PERCH UN SOLDATO ISRAELIANO VALE PI DI UN BAMBINO PALESTINESE?

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DI DANA HALAWA
The Electronic Intifada

Durante lo scambio di prigionieri dello scorso mese, non un bambino palestinese è stato rilasciato dalle
prigioni israeliane, dove ne sono rimasti più di 160 dietro le sbarre.

Ho letto un’infinità di articoli e visto un sacco di video sul ricongiungimento di Gilad Shalit con la famiglia a cinque anni dal suo rapimento. Il commento usuale riporta che “aveva solo 19 anni quando nel 2006 è stato crudelmente ed illegalmente portato via per mano di Hamas”. Ho sentito parlare di lui negli ultimi cinque anni. Conosco il suo nome meglio di quelli dei miei compagni di classe.
Tuttavia, quello che ho già dimenticato

sono i nomi dei 477 palestinesi che sono stati liberati. Quello che

non saprò mai sono le storie delle migliaia di palestinesi che

passano la vita intera dietro le sbarre, lontano dalle loro famiglie

e dai loro amici. Delle migliaia di bambini, donne e uomini tuttora

detenuti nelle carceri israeliane. Dei bambini che sono cresciuti in

cella. Dei genitori che hanno visto strappare i loro figli dalle mani,

portati via senza il loro consenso, costretti a guardare da lontano

aspettando di sapere dove fossero i loro bambini e pregando che non

venissero torturati, almeno non troppo. Questi sono gli eroi senza volto

e senza nome che sono stati liberati in questo scambio, mentre altri

migliaia continuano a languire nelle prigioni.

Ashraf Baluji, Imad Abu Rayyan, Imad

al-Masri e Yusuf al-Khalis avevano solo 18 e 19 anni nel 1991 quando

furono arrestati. Facevano parte dei primi 477 prigionieri della guerra

a essere stati rilasciati in cambio di Gilad Shalit, dopo aver passato

più di venti anni in carcere. Assurdo, il 1991 è il mio anno di nascita.

Per ogni respiro che ho fatto, per ogni momento che ho vissuto, loro

erano rinchiusi e torturati.

In ogni articolo che ho letto che si

riferisce a Shalit e ai 1027 palestinesi liberati nello scambio come

numero o come “militanti”, il giornalista dimentica sempre di menzionare

che Shalit era un soldato addestrato e armato che era stato “rapito”

da un veicolo dell’occupazione militare; che la maggior parte dei prigionieri palestinesi non sono mai ricorsi ad atti criminali o militari contro Israele e che sono stati solo accusati di resistenza contro l’occupazione israeliana. Per opportunismo hanno dimenticato i tanti bambini palestinesi presi e portati via dalle proprie case, di solito negandogli le visite dei genitori o degli avvocati.

Nel 2009 la rivista Time ha
pubblicato una storia su Walid Abu Obeida, un giovane agricoltore palestinese che a soli tredici anni fu fermato mentre tornava a casa da due soldati israeliani con i fucili puntati. Lo hanno picchiato e arrestato mentre i suoi genitori si chiedevano dove fosse e perché non era ancora a casa. (cfr. “
Does Israel mistreat Palestinian

child prisoners?,” 30

giugno 2009).

Purtroppo, il modo in cui hanno trattato

Abu Obeida non è un caso isolato. Secondo le ultime stime dell’ottobre

2011 stilate dalla sezione

palestinese della Defence for Children International, 164 bambini palestinesi tra i 12 e i 17 anni

sono in carcere, di cui 35 che hanno un età tra i 12 e 15 anni. (Bambini detenuti, dati al 7 novembre del 2011).

Molti sono confinati senza processo

o sentenza, mentre altri sono condannati – spesso in modo falso –

per aver lanciato pietre ai carri armati israeliani che occupavano le

loro terre e che demolivano le loro case.

Elementi chiave dimenticati

Israele ha arrestato più di 650.000
palestinesi, ovvero il 20% della popolazione, dall’inizio dell’occupazione della Cisgiordania nel 1967. Quando ne parliamo, di solito si dimentica il fatto che Israele occupa la Palestina. I palestinesi vengono uccisi e rapiti nelle loro case e processati nei tribunali israeliani, dove i testimoni palestinesi non hanno il diritto di intervenire, mentre altri sono incarcerati, senza processo o accusa, sotto “detenzione amministrativa”.

