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La Redazione

 

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PICCO PETROLIFERO ED ECONOMIA GLOBALE

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A cura di Das schloss
Il 15 Febbraio 2009
79 Views

DI CLIFFORD J. WIRTH
Surviving Peak Oil

Recenti comunicati stampa segnalano il rapido deteriorarsi dell’economia statunitense: “Preparatevi ad ulteriori tagli,” “Licenziamenti di massa procedono a rapidi passi,” e “Il peggiore crollo economico da un quarto di secolo.”

Secondo la Banca mondiale, la recessione del 2008 continuerà nel 2009 e probabilmente anche nel 2010:

“Sembra chiaro che a metà 2008 in Europa, Giappone e Stati Uniti si sia manifestata una pronunciata recessione, che si protrarrà nel 2009. In tale situazione non è prudente scartare la possibilità di una rigida recessione mondiale. Anche se le ondate di panico che hanno travolto i mercati creditizi e azionari in tutto il mondo sono state controllate, la crisi provocherà con tutta probabilità un’accentuata contrazione delle attività, a causa del deleveraging (l’esatto contrario della leva finanziaria, il motore delle operazioni speculative. NdT) sui mercati finanziari già in corso e che si prevede continuerà”.

La Banca mondiale intravede qualche motivo di ottimismo nel 2010, ma conclude che “probabilmente la recessione globale durerà a lungo”.Vari analisti della Wharton School prevedono una recessione profonda nel 2010, e probabilmente anche dopo.

Gerald Celente, editore e direttore del The Trends Journal teme un collasso economico globale a partire dal 2009 (quel che segue è una sintesi dell’intervista, non una citazione diretta):

L’economia globale collasserà nel corso del 2009, dando inizio alla peggiore recessione del dopoguerra. Il settore dell’immobiliare commerciale si caratterizza per un elevato rapporto d’indebitamento e crollerà a fine febbraio o ai primi di marzo, quando i principali venditori falliranno e lasceranno liberi spazi commerciali che non verranno riempiti. Ciò provocherà ulteriori fallimenti nei settori finanziario e bancario e una maggiore disoccupazione, che già ora ha superato il 13%.

I due terzi circa dell’economia americana si basano sui consumi, che stanno velocemente riducendosi a causa della maggiore disoccupazione. Minori entrate personali significano una minore base di tassazione e la necessità di aumentare le tasse statali, locali e federali e i costi delle utenze.

Il collasso economico, sostiene Celente, sfocerà nella “Più Grande Depressione” e provocherà più frodi societarie, maggiore piccola criminalità, rivolte dei contribuenti, disordini, rivoluzione. Ora che la gente ha perso risparmi e lavoro, sopravvivere diventa qualcosa di concreto: nell’immediato futuro l’economia si caratterizzerà per frugalità e autosufficienza.

L’analista finanziario Gail Tverberg spiega la crisi economica in termini di “Piramide del debito”. Gran parte del debito riposa in ultima analisi sulle entrate personali, e siccome queste si riducono il debito diventa in gran parte un rischio: piani pensionistici senza accantonamento, programmi sanitari, previdenza sociale, debito federale, società garantite dallo Stato (ad esempio Fannie Mae e Freddie Mac), debito statale e locale, attività finanziarie, attività in genere, debiti personali (ipoteche, carte di credito, spese per l’istruzione). Tutto sembra giustificare le previsioni di Celente. Quando le entrate personali si riducono (a causa della crescente disoccupazione) i consumi si contraggono, i venditori al dettaglio falliscono, i grandi centri commerciali chiudono e non possono rimborsare i debiti, le istituzioni bancarie e finanziarie collassano.

ASPO-Ireland analizza l’economia alla luce del Picco petrolifero (estratti da ASPO Newsletter):

“La domanda di petrolio ha cominciato a superare l’offerta all’incirca nel 2005, quando la produzione di petrolio convenzionale (Regular Conventional Oil) ha raggiunto il tetto massimo. Lo scarto era comunque relativamente piccolo ed è stato in parte annullato senza troppe difficoltà con una modesta riduzione dei consumi.

Ma quando i prezzi si sono consolidati, i petrolieri e le istituzioni finanziarie speculative hanno cominciato a premere sul mercato, con il risultato di spingerli verso l’alto. Con il crescere dei già ampi profitti speculativi, la tendenza è andata gradualmente accentuandosi. In un mercato normale la tendenza sarebbe stata rapidamente contrastata con una maggiore produzione, ma nel caso del petrolio non esistevano riserve cui attingere e l’ondata speculativa ha portato a una scalata dei prezzi, che nel luglio 2008 hanno raggiunto i 150$ a barile. Poco prima di arrivare a questo livello, i trader hanno però pensato che ci si stava avvicinando al limite massimo e hanno cominciato a comprare futures a prezzi più bassi, rendendo così insostenibili prezzi di vendita così elevati, che nel frattempo avevano cominciato a danneggiare altri comparti economici (ad esempio le compagnie aeree e i fabbricanti di automobili). Gli stessi speculatori, che dipendevano in buona misura dalle possibilità d’indebitamento negoziate tra le banche senza adeguate garanzie reali, sono stati costretti a modificare le proprie posizioni nel settore petrolifero per cercare di risollevare gli affari in picchiata. L’intera struttura ha cominciato gradualmente a cedere, e i prezzi del petrolio si sono ridotti a circa 50$ a barile, anche se il rapporto reale tra offerta e domanda non era cambiato.

