PERCHE’ IL PROBLEMA DELL’AMERICA NON E’ POLITICO MA CULTURALE

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DI STEPHEN GABOW
CommonDreams

Ecco alcuni differenti modi di porsi la stessa
domanda. Come potevano McCain/Palin avere ancora una possibilità di successo
in queste elezioni, considerata la situazione del paese? Perché “conservatore”
non è diventato un insulto, dati i risultati degli ultimi 8 (o sono 30?) anni di
governo conservatore? Come mai i Repubblicani la fanno franca ancora una volta
con bugie, porcate, furti e l’indecente ipocrisia? Perché i Democratici al Congresso
sono così privi di spina dorsale, così ossequiosi nei confronti dei Repubblicani?

Penso che la risposta sia che conservatori e Repubblicani sono più in sintonia con
il popolo americano e con le radici della cultura americana. Rabbrividisco nel dirlo,
ma in qualche modo, nel profondo dei nostri valori, speranze e sogni, noi siamo
predisposti ad essere conservatori. E i Democratici, essendo dei politici, riescono
a intuirlo. Lo sanno nel profondo dei loro cuori.

Per cominciare, l’America è stata impregnata di velenoso razzismo nazionale per
trecento anni. Questo influisce su ogni bambino americano. Così, oltre che con
quell’elefante in salotto, dobbiamo lottare contro la nostra cultura d’origine per
mantenere una prospettiva di sinistra.
I cittadini di altri paesi possono attingere alle proprie rispettate icone culturali per
promuovere la ribellione, la rivoluzione o l’idea di una comunità sociale. Nel 2004
i canadesi hanno votato per eleggere “The Greatest Canadian”. L’onorificenza è
andata a Tommy Douglas, un socialista e riformatore noto per essere il fondatore
di “Medicare” in Canada. Gli inglesi hanno Robert Owen, i francesi Emile Zola, i
tedeschi Karl Marx, fra i tanti.

Che dire degli Usa, patria della democrazia rivoluzionaria? Chi abbiamo noi? Franklin
Roosevelt? Joe Hill ed Eugene Debs? Martin Luther King? I Freedom Riders? Elizabeth
Staunton e Susan B. Anthony? Mario Savio? Malcom X? John Brown? Tom Paine? Emma
Goldman? Ad eccezione di King e di M.D. Roosevelt, ci ricordiamo di queste persone solo
vagamente, o per nulla. I nostri eroi padri fondatori sono stati spogliati del loro contesto
rivoluzionario, per comparire ai giorni nostri come convinti conservatori cristiani. Il punto
non è se Thomas Jefferson fosse realmente un rivoluzionario agnostico o meno; viene
percepito come qualcos’altro.

Noi adoriamo le storie sui ragazzi poveri che si fanno da sé. Chi di noi non ha sognato
di essere un miliardario? Ammiriamo e amiamo Bill Gates e Henry Ford facendo delle
loro vite dei racconti di bravi uomini che hanno lavorato duro per guadagnare il loro
benessere e la libertà, e cancellando dalle loro storie tutto quanto vi è di negativo. I
nostri studenti sanno che Henry Ford costruì le prime automobili di serie, e che offriva
un salario minimo ai suoi operai. Non ricordiamo, tuttavia, che Ford sosteneva Hitler e
che pubblicò stronzate antisemitiche sul suo Dearborn Indipendent.

In tv e alla radio veniamo sommersi da pubblicità infinite sul “diventare-ricco-in fretta”;
un venditore dopo l’altro promuove il proprio metodo più facile e veloce per fare soldi e
cambiare la propria vita. Oppure sbirciamo nelle residenze miliardarie, le “culle” dei
ricchi e famosi, i garage pieni di Ferrari e Rolls. Oppure osserviamo la sfilata di nuovi
prodotti di lusso. L’avidità è una cosa davvero giusta? ci chiediamo. Non sono troppi gli
americani che sono arrivati a credere che fare soldi sia di per sé un obiettivo degno di
essere perseguito a vita? In Thailandia si parla di “ricco in modo sospetto” a proposito
di persone talmente ricche che si dovrebbe sospettare del modo in cui lo sono diventate.
Noi non abbiamo una concezione del genere.

Chi tiene il conto degli eroi americani che dispensano giustizia coi loro pugni o la canna
di una pistola? Da John Wayne a Charles Bronson, da Dirty Harry a Rambo e al giovane
Vito Corleone, proviamo un brivido davanti ai nostri eroi che, avanzando fieri e sicuri con
un grosso bastone (ma preferibilmente una pistola, che è molto più pratica), riparano ai
torti della società. Fanno tutto da soli. Nessuna azione sociale per ottenere giustizia.

Rambo invade il Vietnam per liberare i prigionieri americani. Il personaggio di Bronson
combatte e uccide le malvagie bande di quartiere. Entrambi eludono l’incompetente
governo e le corrotte forze di polizia. Una deprecabile burocrazia giudiziaria, a torto,
impedisce a Dirty Harry di dispensare la vera giustizia.

Ecco un retto vigilante che lotta per la libertà e, naturalmente, anche per la sua adorata
famiglia. Il giovane Michael Corleone fa ciò che è necessario per “proteggere la famiglia”.
Preferiamo dimenticare che è un gangster e un assassino. Desideriamo dimenticare che
il personaggio di Bronson sta uccidendo, perché ha ragione a combattere il male in ogni
modo possibile.

In tutto questo vi è un forte gusto di nobili fini che giustificano i mezzi. Se è necessario
mentire, tradire e uccidere per realizzare il regno di Dio sulla terra (la vera America),
così sia. Non suona familiare?

Quando Rambo fa saltare in aria un centinatio di vietnamiti per soccorrere i prigionieri
americani, sappiamo che sta uccidendo solo dei cattivi. Il personaggio di Bronson uccide
ed è il sangue dei cattivi a scorrere per le strade. Nessuna vittima innocente qui!

Non possiamo acclamare un Rambo nel mondo reale, ma possiamo giurare amore eterno
ai nostri soldati, dimenticando in qualche modo che il loro sporco lavoro include l’uccidere
degli innocenti. E quando i nostri combattenti se ne escono con slogan alla Rambo, come
“killing is our business, and business is good”, scrolliamo le spalle.

Gli americani non votano per le teste d’uovo. Ricordo Adlai Stevenson che correva contro
Eisenhower. Stevenson non aveva una possibilità, non ultimo perché etichettato come
troppo intellettuale per essere Presidente. Preferiamo dei leader che parlano chiaro, degli
uomini pratici che non pensano o leggono troppo. Un cowboy, magari. È difficile pensare
a un’icona americana, fittizia o reale, che sia un intellettuale. Chi ci va più vicino? Albert
Einstein, Benjamin Franklin, Mark Twain?

Scommetto che John Wayne sarebbe un forte sostenitore dell’amministrazione Bush.
Ci inciterebbe alla “vittoria” in Iraq e in Afghanistan. Dovremmo rispettare l’opinione
di un simile eroe americano. Ma allora scordiamoci che John Wayne si chiamava in
realtà Marion Morrison e che, come è documentato, è stato un imboscato durante la seconda Guerra Mondiale.

Stephen Gabow è un attivista sin dal “Free Speech Movement” e un antropologo fisico,
oltre che Professore Emerito di Antropologia alla San Francisco University.

Titolo originale: “Why America’s Problem Is Cultural, Not Political”

Fonte: http://www.commondreams.org/
Link
07.10.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DAZED

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