DI LUDO SIMBILLE
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Altoparlanti da combattimento, proiettori
sonori, LRAD (Long Rage Acoustic Device), ultrasuoni repulsivi, macchine
detonatrici… una serie di gioellini tecnologici creati per fare la
guerra o mantenere l’ordine.
Come viene utilizzato il suono per
disperdere le manifestazioni, controllare lo spazio pubblico o torturare
i prigionieri? Juliette Volvler, nel suo libro Le son comme arme (Il
suono come arma) ha condotto un’inchiesta minuziosa sui retroscena
della “repressione acustica”. Intervista.
Basta!: Si può
parlare di un’evoluzione recente delle tecniche di
«repressione acustica»?
Juliette Volcler:
Alla fine del 2000 sono stati pubblicati degli articoli sull’argomento
: la musica come mezzo di tortura nelle prigioni della CIA, l’utilizzo
di un nuovo tipo d’arma «non letale » nelle manifestazioni, i LRAD
(Long Range Acoustic Device) – ben presto chiamati dai media
«cannoni sonori» -, l’uso del Mosquito, che emette suoni ad alte
frequenze per cacciare gli «indesiderati» da certi luoghi. L’uso
del suono per reprimere, controllare o torturare non è nuovo, ma l’unione
di questi tre metodi – in tempo di guerra, per il mantenimento dell’ordine
e per il controllo dello spazio pubblico – sembra indicare delle trasformazioni
nelle pratiche poliziesche o militari.
Quando mi sono interessata all’argomento,
sono rimasta stupita nel costatare come sia difficile districare le
voci, le approssimazioni e i fantasmi dai fatti reali: gli industriali
e i militari sono i primi a fare discorsi abbastanza immaginari sulle
armi. Ho, quindi, voluto sapere che cosa fosse vero, fare il punto su
ciò che ha fallito e ciò che esiste, gli effetti reali che tali tecniche
possono avere.
La musica e il suono sono sempre
stati utilizzati dall’esercito o la polizia. Ma da quando sono diventati
strumenti di dominazione o di tortura?
La diffusione di suoni nello spazio
pubblico è una pratica molto antica. Ma i progressi tecnologici della
seconda metà del XX secolo hanno consentito l’utilizzo di altoparlanti
per emettere il suono a lunga distanza, a forte volume, e per delle
ore o dei giorni di seguito. L’elaborazione della «tortura psicologica»
o «tortura bianca» è stata condotta da un programma della CIA negli
anni ‘50 e ‘60. Prima che fossero istituiti tra i metodi d’interrogatorio
dell’agenzia e altrove, alcuni esperimenti di privazione sensoriale
erano stati praticati su cavie umane, volontarie o meno. Queste tecniche
hanno permesso di mettere a punto tattiche di “modifiche del comportamento”
e di “azioni di molestia”. È soprattutto dalla guerra del Vietnam
che il suono diventa uno strumento di combattimento. L’episodio di
Noriega, nel 1989, nel corso del quale il generale panamense è stato
bombardato con musica hard rock dagli altoparlanti statunitensi,
completa l’avvio della pratica. In seguito, questa tecnica integra
in modo progressivo le missioni di polizia.
«Le bombe sonore sono meglio di
quelle vere», ha dichiarato il governo israeliano. Il suono è
un’arma “efficace” per la guerra e per il mantenimento dell’ordine?
I ricercatori e i militari si sono
interessati parecchio agli “effetti exta-uditivi” del suono: le
vibrazioni che il suono può produrre su altre parti del corpo, oltre
che sull’orecchio, o le difficoltà respiratorie e le leggere nausee
che può provocare a forte volume. In realtà, i dispositivi utilizzati
hanno essenzialmente degli effetti uditivi: sono efficaci perché sono
insopportabili (e pericolosi) per l’orecchio. Queste armi costituiscono
un atout considerabile: la miscela di fascino e di paura che
suscitano, largamente alimentata dall’assenza d’informazioni per
spiegarne il funzionamento. E per il potere, offrono una possibilità
in più nelle scelte tattiche e presentano il vantaggio di essere meno
facilmente criticabili rispetto all’armamento classico.
Le armi sonore sono spesso presentate
come “non letali”. È davvero così?
Sono state realizzate delle ricerche
per rendere il suono mortale. Dei ricercatori tedeschi si sono dati
da fare sotto il Terzo Reich, senza successo. Sara, la società più
emblematica che si occupa di questa ricerca negli Stati Uniti, ha inoltre
cercato di sviluppare un’arma modulabile, che potesse provocare degli
effetti che vanno dal semplice disturbo alla morte. Ma neppure Sara
c’è riuscita.