Il difetto del sistema consisteva nel trattare una risorsa finita, la cui produzione era in massima parte controllata dalle immutabili leggi della fisica, come se fosse un bene normale in grado di rispondere alle usuali pressioni del mercato. Se il prezzo delle patate aumenta gli agricoltori possono produrne di più e il mercato soddisfa la domanda; ma per il petrolio le cose sono diverse.

I governi hanno reagito al crollo riversando nel sistema ancora più denaro, anche in questo caso senza garanzie, nell’errata convinzione di potere in tal modo riaffermare la centralità della crescita continua e dare al mercato azionario i mezzi per reagire positivamente non appena i trader avessero percepito la nuova tendenza al rialzo. Ma i trader non sono realmente interessati: il loro lavoro consiste nel ricavare il massimo guadagno dai movimenti a breve.

Un’eventuale ripresa economica servirebbe ad aumentare la domanda di petrolio, che può in un certo qual senso essere considerato la linfa del mondo attuale, i cui prezzi tornerebbero ad aumentare. Probabilmente assisteremo a diversi cicli viziosi di questo tipo prima che i governi, e, cosa più importante, i consumatori comincino a capire una situazione che con tutta probabilità imporrà cambi radicali nello stile di vita del genere umano.

Nel frattempo, in tutto il mondo si stanno facendo sforzi disperati per salvare il sistema finanziario. Ad esempio, in un paese che sta affrontando una dura recessione, la Bank of England ha drasticamente ridotto i tassi d’interesse, prelevando in tal modo soldi dalle tasche dei risparmiatori per darli ai consumatori. Sembra ovvio che il governo non sia riuscito a capire le cause alla base della recessione e speri che il sistema possa tornare alle antiche condizioni iniettandogli una massa di moneta. Sono le premesse della crescita economica senza fine, un’idea del tutto irrealistica in un mondo di dimensioni finite; ma i governi devono essere rieletti, e hanno quindi per definizione la vista corta.

Pare lecito concludere che l’intero mercato azionario, e in particolare quello petrolifero, è diventato un’istituzione speculativa decisamente avulsa dalla realtà. Negli anni passati gl’investitori si alleavano per dar vita a un progetto specifico, ad esempio una linea ferroviaria o un canale navigabile, e i dividendi ottenuti erano il motivo gratificante. Le cose sembrano aver cominciato ad andar male quando gl’investimenti sono stati commercializzati sui mercati da istituzioni finanziarie che, ovviamente, non possono avere un’approfondita conoscenza delle attività su cui si basano o del vero valore da attribuire loro”.

Matthew Simmons, banchiere specializzato negl’investimenti energetici come ASPO-Ireland, sottolinea che i bassi prezzi attuali e la mancanza di credito ridurranno gl’investimenti necessari nel settore petrolifero, portando così a una minore produzione futura, cui farà seguito un aumento dei prezzi petroliferi a causa della pressante domanda; si arriverà così a un altro cataclisma economico. Simmons sottolinea inoltre che le fatiscenti strutture di trivellazione, le piattaforme arrugginite, gli oleodotti e le raffinerie devono essere rinnovati, e hanno perciò bisogno di miliardi di dollari d’investimenti proprio quando il credito scarseggia.

Studi indipendenti indicano che il Picco petrolifero è stato raggiunto tra il 2005 e il 2008, e che la produzione giornaliera mondiale passerà da 74 a 60 milioni di barili entro il 2015, mentre la domanda aumenterà. Le forniture si ridurranno ancor più nel caso degli USA; le nazioni produttrici destinano sempre più petrolio a usi domestici, e quindi ne esportano sempre meno. La domanda è elevata in Cina, India, in Medio Oriente, e in altri paesi produttori, e resterà dunque superiore all’offerta anche quando la produzione globale comincerà a scendere. Gli USA coprono un quarto della domanda globale di petrolio; per quanto possano economizzare, ne consumeranno comunque una grande quantità e le misure di conversione non ridurranno quindi in modo significativo il tasso di impoverimento. Sempre più petrolio viene sprecato nelle fasi di estrazione e trasformazione, dato che petrolio di qualità inferiore viene estratto da un numero sempre maggiore di piccoli giacimenti, situati in profondità oceaniche difficili da raggiungere. Questi fattori porteranno il tasso di declino della produzione al di sopra del 6% previsto per i prossimi anni.

