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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 30 giorni

PERCHE' SIAMO IN LIBIA ?

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A cura di supervice
Il 21 Giugno 2011
28 Views

COLLEGA I PUNTINI E VEDRAI IL SEGNO DEL DOLLARO

DI RUSS BAKER
WhoWhatWhy

La finta primavera araba:

È vero che la Primavera Araba è una cosa buona.

È vero che Gheddafi è un cattivo elemento. Ma se unite i puntini vedrete

che qualcuno gli ha dato una mano. Le prove indicano che c’è

un piano per creare una “Primavera Araba” per i Soliti Bravi Ragazzi,

CIA, banche, compagnie petrolifere. Leggere per credere.

In un articolo

precedente ci siamo posti

la seguente domanda: “Perché siamo in Libia?” Abbiamo fornito qualche

spunto.
Ora abbiamo altri elementi. Questi

elementi hanno i nomi dei nostri giocatori preferiti: aziende petrolifere,

banche come Goldman Sachs, e ne risulta un quadro di infiniti intrighi

corporativi. Quel genere di intrighi che non viene mai fuori nei media

corporativi.

Vediamo quali.

Lo scorso febbraio, parecchi giorni

dopo le dimissioni di Hosni Mubarak in Egitto, una protesta civile è

iniziata nella confinante Libia. In tutta fretta, il ministro della

Giustizia di Gheddafi è passato dalla parte dei ribelli, diventandone

un leader. E ha sostenuto che il suo ex capo è stato il responsabile

dell’esplosione del volo Pan Am 103:

Il leader libico Mohammar Gheddafi

ha ordinato l’attentato nel 1988 al volo Pan Am 103 sul cielo di Lockerbie,

Scozia, notizia riportata da un giornale svedese mercoledì

scorso e attribuita ad un ex ministro del parlamento libico.

L’ex ministro della Giustizia

Mustafà Mohamed Abud Al Jeleil, che pare abbia rassegnato le dimissioni

questa settimana per le violenze scatenate dal governo contro i manifestanti,

ha detto al tabloid Expressen di essere in possesso delle prove che

Gheddafi aveva ordinato l’attentato che uccise 270 persone.

“Ho le prove che Gheddafi ha dato

l’ordine per l’attentato di Lockerbie”, Expressen cita Al Jeleil

in un’intervista tenuta presso una grande città

libica ignota.

Il giornale non ha detto qual

era la prova del coinvolgimento di Gheddafi nell’attentato.

Un libico, Abdel Basset al-Megrahi,

è stato processato e condannato al carcere in Scozia per l’attentato

e Gheddafi, al potere dal 1969, è

stato marchiato per anni come un paria.

Nel 2009 il governo scozzese ha

liberato al-Megrahi per motivi umanitari dopo che i medici gli hanno

diagnosticato un cancro alla prostata, in uno stadio terminale,

decisione fortemente criticata dagli Stati Uniti.

È tornato in Libia ed è tuttora vivo.

Secondo al Jeleil,“per nascondere

(il suo ruolo nell’attentato), ha fatto tutto il possibile per far

tornare Megrahi dalla Scozia.”

“Lui (Gheddafi) ha ordinato a

Megrahi di farlo.”

Questa è la storia che è comparsa

nei maggiori media del mondo, senza che nessuno si sia fermato un attimo

per fare domande sul vantaggio propagandistico di questa affermazione

o sulla tempistica. Per esempio, il britannico The Telegraph,

ha intervistato Jeleil/Jalil:

In un’intervista al Daily Telegraph,

Mustafà Abdel Jalil, il capo del provvisorio governo ribelle a Bengasi

ed ex ministro della Giustizia, ha detto di avere le prove del coinvolgimento

di Gheddafi nell’attentato del 1988 all’aereo Pan Am 103 sui cieli

di Lockerbie.

“L’ordine era stato dato da

Gheddafi in persona” ha detto a Rob Crilly.

Il signor Abel Jalil ha sostenuto

di avere le prove che l’attentatore condannato Abdelbaset Ali Mohmed

al-Megrahi lavorava per Gheddafi.

“Le prove le abbiamo nelle nostre

mani e abbiamo documenti che provano quel che ho detto, siamo pronti

a fornirli ad una corte criminale internazionale” ha aggiunto.

