QUANDO PARLA MEIR DAGAN…

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DI BRIAN M. DOWNING
Asia Times Online

Washington si sta ancora occupando degli ultimi eventi che riguardano il programma nucleare iraniano e le richieste di attacco.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha recentemente visitato la città per perorare la sua causa pro-bellica al presidente Obama e alle riunioni dei gruppi a sostegno di Israele.

Non è potuto andarsene contento, dato che Obama ha snobbato le sue argomentazioni e ha insistito sulla necessità di una maggiore diplomazia. Ma il dibattito continua sui media statunitensi e nell’attuale campagna presidenziale. Netanyahu sta mobitando le sue forze per spingere gli Stati Uniti ad attaccare l’Iran o ad appoggiare un’azione israeliana. Questo, sostiene il premier, prima che gli impianti per l’arricchimento dell’uranio vengano trasferiti in luoghi nascosti nelle montagne, dove potrebbero rendersi invulnerabili agli attacchi.Netanyahu non può neanche essere contento del fatto che l’ex capo del Mossad, Meir Dagan, ha parlato ai media statunitensi con un approccio più coerente alla posizione di Obama riguardo le sanzioni ulteriori e le negoziazioni. Dagan è un esperto osservatore di geopolitica: le sue parole hanno un certo peso.

Qualche minuto con un capo del Mossad

Meir Dagan è di recente apparso nel famoso programma americano 60 Minutes, dove se l’è presa con Netanyahu e gran parte della destra americana e israeliana, anche se in modo indiretto. L’intervista è stata inframezzata da foto e aneddoti a sostegno delle notevoli credenziali militari di Dagan e della sua probabile associazione con una serie di omicidi in Medio Oriente. Aveva già parlato lo scorso anno contro la guerra in Iran, descrivendola la “cosa più stupida che abbia mai sentito”.

L’ex capo del Mossad ha sottolineato, con qualche riserva, il “raziocinio” della dirigenza iraniana. Dagan non ha impartito al pubblico americano lezioni di filosofia cartesiana o di teoria dei giochi. Si è schierato contro gli israeliani e gli americani che affermano – e forse persino credono – che l’Iran sia governato dal folle tentativo dei religiosi di porre fine alla vita sul pianeta con le armi nucleari. La garanzia della mutua distruzione, afferma Dagan, può davvero avvenire in Medio Oriente. È stata la base dello stallo tra USA e URSS per decenni, e ha tenuto il conflitto in equilibrio fino alla caduta del regime comunista.

Dagan ha seguito i rapporti con l’Iran per decenni. Sa che Israele aveva forti legami con l’Iran ai tempi dello shah e anche al momento della presa di potere dei mullah nel 1979, quando gli israeliani collaborarono nella lunga guerra contro l’Iraq (1980-1988). La crisi delle relazioni non è venuta da un cambiamento nell’ideologia o nella politica di Teheran; è giunta da una svolta politica di Gerusalemme dopo la distruzione dell’esercito di Saddam nella Prima Guerra del Golfo quando, improvvisamente e forse in modo errato, ha pensato che fosse pericoloso e privo di controlli. L’Iran si è rapidamente trasformato in nemico.

L’ex capo del Mossad non esclude la necessità di un attacco contro l’Iran, ma ritiene che il paese non avrà un’arma nucleare prima di tre anni. Preferisce la posizione americana che traccia una linea di demarcazione sull’attuale produzione di armi e non un’iniziativa contro gli impianti nucleari nelle montagne, offrendo così all’Iran un modo degno per evitare il conflitto. Al momento, Dagan auspica il proseguimento delle sanzioni e delle negoziazioni, oltre a sostenere un cambio di regime in Iran.

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La sua apparizione in televisione ha un significato notevole. È stato come se un ex capo della CIA o dell’esercito americano si fosse fatto avanti nel 2003 e avesse espresso il proprio rammarico per l’invasione dell’Iraq su una delle principali reti televisive.

Forse Dagan sta pensando ad altro: una guerra contro l’Iran potrebbe causare attacchi missilistici devastanti sulle città israeliane, oltre ad una guerra regionale le cui “sfide alla sicurezza sarebbero insostenibili”.

Il Likud e Israele

Il pubblico americano ritiene che le dichiarazioni sulla sicurezza nazionale israeliana, sia del Primo Ministro israeliano che di un organismo statunitense come l’AIPAC – American Israel Public Affairs Committee, siano imparziali e neutrali. Le parole di Dagan scardineranno questa ipotesi, così come i continui appelli di Netanyahu a favore del conflitto.