Gli studi indipendenti sulle armi acustiche
non negano la possibilità di uccidere per mezzo del suono, ma
sarebbe un metodo poco pratico e abbastanza aberrante da un punto di
vista militare o poliziesco. Ciò richiederebbe un dispositivo di grande
ampiezza e di una considerevole potenza acustica. Quindi, difficilmente
maneggevole e irrealistico per un utilizzo sul campo. Secondo la valutazione
condotta da un ricercatore, per far sì che un infrasuono controllabile
possa uccidere, bisognerebbe costruire una parabola di più di un kilometro
di diametro, con una potenza equivalente a quella del missile Saturno
V al momento del lancio! Quanto agli ultrasuoni, potrebbero diventare
mortali a un livello sonoro rilevante (180 dB) e a condizione che si
mantenga la persona nel campo ultrasonico per almeno 50 minuti. Il livello
sonoro di un’esplosione può diventare letale se raggiunge i 210 dB.
Non è di certo il caso dell’armamento classico attuale.
Il vero interesse militare del suono
non risiede nel suo potenziale letale: le armi acustiche sono efficaci
soprattutto sul piano psicologico e sul piano uditivo. L’utilizzo
del suono (o della sua assenza) come strumento di tortura e, in maniera
generale, le tecniche di privazione sensoriale, permettono di ottenere
la distruzione psichica di un/a detenuto/a molto più rapidamente e
più radicalmente. Uno psichiatra ha determinato che certi prigionieri
dell’IRA, sottomessi a queste tecniche nel 1971, erano diventati psicotici
dopo qualche ora.
Durante il Summit del G20 di
Pittsburgh, nel 2009, abbiamo visto come la polizia americana ha utilizzato
le armi
sonore contro
i manifestanti. Dove si colloca la Francia rispetto a questo tipo di
pratiche? Perché non c’è un dibattito pubblico?
L’ultimo Libro Bianco della Difesa
cita appena le tecnologie sonore, come strumenti di rivelazione. La
Francia ha sviluppato un savoir-faire per quanto riguarda le
granate paralizzanti, ma non ha utilizzato la ricerca e lo sviluppo
nel campo acustico. I dispositivi in uso provengono essenzialmente dagli
Stati Uniti o da Israele. Un giornalista, Hacène Belmessous, nel suo
libro “Opération
banlieues”, ha tuttavia
segnalato che la fanteria ha voluto far sperimentare ai soldati un’arma
israeliana già utilizzata nei territori occupati, lo Shophar, che emette delle frequenze medie a forti
livelli. Precisa anche che i soldati si sono opposti a causa dei rischi
legati all’udito e che la direzione generale dell’Esercito resta
scettica sulla capacità dei cittadini ad accettare questi dispositivi,
raccomandando, comunque, di seguire il dossier. In Francia non ci sono
molte informazioni disponibili.
In questo contesto, le discussioni
sull’introduzione di un nuovo tipo di armi per il mantenimento dell’ordine
o sull’impatto uditivo di armi poco conosciute ma già utilizzate
(come le granate di disaccerchiamento, DMP) sono alquanto complicate.
E poi l’utilizzo del suono o della musica è minimizzato di continuo:
non sarebbe poi così grave perché si tratterebbe “solo” di suono.
Mentre è tutto fuorché irrilevante. Ciò ha un impatto sul nostro
modo di occupare lo spazio pubblico. L’associazione canadese per le
libertà civili (CCLA) ha sporto denuncia nel 2010 per impedire
che la polizia di Toronto usasse i LRAD contro i manifestanti
venuti per il G-20, affermando che certe persone non sarebbero andate
a manifestare a causa di questi dispositivi, temendo per il loro udito
e per quello dei loro bambini. Molto efficace come strategia di dispersione
anticipata della manifestazione! Ciò non ha portato al divieto dei
LRAD in Canada, ma ad un uso un po’ più controllato.
Dischi dei Metallica usati contro
i prigionieri, gadget ludici degni
di videogiochi. Perché il suono da guerra appare come un divertimento
?
Durante l’ultima guerra in Irak,
le Gis diffondevano il contenuto dei loro mp3. La musica serviva loro
sia per fare festa o rilassarsi, sia per molestare un intero quartiere
o torturare un prigioniero. I soldati si sono anche resi conto che il
rap o la musica metal erano le più suscettibili di urtare la sensibilità
culturale e religiosa dei detenuti, fossero essi combattenti o civili.