I parametri legati al picco petrolifero suggeriscono che non vi sarà una ripresa economica dopo il collasso economico del 2009 e che la recessione si trasformerà in una depressione economica costante e sempre più grave.

Nel 2007, l’U.S. General Accountability Office (assistito da un comitato di 13 scienziati della National Academy of Sciences) ha studiato le possibili alternative energetiche per sostituire i carburanti liquidi (indispensabili per i trasporti e la produzione alimentare):

“Un picco e successivo rapido declino della produzione petrolifera nel breve periodo avrebbe gravi conseguenze. Le tecnologie esaminate [etanolo, biodiesel, biomassa gas-liquido, carbone gas-liquido, idrogeno] rappresentano attualmente circa l’1% del consumo annuale statunitense di prodotti petroliferi, e il DOE [il Department of Energy degli USA] prevede che, anche nel migliore dei casi, nel 2015 potrebbero fornire non più del 4% del consumo previsto nel paese. Se la discesa della produzione petrolifera supera le capacità sostitutive delle tecnologie alternative, il consumo energetico dovrà essere limitato, e quanto più i consumatori si contenderanno le sempre minori risorse petrolifere tanto più violenta sarà l’impennata dei prezzi. In questo senso, le conseguenze potrebbero in un primo momento ricordare quelle dei passati shock petroliferi, considerati all’origine di gravi danni economici. Ad esempio, le interruzioni della fornitura petrolifera dovute all’embargo arabo del 1973-74 e alla rivoluzione iraniana del 1978-79 provocarono un aumento senza precedenti dei prezzi petroliferi e sono stati considerati la causa scatenante delle recessioni mondiali. Inoltre, numerosi studi da noi analizzati indicano che, dopo la II guerra mondiale, quasi tutte le recessioni statunitensi sono state precedute da shock petroliferi e dal successivo aumento dei prezzi petroliferi. Le conseguenze di un picco e del declino permanente della produzione potrebbero però essere ancora più lunghe e dure rispetto a quelle dei casi del passato. Il crollo non sarà temporaneo o reversibile; i suoi effetti continueranno quindi fino a quando non disporremo di tecnologie alternative di trasporto sufficienti a sostituire l’oro nero a prezzi comparabili. E poiché la contrazione della produzione petrolifera sarà sempre più forte, la quantità da sostituire con tecnologie alternative sarà ogni anno maggiore”.

Non vi sono piani, e meno ancora capitali, per una cosiddetta economia elettrica. In massima parte le alternative sfruttano l’elettricità, ma abbiamo bisogno di carburanti liquidi per trattori, autoarticolati, treni, navi, apparecchiature di scavo.

In un rapporto del 2007, “Peak Oil Could Trigger Meltdown of Society” [“Il picco petrolifero potrebbe innescare il collasso della società”], gli scienziati indipendenti dell’Energy Watch Group hanno affermato:

“Dal 2020, e ancor più dal 2030, la fornitura mondiale di petrolio sarà drammaticamente insufficiente. Si creerà un gap che in questo periodo potrà difficilmente essere colmato dal maggior apporto di altre fonti energetiche fossili, nucleari o alternative”.

A causa dei maggiori costi della benzina e del diesel, e del minor gettito di tasse e accise petrolifere, gli stati e i governi locali dovranno probabilmente tagliare i costi del personale e della manutenzione stradale. Molte stazioni di servizio chiuderanno, e i lavoratori che usano strade locali o statali avranno problemi per andare al lavoro.

Stiamo assistendo al collasso delle reti di comunicazione, che dipendono da camion con motori a benzina o diesel per la manutenzione dei ponti, la manutenzione delle vie di deflusso per evitare l’allagamento del manto stradale, le lesioni da neve, la riparazione del fondo e del manto stradale.

Al venire meno delle autostrade verranno meno anche le linee di alimentazione, dato che sono proprio i camion a trasportare pezzi di ricambio, grossi trasformatori, acciaio per i piloni, cavi per il trasporto a grandi distanze dell’alta tensione. Non riceveremo più prodotti alimentari da aree lontane, e senza le linee di distribuzione elettrica non funzionerà più nessun dispositivo moderno: riscaldamento domestico, pompaggio di benzina e diesel, aeroporti, comunicazioni, sistemi automatici degli edifici.

Governi, uomini d’affari e privati dovrebbero prepararsi a far fronte agli impatti del Picco Petrolifero.

Titolo originale: “Peak Oil and the Global Economy “

Fonte: http://survivingpeakoil.blogspot.com
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01.02.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

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