Da allora, non si è mai avuta

alcuna indicazione che queste prove siano state fornite a nessuno. Quindi

non sappiamo se esistono, o se lui stesse dicendo la verità. Ma i titoli

hanno fatto il loro lavoro – chiunque abbia guardato i telegiornali

o letto le notizie sarà rimasto convinto che Gheddafi è dietro questo

vile atto.

Un paio di giorni dopo, per la prima

volta, il presidente Obama chiedeva a Gheddafi di lasciare il suo posto.

E poco dopo, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati si stavano

preparando per avviare un’azione militare contro Gheddafi, inizialmente

indicata come esclusivamente umanitaria, “per proteggere i civili”.

(Alla fine, il personaggio più importante dell’esercito britannico

ha imprudentemente

ammesso che l’inesorabile

bombardamento aveva come obiettivo la rimozione del leader libico).

Torneremo alla macchina propagandistica

e alla sua efficacia più avanti, ma ora esaminiamo la relazione

tra i governi occidentali e Gheddafi. Si è trattato, come presentato

ai media, di fare semplicemente la cosa giusta contro un brutale tiranno?

Contro uno che è anche accusato di essere dietro l’omicidio di quei

passeggeri?

Non è questo il luogo dove riassumere

tutte i rapporti tra Gheddafi e l’alleanza. Basti dire che Gheddafi

è uno della lunga lista di leader stranieri che ha insistito su un

percorso indipendente, includendo un necessario atteggiamento autoritario

nella regione, e questo gli ha procurato guai. In particolare, possiamo

ricordare alcune schermaglie con la marina americana durante l’amministrazione

Reagan-Bush, ma c’è una lunga lista di aggravanti. E, come nel caso

di Hugo Chavez in Venezuela, si deve aggiungere il fatto che Gheddafi

si trova su un territorio con enormi riserve petrolifere. In combinazione

con la sua brutalità, avarizia e maniere bizzarre, ecco servito un

target appetibile e facile da trattare per i dipartimenti propagandistici

dei suoi nemici.

Con l’aumento delle ostilità, alla

Libia è stata affibbiata, possibilmente con qualche motivo, la patente

di forza terrorista e quindi collegata a una serie di offese di enorme

portata con le quali potrebbe avere avuto a che fare o forse no.

Una di queste è stata la morte

di diversi soldati americani in un night a Berlino nel 1986, un’altra

il presunto sostegno a un dirottamento nello stesso anno. Ma quel che

ha messo quasi tutto il mondo contro Gheddafi è stato il presunto ruolo

della Libia nell’attentato che fece esplodere il volo Pan Am 103.

Molti di noi ricordano, distrattamente,

il ruolo della Libia su quel caso come un fatto accertato. Se è così,

siamo fuori strada. Iniziamo con questo documento della BBC del 2001, in seguito alla

condanna di Megrahi, un agente dell’intelligence libica:

Robert Black, il professore

di legge che ha ideato la struttura del processo tenuto in Olanda, ha

detto domenica scorsa di essere “assolutamente sbalordito” dal fatto

che Al Megrahi sia stato giudicato colpevole.

Il signor Black ha affermato che

secondo lui il processo ha avuto “un quadro probatorio estremamente

debole” e che è riluttante a credere che i giudici scozzesi abbiano

potuto “condannare chiunque, anche un libico” sulla base di tali

prove.

Il punto di vista, pubblicato sui

quotidiani britannici, riecheggia quello di alcune famiglie di vittime

britanniche dell’attentato di Lockerbie, che chiedono un’inchiesta

pubblica per trovare “il vero responsabile e quale

è stato il movente”.

Le proteste

Il verdetto di mercoledì

ha scatenato rabbiose proteste in Libia sabato scorso, mentre Washington

e Londra hanno chiesto al governo libico di assumersi la responsabilità

di questa atrocità e di indennizzare le famiglie delle vittime.

I manifestanti hanno condannato

quello che hanno chiamato un verdetto

“dettato dalla CIA” e hanno chiesto di indennizzare le vittime dei

raid americani del 1986 su Tripoli e Bengasi.