Le valutazioni sulla sicurezza nazionale sono costituite da pareri, stime e spesso da congetture. Si basano più su pregiudizi che su fatti reali. Quella macchia scura sull’immagine satellitare è un impianto di fertilizzazione o un silos missilistico? I pareri possono mutare a seconda delle persone e delle istituzioni.

Il punto di vista degli israeliani è stato senza dubbio segnato dall’Olocausto, un evento che ha ovvi, anche se sovrastimati, paralleli con la situazione odierna. Il Likud di Netanyahu e gli altri partiti conservatori della coalizione sono anche condizionati dalla miracolosa vittoria del loro piccolo stato contro i più grandi eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni.

Di sicuro, molti pensano che si sia trattato del segnale che la divina provvidenza guidi le azioni del paese, una visione ristretta che si riscontra in altri paesi e in altre confessioni. Il fondamentalismo religioso si è fuso con la ragion di stato – ognuno dogmatico a modo suo – e ha ridotto l’influenza dei politici, più in linea con la moralità talmudica e il pensiero sfumato.

L’atteggiamento aggressivo di Netanyahu non si basa su un vasto consenso nell’opinione pubblica israeliana. Di fatto, un recente sondaggio ha scoperto che solo il 19% degli israeliani è a favore di un attacco unilaterale contro l’Iran che, alla luce delle posizioni di Obama, è l’unica modalità per muoversi contro l’Iran.

Allo stesso modo, il suo partito e i colleghi della coalizione non hanno ottimi trascorsi in politica estera. Nei trentacinque anni dopo la creazione del primo governo Likud di Menachem Begin, hanno commesso molti errori di calcolo.

Le incursioni in Libano contro i militanti dell’OLP hanno provocato l’opposizione sciita e la nascita di Hezbollah. Gli sforzi per indebolire Fatah hanno rafforzato Hamas. Le reazioni sproporzionate agli attacchi palestinesi hanno indebolito il governo di Mubarak in Egitto. Gli insediamenti in Cisgiordania provocano le critiche di gran parte del mondo e stanno coalizzando il supporto per un boicottaggio. Più in concreto, la rottura di Israele con l’Iran a metà degli anni ’90 (all’epoca della coalizione Likud-Laburisti) ha giocato un ruolo significativo nel favorire l’attuale crisi.

Tamburi di guerra e opinione pubblica statunitense

Le dichiarazioni di Dagan arrivano con buona tempistica. Verranno da molti caldamente condivise e ripetutamente citate, insieme al suo commento del 2011 sulla stupidità di un attacco contro l’Iran. Il pubblico americano è sempre stato pronto ad appoggiare la maggior parte delle iniziative militari sin dalla Seconda Guerra Mondiale, ma oggi è preoccupato dall’economia e dal debito. Dopo le ultime esperienze, gli americani sono scettici verso scenari che comportino bombardamenti chirurgici o conseguenze gestibili.

L’Iran è diventato un problema che divide, con i politici conservatori e i media che sono fermamente a favore della guerra o di attacchi isolati con ovvie conseguenze. Obama si è detto a favore della diplomazia e delle sanzioni, e secondo i sondaggi ha il favore del pubblico. Un sondaggio di febbraio scorso sulla situazione in Iran ha rivelato che il 60% degli intervistati è a favore del proseguimento delle trattative e delle sanzioni, il 20% preferirebbe non agire, il 17% sostiene un’azione militare.

La posizione di Obama potrebbe venire rafforzata dalla tendenza, apparentemente slegata, del miglioramento delle prospettive economiche e dalla mancanza di attrattiva dei candidati conservatori alle presidenziali, i cui rozzi appelli all’azione non arrivano al di fuori della cerchia dei fanatici di partito. Spingere per il conflitto da qui alle elezioni di novembre potrebbe evidenziare la natura faziosa e impraticabile del programma di Netanyahu, sia al pubblico americano che a quello israeliano.

Meier Dagan è comparso all’improvviso e, con l’aiuto di una rete americana, ha parlato al pubblico statunitense nel mezzo di un dibattito su un guerra imminente. Nei prossimi mesi, le sue parole rimbalzeranno nei gruppi di pressione e negli uffici della sicurezza, forse anche all’interno dell’AIPAC. Vedremo se le parole di Dagan avranno più peso di quelle di Bibi.

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Brian M. Downing è un analista politico/militare e autore di The Military Revolution and Political Change [La Rivoluzione Militare ed il Cambio Politico, ndt] e di The Paths of Glory: War and Social Change in America from the Great War to Vietnam [I Sentieri di Gloria: Guerra e Cambio Sociale in America dalla Grande Guerra al Vietnam, ndt]

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Fonte:
When Meir Dagan speaks …

13.02.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

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