Perché restare in Unione Europea è da fessi (e masochisti)

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di Katia Migliore per ComeDonChisciotte.org

Ci sono almeno dieci buoni motivi per uscire da questa gabbia soffocante che è l’Unione Europea. Se ne parla da un po’, ma sarebbe necessario che qualche forza politica di nuova generazione ponesse l’uscita dell’Italia come obiettivo primario non soltanto di facciata.

Insomma, sarebbe venuto il momento che la questione delle libertà dalle catene europee diventasse tema di una lotta politica e culturale seria nel nostro Paese. La degenerazione dell’istituzione che ha sede a Bruxelles è ormai evidente anche ai meno attenti.

Certo, le sirene mediatiche si mobilitano frequentemente per terrorizzare il cittadino con scarso senso critico, paventando invasioni di cavallette e banche in fumo per autocombustione una volta usciti dalla UE, eppure stavolta con la giusta capacità di comunicare problemi e soluzioni anche ai non addetti ai lavori molte favolette (ops, narrazioni) probabilmente non avrebbero più la presa che hanno avuto in passato.

Ricordando abbiamo cessato di usare ufficialmente la Lira contante dal 1° gennaio 2002, limitiamoci solo ad alcune osservazioni di buon senso:

1) Da quando abbiamo adottato l’euro, siamo più poveri. I nostri salari non sono cresciuti, anzi tendono a diminuire. Per colpa di chi, a questo punto poco conta. Il nostro benessere di cittadini italiani non cresce restando in EU, e questo è un fatto.

2) Le vicende attuali lo dimostrano: la Banca Centrale Europea non solo non controlla l’inflazione, ma peggiora le cose alzando i tassi d’interesse. Non c’è alcuno motivo per pensare che le cose miglioreranno un domani. L’euro si è dimostrato strumento inefficace contro l’inflazione, e la BCE con le sue scelte scellerate rappresenta un danno per la nostra economia.

3)
Non è vero che “con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più”. Qui non si guadagna più e basta. E il tasso di disoccupazione resta sempre piuttosto alto, al 7,8%.

4) La transizione ecologica ci costerebbe enormemente cara. La volontà dei politici europeisti è quella di farci vivere miseramente in nome della salvaguardia del globo terraqueo, mentre l’Europa in termine di inquinamento ambientale conta poco rispetto alla Cina, all’India e agli stessi Stati Uniti. Una sorta di tafazzismo la cui unica matrice
è ideologica, e che guarda caso colpisce l’industria nazionale a vantaggio delle produzioni dei nostri concorrenti diretti (vedi Germania e Francia).

5) L’Unione Europea vuole costantemente colpire la nostra cultura gastronomica e i nostri prodotti, vino incluso, pienamente criminalizzato. Una guerra vera e propria che ha trovato nell’infame Nutriscore la sua piena realizzazione, e a poco finora sono servite le proteste (molli) della nostra classe politica e le visite dei rappresentanti del nostro mondo agricolo e zootecnico a Bruxelles.

6) Altro nemico (loro) e amico (nostro) è il motore a combustione interna, che è patrimonio dell’Umanità se non altro perché un sacco di gente lo ha usato in questi decenni per muoversi liberamente. Già solo questo punto sarebbe sufficiente per uscire il più in fretta possibile, anche perché l’uso univoco del motore elettrico ci renderebbe immediatamente schiavi delle forniture cinesi. Nel frattempo, la vendita soffre, registrando un aumento dei prezzi di listino del 30% sia dell’usato che del nuovo, mettendo i ceti medi e più poveri nell’impossibilità di fatto di comprarsi un’auto. Un vero inno alla mobilità consentita solo ai benestanti, con buona pace dei democraticissimi verdi.

7) Nella gestione covid, sono più le ombre che le luci. Attendiamo fiduciosi qualche indagine seria su quello è successo negli ultimi anni. Manca chiarezza, i numeri delle morti improvvise sono inquietanti, i soldi spesi per i vaccini (inutilizzati) sono eclatanti.

8) Nella politica estera la UE non ha la benché minima parvenza di autonomia decisionale. Muti e rassegnati vassalli degli USA, che qui fanno il bello e il cattivo tempo pensando agli interessi loro, mentre noi non riusciamo a compiere un’azione che abbia una dignità geo-politica. Un disastro, uno sfacelo. Neppure la diplomazia, che una volta era punto di forza delle nostre Nazioni, è più in grado di esprimere una iniziativa autonomia.

9) Non siamo affatto uniti. Non ci sopportiamo, a dire il vero. L’episodio del nostro scontro con la Francia lo dimostra plasticamente. Ma a ben guardare è tutta una critica costante degli uni contro gli altri. Una bagarre continua, dove qualcuno è più bravo a fare i propri interessi rispetto agli altri.

10) L’UE non intende lasciare liberi gli Stati membri di decidere su qualsiasi argomento ormai. La nostra autonomia è messa quotidianamente in discussione. Una situazione intollerabile, perché gli argomenti sono molteplici e vanno dalla licenza per le nostre spiagge alla gestione dei migranti, dai vaccini al diametro delle vongole. E come se non bastasse la UE vuole intervenire sui valori delle nostre case imponendoci vincoli “green” intollerabili per il nostro patrimonio immobiliare e per le nostre tasche, al solo
scopo di impoverirci tutti, perché alla fine le nostre case e il nostro risparmio fanno ancora gola a molti.

In definitiva, la questione non è il rischio che si corre a uscire dall’UE e a utilizzare una moneta sovrana italiana, ma semmai al contrario cosa ci potrà succedere se andremo avanti a ubbidire a un’istituzione straniera usando l’euro come moneta di scambio.
Rileggendo gli obiettivi che si è posta l’Unione Europea, non esitiamo a dire che non ne stia rispettando uno, e continuare a credere nel miracolo del “cambiamento dall’interno” ormai è da fessi. Uscire dall’area euro non solo è possibile, ma anche auspicabile: con la nostra moneta recupereremmo la competitività di un tempo, oltre che il vantaggio di poterla gestire da Stato con la piena sovranità. Lo sforzo (importante) ne varrebbe la pena.

O in alternativa possiamo sempre aspettare che esca qualcun altro prima di noi, così da innescare un meccanismo a catena che porti questa sciagura chiamata euro a fare la fine che merita: nel dimenticatoio della Storia.

Katia Migliore

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