Per avere altre informazioni sui dubbi

circa il ruolo della Libia nell’attentato, consultate l’eccellente

sommario di forte testimonianza sul fatto che i libici potrebbero essere

stati incastrati, testimonianza non presentata al processo, su Wikipedia. (Se da un lato Wikipedia non può essere

considerata una fonte sicura, spesso è un buon sommario di ciò che

si può trovare in giro e quindi un buon punto di partenza per ulteriori

ricerche). Gli elementi problematici, che costituiscono una lista davvero

lunga, includono una presunta offerta di 4 milioni di dollari per una

testimonianza che avrebbe portato a certa incriminazione, la successiva

ammissione di un testimone chiave di aver mentito, dettagli di uno strano

andazzo nei laboratori della scientifica del FBI, e indicazioni che

la bomba potrebbe essere stata introdotta in un aeroporto dove l’imputato

non era presente.

Tuttavia, la condanna di Megrahi e

la deferente cronaca dei media come di giustizia fatta, ha avuto come

conseguenza la continuazione delle sanzioni contro la Libia e Gheddafi,

sanzioni che avevano già isolato il paese per un decennio dalla comunità

internazionale.

Gheddafi ha cercato di liberarsi da

quel marchio, arrivando a consegnare Megrahi per il processo nel 1999.

Ma non ha funzionato e la sentenza di condanna del 31 gennaio 2001,

arrivata appena 11 giorni dopo l’insediamento di George W. Bush alla

presidenza americana, ha minacciato di peggiorare parecchio le cose.

A quel punto, Gheddafi ha dovuto anche badare alla propria sopravvivenza.

Nel maggio 2002, dopo che le truppe

americane in Afghanistan avevano cacciato i Talebani e 4 mesi dopo che

Bush aveva inserito Iran, Nord Corea e Siria nella lista di un certo

“asse del male” nella ricerca di “armi di distruzione di massa”,

la Libia ha avvertito il pericolo. Quel mese, essa offrì di fornire

pagamenti scaglionati alle famiglie delle vittime di Lockerbie, come

parte della negoziazione per la cancellazione delle sanzioni commerciali

da parte dell’ONU e degli Stati Uniti, e della rimozione della Libia

dalla lista dei paesi che sponsorizzavano il terrorismo redatta dal

Dipartimento di Stato americano. In agosto del 2003, diversi mesi dopo

l’invasione dell’Iraq e della rimozione di Saddam Hussein, Gheddafi

negoziò un accordo, come riportato dal New York Times:

La Libia e i legali delle famiglie

delle vittime dell’attentato del 1988 al volo Pan Am 103 su Lockerbie,

Scozia, oggi hanno firmato un accordo per creare un conto di 2.7 miliardi

di dollari come indennizzo dovuto, ha detto un avvocato.

“La Libia e i legali che rappresentano

le famiglie delle vittime hanno firmato un accordo per creare un deposito

presso la Bank for International Settlements” ha detto il legale Saad

Djebbar, un algerino che vive a Londra e che ha seguito il caso dal

1992.

Di conseguenza, ha aggiunto che

le sanzioni delle Nazioni Unite potrebbero essere revocate.

Con l’accordo, la Libia

è tenuta a depositare il denaro nel conto e inviare al Consiglio di

Sicurezza delle Nazioni Unite una lettera con la quale ammette la responsabilità

per l’attentato nel quale morirono 270 persone.

Oggi a Washington, alcuni membri

delle famiglie hanno dichiarato che il Dipartimento di Stato ha invitato

le famiglie delle vittime a una riunione informativa per venerdì

prossimo.

Si è trattato di un accordo complesso,

che ha avuto molti tentennamenti. La Libia riferì alle Nazioni Unite

che si sarebbe “presa la responsabilità” dei bombardamenti, anche

se, va detto, non ammise alcuna colpevolezza. Infatti, alla fine del

2008, il figlio di Gheddafi, Saif, disse a una squadra di documentaristi

della BBC che l’unico motivo per cui la Libia aveva “ammesso le

responsabilità” era solo per veder rimosse le sanzioni. Il documentario

ha evidenziato che molte famiglie delle vittime avevano rifiutato il

risarcimento perché credevano che la Libia non era davvero la responsabile

dei bombardamenti.

L’accordo del 2003 era comunque sufficiente

per iniziare a dare di nuovo alla Libia la benvenuta nella famiglia

delle nazioni. L’amministrazione Bush avviò rapidamente i commerci

con la Libia. Nel dicembre del 2003 la Libia acconsenti a porre fine

a tutti i programmi esistenti relativi alle armi di distruzioni di massa

per rimuovere le sanzioni del Stati Uniti.