Sono stati utilizzati anche altri stili di musica che non rispecchiavano
i gusti musicali dei soldati, ma che erano considerati come potenzialmente
più efficaci per umiliare il prigioniero o per sfiancarlo: la posta
in gioco era trovare ciò che avrebbe funzionato sui detenuti, per riprendere
i termini di un ufficiale statunitense.
Questo è sintomatico di un movimento
di fondo, molto più antico e formalizzato: nella seconda metà
del XX secolo ci sono state sempre più comunicazioni tra l’industria
degli armamenti e quella dell’intrattenimento. Per esempio, il riciclaggio
di materiale militare per equipaggiare degli studi di registrazione,
o per richiedere delle consulenze ai fabbricanti di prodotti high-tech
per sviluppare altoparlanti da combattimento e, dagli anni 1980-1990,
gli scambi di personale e lo sviluppo di piattaforme di simulazione.
Queste permettono ai soldati di allenarsi con i giochi in rete o per
mezzo di ambienti ricostituiti, immergendosi «in condizioni reali».
All’università tecnico-scientifica del Missouri, da qualche tempo,
esiste un «ambiente d’immersione acustica», una sorta di teatro
sonoro in 3D per abituare i soldati al vero suono della guerra.
La tecnologia a scopi di sicurezza
sta diventando un mercato appetitoso. Dobbiamo aspettarci un uso personale
del suono – da parte delle imprese o dei privati
– secondo l’esempio del «Mosquito» o del «Beethoven», questa
cassa a ultrasuoni per cacciare i senza tetto, i giovani o le altre
persone non desiderate?
In Francia, per fortuna, c’è molta
esitazione, sia da parte dei cittadini che della classe politica. Un
privato aveva equipaggiato la sua abitazione con dei sistemi sonori,
ma il tribunale di Saint-Brieuc ha trattato il caso come un «anomalo
disturbo del vicinato» e un «inquinamento sonoro per tutti».
In certi paesi, come in Gran Bretagna, il Mosquito è usato nei trasporti
pubblici, nelle scuole e nei negozi. Alcuni universitari, specialisti
in armi non letali, allertano sul rischio di proliferazione di queste
armi, il cui utilizzo è sempre più frequente verso i crimini (il
Taser ad esempio) e per la tortura. Vista l’assenza di regolamentazione
specifica e di un buon numero di studi indipendenti sull’uso di questi
dispositivi, coloro che li fabbricano ne vantano contemporaneamente
l’efficacia immediata e l’inoffensività a lungo termine, e alcuni
di questi marchingegni, come il Mosquito, sono in vendita libera.
Di fronte ai LRAD, agli altoparlanti,
alle granate flash-bang, lei mostra che la fuga, o anche il solo tentativo,
è spesso impossibile. Esiste un modo per resistere all’arma sonora?
Esisterà. L’uso di questa tecnologia
nelle manifestazioni è troppo recente e non si è ancora avuto il tempo
di pensare a come contrastarla. I tappi per le orecchie (le sfere
Quiès) o i caschi anti rumore non servono a granché. Bisogna fuoriuscire
dalla zona di emissione del suono. Ma è necessario chiedersi che cosa
implica questo tipo di dispositivo nei termini di organizzazione collettiva
e di occupazione dello spazio pubblico. La gestione degli spostamenti
e dei comportamenti tramite il suono esige che lo spazio pubblico non
sia più un luogo di mescolanza, di passeggio o di rivendicazione, ma
una zona uniforme, politicamente asettica, di consumo e di flusso.
Lo spazio sonoro di una manifestazione
coincide con un allarme stridente e con le granate assordanti che creano
il vuoto intorno? Oppure con dei canti, degli appelli, delle fanfare,
dei suoni che uniscono il collettivo e lo rendono forte? Lo spazio sonoro
del centro città è una musica ambientale che calma tutti con frequenze
sonore che allontanano i giovani? O performance improvvise, discussioni
aperte, musicisti di strada, una gioiosa mescolanza di mille attività
? Sta a noi decidere!
Propositi raccolti da Ludo Simbille
Da leggere: Il suono some arma. Gli
utilizzi polizieschi e militari del suono, edizioni La Deécouverte,
settembre 2011, 16 euro
Juliette Volcler è giornalista per CQFD, Article XI e per le radio Fréquence Paris Plurielle e Radio Galère a Marsiglia.
Fonte: Quand le son et la musique deviennent des armes de maintien de l’ordre
10.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA B.