DI EUAN MEARNS
The Oil Drum
Negli ultimi cinquanta anni, quando il prezzo
del petrolio è schizzato in alto, ha sempre causato inflazione o, nel caso
che sia rimasto vicino a una media annuale di 100 dollari, si è sempre verificata una recessione in molti paesi dell’OCSE (vedi, ad esempio, il Regno Unito più in basso). Al 24 maggio del 2001, la media annuale corrente per il Brent era di 91,33 dollari.
Le domande fondamentali sono: 1) l’economia mondiale è riuscita ad adattarsi a prezzi più alti per l’energia rispetto al picco del prezzo; oppure 2) l’economia mondiale è più vulnerabile agli altri prezzi dell’energia?
Con il debito USA al suo tetto legale,
con il QE2 che dovrà estinguersi alla fine di giugno, la crisi
del debito dei paesi PIGS che si sta acuendo in Europa, l’inflazione
dei beni di consumo che sta prendendo piede nel Regno Unito e in altri
paesi e i profondi tagli alla spese che colpiscono i paesi OCSE, ci
attende sicuramente un periodo di grosse incertezze.
Figura 1 I prezzi del
Brent è in rosso e la media annuale è tracciata in blu. Seguendo la traiettoria
corrente la media annuale raggiungerà quest’inverno i 100 dollari al barile.
Il massimo raggiunto di recente è il nuovo picco della quotazione del petrolio? O l’economia globale
si è adattata a prezzi più alti per l’energia? I dati giornalieri del prezzo del petrolio sono desunti dalla EIA.
Gli eventi globali si sono estremamente
velocizzati nella prima metà del 2011 ed è stato difficile stare al passo. Tra le conseguenze dei terremoti, lo tsunami e il meltdown in Giappone, la “Primavera Araba”, la guerra in Libia e l’assassinio di Osama bin Laden, anche i prezzi del petrolio sono saliti da 80 a più di 120 dollari al barile.
La risposta politica a tutto questo,
almeno in Gran Bretagna, è stata muta a pensare bene, straordinariamente
stupida a pensare male (vedi sotto). Molti commentatori del settore
energetico hanno ancora ricordi freschi del crash finanziario
del 2008. È oramai chiaro che per promuovere la crescita economica
sono necessarie sempre maggiori forniture di energia a basso prezzo.
Quando queste forniture diventano scarse e la domanda cresce più dell’offerta,
la risposta economica è quella dell’innalzamento dei prezzi, che
promuove sia la crescita economica (con un spostamento temporale in
avanti), ma comprime anche la domanda, causando una recessione. La pressione
della crisi ha due facce. La prima, i consumatori che spendono più
in combustibili liquidi e in energia per le abitazioni hanno meno da
spere per tutto il resto. La seconda, gli altri prezzi dell’energia
scatenano l’inflazione che, in un monto monetario, deve essere contenuta
alzando i tassi d’interesse.
Le cause della crisi del 2008 sono
complesse, con la “contrazione del credito” che ha il posto
più rilevante e il ruolo degli alti prezzi dell’energia che
hanno contenuto le aspettative dell’élite politica riguardo le economie
mondiali. Jeff
Rubin, in un discorso a ASPO 9,
ha fornito uno sguardo laconico del ruolo svolto dagli alti prezzi del
petrolio nel crash del 2008.
Il diagramma qua sotto mostra la correlazione
tra gli alti prezzi del petrolio e la recessione nel Regno Unito. Molti
altri hanno prodotto versioni di questo grafico che variano da paese
a paese. Negli ultimi 50 anni la Gran Bretagna ha sperimentato quattro
grandi recessioni: tre sono collegate a shock petroliferi (in
blu), la quarta da uno stress causato da un tentativo di minare l’unione
monetaria europea (in marrone).
Figura 2 La crescita
del PIL e la media annuale dei prezzi del petrolio nel Regno Unito.
Gli shock petroliferi del 1973, del 1979 e del 2008 sono sempre stati
seguiti da una recessione (le strisce blu). La recessione del 2008-2009
è stata particolarmente acuta perché è stata spinta dagli alti prezzi
dell’energia e dal collasso del sistema bancario. La quarta recessione
(in marrone) fu causato da un tentativo del Regno Unito to pin il tasso
di cambio della sterlina inglese al marco tedesco. E questa
è una lezione per l’Europa che vale anche oggi! I prezzi
annuali del petrolio sono stati rilevati da dati dell’”Analisi Statistica
dell’Energia Mondiale” stilata da BP, mentre i dati sul PIL del
Regno Unito dall’Office
of National Statistics.