Questo ha dato un abbrivio non solo

alla Libia, ma anche alle maggiori compagnie occidentali, che da anni

scalpitavano per prendersi un pezzo dei beni libici, tra cui le ingenti

riserve petrolifere e le entrate da queste generate.

L’inesorabile macchina del commercio

continuò a fare la sua corsa. Nel giro di poche settimane Bush firmò

un ordine esecutivo per ripristinare l’immunità della Libia dai processi

per terrorismo e per porre fine alle richieste di risarcimento ancora

pendenti negli Stati Uniti.

Nel 2007, spinta con decisione dalla

compagnia BP, li Regno Unito iniziò a spingere per avanzare

una richiesta di estradizione in Libia per Megrahi, che hanno poi portato

a una serie di eventi che sono culminati nel 2009 con il suo rilascio

per supposti motivi di salute. (Nuove informazioni sul ruolo della BP

sono apparse di recente, quando Hillary Clinton e i più importanti

senatori al Congresso espressero

sconcerto e dichiararono la loro intenzione di avviare un’indagine. Nessuna menzione da parte dei Democratici

sui dubbi di questa incriminazione, ma solo indignazione che un “assassinio”

fosse stato liberato.)

Nel 2009, lo stesso anno in cui Megrahi

fu rilasciato, Gheddafi, di fronte alle rigide richieste di pagamento

per Lockerbie, iniziò a pressare le compagnie petrolifere per fargli

pagare somme più alte in modo da aiutarlo a pagare il proprio debito.

Abbiamo appreso delle pressioni sulle

compagnie petrolifere durante gli sforzi propagandistici di questi giorni

che si sono adoperati per fornire il supporto per l’azione militare

contro Gheddafi. In un articolo

del New York Times intitolato

“Trattative nell’ombra hanno aiutato Gheddafi a costruirsi una fortuna

e un regime”, il nodo della questione secondo cui Gheddafi avrebbe

agito in modo losco (senza però parlare delle compagnie petrolifere)

consiste nella gemma che segue. È stato subito tralasciata e abilmente

fraintesa:

Nel 2009 i collaboratori più stretti del colonnello Muammar Gheddafi hanno riunito a sé quindi manager delle compagnie energetiche mondiali che operano nei campi
petroliferi libici e gli hanno fatto una richiesta straordinaria, quella
di tirare fuori i soldi per il conto da 1,5 miliardi di dollari che
la nazione deve pagare per il suo ruolo nell’abbattimento del volo
Pan Am Flight 103 e per altri attacchi terroristici.

Nel caso in cui le compagnie
non avessero acconsentito, i funzionari libici hanno assicurato il profilarsi

di “serie conseguenze” per le loro licenze petrolifere,

secondo un resoconto del meeting stilato dal Dipartimento di Stato.

Ma come mai Gheddafi aveva un così

disperato bisogno di soldi? L’articolo non lo dice. Ma se collego

i punti correttamente, allora suggerisco di leggere un altro documento,

e poi collegarli insieme.

Ecco

il Wall Street Journal

con un’esclusiva del 31 maggio che è enormemente importante ma che

è sempre stata messa in disparte, scollegata dalle questioni relative

al petrolio summenzionate. Raccomando di leggere l’intero estratto

che segue:

All’inizio del 2008 il fondo sovrano

libico, controllato dal colonnello Moammar Gheddafi, ha affidato 1,3

miliardi di dollari al gruppo Goldman Sachs per investirlo in valute

e in altri complicati strumenti finanziari. Gli investimenti

hanno perso il 98% del loro valore,

secondo i dati di un documento interno di

Goldman.

[…] Nel 2004 il governo degli

Stati Uniti elevò un primo pacchetto di sanzioni […] che aprì

la strada a decine di banche europee e statunitensi, agli

hedge funds e ad altre agenzie di investimenti per addossarsi alla

nazione nord-africana.

L’Autorità

degli Investimenti Libica inaugurò

la sede al 22esimo piano di quello che era l’edificio più

alto di Tripoli e partì nel giugno del 2007 con circa 40 miliardi di

dollari in asset. La Libia avvicinò

25 istituzioni finanziarie, offrendo a ciascuna la possibilità

di gestire almeno 150 milioni di dollari, come ricorda una persona a

conoscenza con i progetti del fondo.

