni»,

con «zone a maggior rischio che rimangono, oltre alle coste, Forte

dei Marmi, l’Isola d’Elba, Montecatini e la città

di Firenze». Inoltre, «il recente ingresso in Toscana di società

russe assieme alla ricchezza locale, può

favorire un indotto criminale gestito dalla mafia russa», che investe

prevalentemente «nel settore alberghiero». Così si conclude

il capitolo: «Il Rapporto DIA del secondo semestre 2010 conferma

la presenza della mafia russa in Toscana, in particolare a Montecatini,

e consiglia di seguire l’evoluzione del riciclaggio nel gioco d’azzardo

e nelle scommesse clandestine

Roulette russa

L’universo miliardario ruotante intorno

al gioco d’azzardo, così come ai business delle slot machine

e delle scommesse clandestine: ecco il piatto forte degli affari che

i boss dell’ex Unione Sovietica stanno già da tempo gestendo in diverse

zone della penisola italiana, accanto all’acquisizione di perle dei

patrimoni immobiliari locali, con una particolare predilezione per i

colossi alberghieri. Uno scenario in cui tavoli verdi, croupier

e scommesse rappresentano il canale ideale per le forme più spinte

di riciclaggio che si possano immaginare.

«Sui casinò

a bordo delle navi da crociera – spiega un addetto alle sale giochi

di una compagnia italiana – si accettano giocate dei passeggeri solo

in denaro contante. Tutte banconote

“fresche” che arrivano in enorme quantità

da varie parti del mondo durante ogni navigazione, con controlli relativamente

limitati, specialmente in acque extraterritoriali.»

Per il criminologo Federico Varese,

docente a Oxford ed autore del recente “The Russian Mafia”, la presenza

di una forte oligarchia di potere intorno a Vladimir Putin ha costretto

i mafiosi locali ad estendere il proprio raggio d’azione sull’estero,

puntando «prevalentemente su gioco d’azzardo e riciclaggio».

Ma fin dal 2006, quando si cominciò

a parlare di un casinò da aprire nella Repubblica di San Marino, lo

spettro della mafia russa fece la sua comparsa in grande stile, con

tanto di «incontri su misteriosi panfili al largo della costa adriatica»,

come ricostruiva Il Giornale.

Secondo il rapporto reso a Bruxelles

a marzo dello scorso anno dal procuratore generale di Caltanissetta

Roberto Scarpinato sulla “organizatsya” o “mafiya”,

come la chiamano a Mosca e dintorni, «fonti dello stesso governo

russo sostengono che circa il 40% delle imprese private, il 60% di quelle

statali, nonché l’85% delle banche russe e il 70% delle attività

commerciali sono soggette ad infiltrazioni o comunque sono sotto l’influenza

delle organizzazioni criminali e quasi la totalità

delle imprese commerciali nelle maggiori città

della Russia è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali».

Sul binomio gioco d’azzardo-mafia

russa si sofferma anche il recente rapporto della Commissione parlamentare

antimafia. Il presidente Beppe Pisanu accende i riflettori in particolare

sul Casinò di Sanremo, che opera in un territorio reso incandescente

dagli ultimi scioglimenti per mafia dei comuni limitrofi di Bordighera

e Ventimiglia. «La Dia – scrive Pisanu – riferisce di indagini che

hanno riguardato il Casinò di Sanremo, nell’ambito delle quali (seppur

non vi siano state contestazioni di reati mafiosi) sono state accertate

pericolose relazioni tra l’assistente del direttore ed un affiliato

al clan camorristico Zaza, collegato a diversi clan operanti in Liguria

Nel mirino anche le slot machine,

che riempiono interi saloni sulle navi da crociera. Il rapporto ricorda

lo stratosferico debito (90 miliardi di euro) accertato dalla Corte

dei Conti ed accumulato da alcune concessionarie che gestiscono in Italia

le slot. Fra queste spicca «Atlantis World Giocolegale Ltd, filiale

italiana della multinazionale del gioco Atlantis World Nv. (con sede

nel paradiso fiscale di Saint Maarten, nei Caraibi), controllata da

Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, già

indiziato di appartenere all’associazione mafiosa catanese capeggiata

da Nitto Santapaola (e coinvolto anche nei tentativi di controllo dei

casinò di Sanremo e Campione d’Italia)».

«Capitali russi ed ex sovietici in genere – conclude Pisanu – hanno

garantito acquisti di strutture turistico-alberghiere in Italia ed anche

in Liguria».