Dove andranno i prezzi del petrolio?
È impossibile prevedere il prezzo
del petrolio. In un recente studio su Global Commodity Watch,
Goldman Sachs (GS) ha innalzato la sua previsione per il prezzo del
petrolio a 12 mesi a i 130 dollari al barile e a 140 per la fine del
2012. Prevedono anche un aumento della produzione del petrolio fino
a 91 milioni di barili al giorno per la fine del 2012. GS crede con
forza che l’economia mondiale si è ormai adattata agli alti prezzi
dell’energia e che non ci siano problemi nell’espandere la capacità
produttiva.
Se la storia insegna qualcosa, con
la media annuale del Brent che ha raggiunto i 91,33 dollari sulla strada
per arrivare ai 100 quest’inverno, allora la seconda recessione collegata
ai prezzi del petrolio è alle porte.
La risposta della politica
La risposta politica nel Regno Unito
a questa catastrofe potenziale è stata deprecabile. Nel 2008 il
Regno Unito ha approvato il Climate
Change Act impegnando
il suo paese a ridurre le emissioni di CO2 di almeno l’80% per il
2050. Questa disposizione ora farà da guida a tutte le iniziative in
materia energetica. Nel 2010 abbiamo avuto le elezioni nazionali, con
un Parlamento bloccato e un’improbabile alleanza dei Conservatori
e dei Liberaldemocratici che sta guidando il paese, con la promessa
di essere Il Governo Più Verde mai avuto.
Nel suo ultimo bilancio il Ministro
delle Finanze, George Osborne, ha cancellato un incremento già pianificato
delle accise sui carburanti e ha al contrario aumentato le tasse in
modo significativo sulla produzione del Mare del Nord. Il budget
perciò promuove gli incrementi di consumo di energia mentre penalizza
la produzione diretta dell’energia, l’esatto opposto di quello che
il Regno Unito avrebbe bisogno.
Cosa ha guidato una così penosa
politica energetica?
Figura 3 Una
slide da una mia recente presentazione
a ASPO9 tenuta a Bruxelles.
Il diagramma alla sinistra mostra i consumi primari di energia nel Regno
Unito che sono in caduta con un grosso divario tra produzione e consumo.
Mi sembra ovvio che il Regno Unito dovrebbe fare qualsiasi cosa per
massimizzare la produzione primaria interna di energia e al tempo stesso
di ridurre il consumo. La conseguenza del non far nulla è quella di
avere un pesante impatto sulla bilancia
commerciale del Regno
Unito (in basso a sinistra) che porta poi ad ancora maggiori squilibri
finanziari che, assieme allo scarsità di energia a basso prezzo, sono
alla base della crisi dell’economia globale.
Figura 4 Il
budget di George Osborne provocherà un declino accelerato nella
produzione di gas e del petrolio nel Mare del Nord con le conseguenze
descritte nella slide.
La presentazione a ASPO9 tenuta a Bruxelles
Soluzioni
Non ci sono soluzioni semplici alla
crisi globale dell’energia a basso costo, con il numero sempre maggiore,
di pari passo alle aspettative, della popolazione mondiale e i problemi
specifici per il Regno Unito dovuti alla contrazione della produzione
interna di energia. Non sono convinto che focalizzarsi sulle emissioni
di CO2 nel 2050 sia il modo migliore per spazzare via i rischi palesi
dati dai prezzi alti dell’energia che una gran parte della popolazione
non si potrà permettere.
Deve essere abbastanza chiaro che il
governo del Regno Unito deve fare di tutto per promuovere la produzione
locale di energia e questo potrebbe significare sostenere le compagnie
produttrici di petrolio e di gas e quelle nucleari per “produrre”
più energia. Allo stesso tempo dobbiamo individuare modi per usare
meno energia pro capite mentre nel frattempo va mantenuto un certo livello
del PIL per permettere servizi essenziali, come la salute e l’educazione.
Il governo deve sicuramente capire che innalzare i prezzi dell’energia,
che portano a una recessione, non è il sistema ideale per tagliare
l’uso dell’energia.
Fonte: http://www.theoildrum.com/node/7977#more
01.06.2011
Traduzione per www.comedonchischotte.org a cura di SUPERVICE