Presto iniziò

a spargere frazione del capitale nelle aziende di tutto il mondo. Oltre

a Goldman, queste istituzioni comprendevano

Société Générale SA, HSBC Holdings PLC,

Carlyle Group, J.P. Morgan Chase & Co.,

Och-Ziff Capital Management Group e

Lehman Brothers Holdings Inc., secondo una registrazione interna

del fondo controllata dal Journal.

“La nazione ha preso la matura

decisione di unirsi ai grandi”, ha detto Edwin Truman, un importante

membro del Peterson Institute for International Economics ed ex assistente

del Segretario al Tesoro. Fino ad allora, le somme del fondo d’investimento

erano depositate nella banca centrale libica, ottenendo scarsi ritorni

da obbligazioni di alta affidabilità.

Goldman colse al volo l’opportunità.

Nel maggio del 2007 alcuni partner di

Goldman si incontrarono con i libici nel loro

’ufficio londinese. Mustafa Zarti, l’allora direttore aggiunto del

fondo, e Hatem el-Gheriani, il suo capo-ufficio agli investimenti, invitarono

i clienti di Goldman di andare a visitare il quartier generale del fondo

in Libia. Zarti era un sodale molto stretto del figlio del colonnello

Gheddafi Saif al-Islam e un amico di lunga data del comandante libico.

[…] Goldman elaborò

presto un nuovo business con i libici con delle opzioni

– investimenti che danno ai compratori il diritto di acquistare azioni,

divise o altri asset in una data futura a un prezzo prefissato. Tra

gennaio e giugno del 2008 il fondo

libico pagò 1,3 miliardi di dollari di opzioni scelte tra un paniere

di divise e sei azioni: Citigroup Inc., la banca italiana

UniCredit SpA, lo spagnolo Banco di Santander, il gigante delle assicurazioni

tedesco Allianz, la compagnia energetica francese

Électricité de France e quella italiana

Eni SpA. Il fondo avrebbe iniziato a ottenere profitti se i prezzi

delle sottostanti azioni o divise fosse salito ai livelli contrattati.

Ma quell’inverno la crisi del

credito colpì in modo cieco, facendo fallire

Lehman Brothers e le banche in tutto il mondo dovettero far fronte

a una crisi finanziaria. Il miliardo e trecentomila dollari di opzioni

furono colpiti in modo molto pesante. Il valore dei titoli sottostanti

crollò e tutti gli scambi persero soldi, secondo i

dati di un memo interno di Goldman controllato dal

Journal. Il memorandum evidenziava che gli investimenti avevano un

valore di circa 25,1 milioni di dollari nel febbraio del 2010, una perdita

del 98%.

I funzionari del fondo sovrano

accusarono Goldman di aver mascherato la modalità dell’investimento

e di aver concluso la trattativa senza una propria autorizzazione,

secondo le parole di persone a conoscenza dei fatti. Nel luglio

del 2008, Zarti, il direttore aggiunto del fondo, convocò

Kabbaj, il direttore di Goldman per il Nord Africa, a una riunione con

il legale del fondo e il personale addetto, secondo le

email dell’Autorità degli Investimenti Libica controllate dal

Journal.

Una persona che ha assistito alla

riunione ha detto che Zarti era “come un toro scatenato”, offendendo

e minacciando Kabbaj e un altro impiegato di Goldman. Goldman

ingaggiò agenti per la security per proteggere i dipendenti fino al

momento della partenza dalla Libia del giorno successivo, secondo persone

a conoscenza dei fatti.

[…]Dopo questa resa dei conti,

il fondo ha richiesto la restituzione e ha fatto vaghe minacce per un’azione

legale.

Il Journal prosegue nel descrivere

la risposta di Goldman, la cui “audacia” non inizia nemmeno a descrivere.

Goldman ha offerto di sistemare la questione vendendo alla Libia una

enorme compartecipazione… di Goldman stessa. L’articolo del Journal deve

essere letto, come questo

saggio da Rolling Stone,

ma tutto questo non significa davvero che le compagnie occidentali,

alla cosa, vogliano che andarci davvero a fondo.