Domnica

è sempre Domnica

Torniamo al disastro o, meglio, a quell’ora

circa di navigazione che precedette l’impatto. Sgombrato il campo

dai gossip delle prime ore, emergono infatti dettagli sulle qualifiche

professionali di Domnica Cermotan, la donna che durante la manovra di

“accostamento spinto” all’isola si trovava in zona plancia. La

“moldava”, così come da tutti è stata ormai definita benché sia

rumena, sotto le mentite spoglie di ballerina ed intrattenitrice, nasconde

una preparazione di ferro. Conosce sette lingue ed ha spiegato

ai pm che il suo compito era di diramare messaggi agli ospiti russi.

È lei, Domnica, che quella sera si trovava a cena nell’esclusivo

ristorante Club Concordia. Era al tavolo con Schettino e con un altro

personaggio, il cui nome non è ancora stato reso noto. Stando alla

testimonianza di una anziana coppia, “il terzo uomo” indossava un’uniforme.

Schettino dichiara ai magistrati che con loro a cena c’erano «diversi

ufficiali». Ma le foto scattate da una coppia che era al ristorante

mostrano solo i tre. I pm hanno inoltre accertato che quella doveva

essere una cena importante, visto che il comandante aveva chiesto al

suo secondo ufficiale di rallentare la navigazione per farla durare

più a lungo.

Cosa dovevano dirsi i tre, nei sessanta

minuti e passa che precedettero l’arrivo in plancia di Schettino,

“scortato” dalla Cermotan? E quando lei segue il comandante lo fa

solo per rispondere a un gentile invito, come è stato scritto,

o aveva un compito ben preciso da svolgere, secondo gli accordi suggellati

durante l’“ultima cena” con il terzo uomo? Domnica è anche la

persona che, subito dopo l’urto, si precipita nella cabina di Schettino

per “salvare” il personal computer del comandante.

Lo rimetterà nelle sue mani una volta in salvo sull’isola. Poche

ore dopo, la mattina del 14 gennaio, un’altra donna lo prenderà in

consegna all’Hotel Bahamas del Giglio, dove Schettino si era rifugiato

nelle prime ore del mattino. E’ l’avvocato di Costa Crociere, Cristina

Porcelli, inviata dalla compagnia al fianco del comandante. Interrogata

a Grosseto, la donna nega di aver mai ricevuto il pc. Che però, di

fatto, risulta tuttora irreperibile. Quali dati “sensibili” conteneva

il computer del capitano? Probabilmente qualcosa che sia lui, sia Domnica,

conoscevano bene. Il segreto, forse, di quella cena a tre.

I signori dei rubli

Chi o che cosa doveva arrivare quella

notte sull’isola del Giglio? Di quali traffici era diventata avamposto

inconsapevole la perla del Tirreno, paradiso dei sub di tutto il mondo?

O quello che si doveva lanciare, passando radente lungo le coste dell’isola,

era solo un segnale? Sta forse in questi interrogativi l’inconfessabile

ragione che costringe Schettino a deviare la rotta, probabilmente con

l’appoggio di qualcuno che, come lui, a bordo sapeva.

Così come, in un simile quadro,

appare assai meno strana un’altra circostanza sbalorditiva rimasta

fino ad ora senza spiegazione: le prime scialuppe che arrivano al Giglio

quella notte servono a mettere in salvo esclusivamente tutti i 111 passeggeri

di nazionalità russa presenti sulla nave. Mentre tanti si gettano in

mare, durante gli attimi di panico che segneranno per sempre la loro

vita, nei minuti tragici in cui c’è chi perde la vita intrappolato

in cabina o perché cede il suo posto sui mezzi di salvataggio ad anziani

e bambini, i signori dei rubli non incontrano difficoltà a trovare

posto e a salire tutti insieme sui primi mezzi in partenza. Quasi che

qualcuno fra loro, in precedenza, fosse già preparato ad una simile

eventualità. Secondo le testimonianze, inoltre, non risultano turbati

né particolarmente sconvolti, a differenza di tutti gli altri naufraghi.

Cominciano, anzi, a fotografare l’isola da ogni angolatura, compreso

lo scafo affondato, quasi fossero turisti “per caso”. Salvo poi

costituirsi a fine gennaio (ma solo in 35) nel giudizio contro la Costa

Crociere.

E quando tutti gli altri naufraghi

trovano rifugi di fortuna grazie all’ospitalità dei gigliesi, i russi

«vengono condotti in alberghi di Roma, Milano e Nizza», si

legge su Russia Today.

La versione Dubinsky

Intanto, l’ombra di strani personaggi

provenienti dal “reame” di Putin, con relativi traffici lungo l’asse

Mosca-Toscana, arriva su tutta la vicenda Concordia anche sotto le spoglie

di un sedicente funzionario del ministero dei trasporti russo, tale

Andrei Dubinsky. Il quale lo scorso 25 gennaio si presenta sull’isola

del Giglio a bordo di un panfilo dal nome già di per sé evocativo,

007. “Zero Zero Seven”: così si chiama lo yacht dal

quale sbarca Dubinsky, accompagnato da quello che sembra essere un suo

partner stretto in affari, il fiorentino Marcello Zeppi. Lo stesso che

il giorno prima aveva preannunciato via mail al capo della Protezione

Civile Franco Gabrielli (fra l’altro ex vertice dei Servizi segreti

italiani) il loro arrivo.