Il punto, almeno per me, è che

la Libia ha seguito il consiglio di un’azienda americana e ha investito,

e perso, un’enorme somma dei fondi che si pensava dovessero generare

profitti da usare per governare la Libia. Come ad esempio fornire il

tipo di servizi che all’inizio hanno tenuto i libici vicini a Gheddafi.

È davvero una sorpresa che, dopo questo

disastro bancario, Gheddafi nel 2009 si rivolse disperatamente alle compagnie

petrolifere occidentali, che stavano facendo davvero bene in Libia,

chiedendo loro di pagare diritti più alti per finanziare gli accordi

relativi all’affare Lockerbie? Accordi che forse non avrebbe nemmeno

dovuto pagare?

***

Nel dicembre del 2010, quando un tunisino

si è dato fuoco, la Primavera Araba prese avvio, in Egitto, in

Bahrein e ovunque. Molto velocemente, fu chiaro che le potenze occidentali

era a rischio di perdere cruciali forniture petrolifere, oltre a basi

militari di vitale importanza.

È fu certamente positivo che, proprio

in quel momento, la Libia mostrasse l’intenzione di muoversi nella

direzione opposta, dalla parte degli Stati Uniti. Leggete il nostro articolo sui legami della CIA con le rivolte libiche.

Poi considerate, nel febbraio, la tempistica

delle dichiarazioni avventate degli ufficiali disertori libici secondo

cui era Gheddafi stesso che aveva ordinato il bombardamento del Lockerbie.

Ma siccome tutto questo, per il dipartimento

della propaganda, non era sufficiente per sollecitare una maggiore collaborazione

dell’opinione pubblica, è così apparsa la storia degli stupri. La

persona comune non ha il tempo o la voglia di seguire questa ridda di

complicate manovre che tanto ci affascinano, ma viene comprensibilmente

scossa dai bombardamenti sui civili e dagli stupri.

Abbiamo scritto qualcosa sulla storia degli stupri. Il nostro punto di vista, che è ancora ben

saldo, è che si tratta di una cosa molto inusuale che le vittime degli

stupri e le loro famiglie si facciano avanti pubblicamente. È una cosa

praticamente sconosciuta nei paesi arabi, dove le conseguenze possono

essere davvero gravi. (Aggiornamento: la donna e la sua famiglia sono state trasferite in

Occidente e lei ha detto

che ha piacere di venire in America.)

Abbiamo compreso la tempistica della

storia, l’alacrità con cui la stampa occidentale l’ha fatta propria

e l’ha diffusa, e il semplice fatto che non ci sono prove che legano

in alcun modo Gheddafi a questi atti. Persino la stessa donna non lo

dice. Ma ha infuriato milioni e milioni di persone che hanno riempito

di post la rete, e tutto questo ha mosso l’opinione pubblica nelle

colonne a supporto dell’azione militare per rimuovere il leader

libico.

Il fatto che i media mainstream

non possano, o non vogliano, vedere quello che è successo ci dice quanto

poco ci siamo allontanati dalla Risoluzione

del Golfo di Tonchino.

Comunque ci riesce bene capire cosa

potrà accadere se stiamo con le antenne ben alzate. Ad esempio, l’altro

giorno il sito web Politico si è brevemente interessato a una riunione

informale tra Hillary Clinton e i manager esecutivi sulle opportunità

di business in Iraq.

FIRST LOOK: WALL STREET IN IRAQ?

Il Segretario di Stato Hillary Clinton e il Segretario Aggiunto Tom

Nides (in precedenza funzionario-capo amministrativo a Morgan Stanley)

hanno ospitato un gruppo di manager esecutivi questa mattina

come parte dell’Iraq Business Roundtable. I manager delle trenta

maggiori multinazionali degli Stati Uniti – che comprendono aziende

della finanza come Citigroup, JPMorganChase e Goldman

Sachs – si uniranno ai funzionari statunitensi e iracheni per

discutere delle opportunità economiche nel nuovo Iraq. Questa la lista

completa dei partecipanti: http://politi.co/kOpyKA

Diamogli un paio di anni e faranno

un’altra festicciola per celebrare un nuovo regime bendisposto in

Libia.

**********************************************

Fonte: http://whowhatwhy.com/2011/06/06/libya-connect-the-dots-you-get-a-giant-dollar-sign/

06.06.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RENATO MONTINI E SUPERVICE

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