La storia di Dubinsky e del suo strano

partner in affari, Zeppi, ci riporta incredibilmente a Sorrento, patria

del comandante Schettino. E vediamo perché.

Cinquantasei anni, originario del senese,

l’intraprendente Zeppi comincia con una piccola impresa che si occupa

di pitturazioni e imbianchinaggio degli edifici, la Eco Service con

sede a Impruneta, quartier generale di tutte le sue future iniziative.

Così nel corso degli anni, mentre Eco Service diversifica – prima nel

business delle piastrelle da arredamento, poi nella commercializzazione

di apparecchi per le pulizie di aerei e navi – il patron Zeppi si spinge

fino ad arrivare, con un salto quadruplo, all’organizzazione di eventi

attraverso la SMZ, acronimo di Studio Marcello Zeppi, che lo vede in

pista con la giovane russa Tatiana Gribova. E’ lei che nel 2010 si

siede alla tavola rotonda sulle “Eccellenze Fiorentine” come rappresentante

della Citm srl. Vale a dire la casa costruttrice dello yacht 007 sbarcato

al Giglio. Una società che vede Marcello Zeppi come socio fondatore

e la stessa Tatiana in veste di liquidatore.

Quanto a Dubinsky, indicato dalla stampa

come “misterioso magnate russo”, sul sito della Citm figura in veste

di designer delle imbarcazioni. Come si arriva a Sorrento? A bordo degli

007, visto che partner primario della Citm (Centro Internazionale di

tecnologie del Mare) made in Zeppi è l’armatore siciliano Carlo Rodriquez.

Lo stesso che risulta indissolubilmente collegato, attraverso la partnership

in SNAV, celebre compagnia di aliscafi e traghetti, a Gianluigi D’Aponte,

l’armatore di Piano di Sorrento proprietario della Msc Crociere. Che

è il primo competitor europeo di Costa Crociere.

Quel passato che ritorna

È l’alba del 6 novembre 2008 quando

il comandante Mario Castaldi, 53 anni, residente a Piano di Sorrento,

viene ritrovato sgozzato con un coltello da cucina a bordo della nave

“Paxi-C” in navigazione al largo delle coste di Finisterre, in Spagna.

Sposato, padre di tre figli, Castaldi aveva navigato per anni con la

Msc, il colosso dei sorrentini D’Aponte, poi era passato con la compagnia

Italtrag di Napoli, proprietaria della nave cargo comandata da Castaldi.

La società armatrice, di lì a poco, andrà in fallimento.

Un’altra tragica vicenda, prima del

naufragio del Concordia, aveva turbato la famiglia di Francesco Schettino.

Mario Castaldi era infatti cognato del comandante ora ai domiciliari,

avendo sposato una sorella della moglie Fabiola Russo. Una donna bella

e forte, così viene descritta in paese la signora Schettino, che anche

quella volta, quattro anni fa, aveva saputo imprimere fermezza e serenità

a tutta la famiglia.

Ma proprio in queste drammatiche settimane,

quando si attende l’incidente probatorio che deciderà il destino

giudiziario del comandante Schettino, il fantasma della tragedia del

2008 sta tornando ad affacciarsi. A Sorrento circola voce che l’aggressore

di Castaldi, l’allora trentasettenne Andrea Della Rasa, secondo responsabile

di macchina, assolto perché considerato affetto «da disturbo delirante

in personalità paranoide», potrebbe lasciare a breve l’istituto

psichiatrico giudiziario di Genova nel quale era stato recluso per un

periodo di dieci anni.

«Già

da qualche tempo – spiega una fonte bene informata della zona – circolava

la notizia che Della Rasa sarebbe stato rimesso in libertà». Un

altro duro colpo per la famiglia di Schettino.

Sulle vere ragioni di quell’orrendo

delitto, peraltro, non era mai stata fatta piena chiarezza. Il cargo

portacontainer, salpato da Alessandria d’Egitto e diretto a Gijon,

nelle Asturie, si trovava in quel momento a 22 miglia al largo della

Galizia, in acque internazionali.

Quanto all’assassino, ecco cosa si

legge nel suo curriculum: «Andrea Della Rasa, iscritto nelle matricole

della Gente di mare di Genova dal 1993, aveva lavorato per 12 anni con

Costa Crociere».

Rita Pennarola
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/
2.03.2012

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