Dando un’occhiata alla lista dei prigionieri

rilasciati, ho trovato il nome di Akram Mansour, arrestato a 18 anni.

Ha passato più di 30 anni a soffrire e a languire nelle carceri

israeliane per essersi opposto all’occupazione israeliana del Libano.

A 51 anni finalmente è riuscito ad assaporare un po’ di libertà –

anche se senza sua madre, suo padre e sua sorella che sono morti mentre

era sotto la custodia di Israele – prima che il tumore al cervello

sviluppato nelle prigioni israeliane abbia iniziato a portargli via

la vita. In un’intervista online in arabo rilasciata a Mansour,

dice di soffrire di paralisi alle dita, per i denti che gli mancano

e la perdita di memoria a causa delle torture a cui è stato sottoposto, che andavano dalle martellate sulle dita, agli aghi nella fronte per farlo urinare e, in caso di lamentele, a farlo spogliare al freddo e al colpirlo con secchiate di acqua ghiacciata (“The suffering of the liberated prisoner Akram Mansour,” 24 ottobre 2011 [arabo]).

Derubati dell’infanzia

Ragazzini palestinesi di dodici anni

vengono derubati della loro innocenza e dell’infanzia dietro le sbarre.

I ragazzi di sedici anni vengono processati da Israele come fossero

adulti, anche se secondo la legge internazionale e anche quella israeliana

(per gli israeliani) la maggiore età arriva con i diciotto anni. Madri

e sorelle vengono arrestate e accusate di terrorismo per essersi opposte

all’occupazione. I bambini vengono costretti a crescere senza genitori.

Gli uomini vengono accusati e condannati all’equivalente di 36 ergastoli

per essersi opposti al genocidio. In totale, 1027 persone sono state

liberate, mentre 5000 rimangono prigioniere.

Gilad Shalit verrà ricordato

come un eroe sopravvissuto a cinque anni di rapimento, durante i quali

ha avuto controlli medici regolari e ha vissuto nelle migliori condizioni

che Gaza potesse fornire sotto l’assedio israeliano. Questo è più

di quanto si possa dire dei prigionieri palestinesi, che spesso vengono

privati dei servizi di base, inclusa l’assistenza medica quando necessaria.

Oggi Shalit è un uomo che gode

di una libertà senza limiti. Invece, ai 477 palestinesi liberati

nella prima parte di questo scambio è stato permesso di tornare a casa

solo a condizione che facciano rapporto a Israele ogni mese e che non

viaggino in altre città palestinesi; oppure, sono stati confinati dove non hanno la possibilità di vedere le loro famiglie in Cisgiordania (alle quali non è permesso entrare a Gaza); oppure sono stati esiliati addirittura fuori dall’intero paese, vietando qualsiasi tipo di ritorno a casa. Adottando queste misure per impedire il ricongiungimento con i familiari per i prigionieri rilasciati, Israele viola il più basilare dei diritti umani. L’Articolo 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici dichiara: “Nessuno dovrà essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese.”

Una vita è una vita, e un essere

umano è un essere umano. Quindi, molti ora chiedono perché

la vita di Gilad Shalit vale quanto quella di 1027 palestinesi. Farsi

questa domanda significa non comprendere Israele. La vita di un israeliano

ha un valore incommensurabile, mentre la vita di un palestinese pesa

poco o niente. Penso di parlare a nome di molti palestinesi quando dico

che sono contenta che Gilad Shalit sia a casa, al sicuro con la sua

famiglia, che i palestinesi più di chiunque altri capiscono cosa voglia

dire perdere un padre, una madre, un fratello, una sorella, una figlia

e così via. Più di chiunque altro, i palestinesi comprendono la gioia

che lui e la sua famiglia possono provare ora che è tornato.

Personalmente, credo che uno scambio

equo sarebbe stato rilasciare tutti i prigionieri palestinesi in cambio

di tutti i prigionieri israeliani, cioè il solo Gilad Shalit,

piuttosto che far valere una sola vita per 1207. Tuttavia, sapendo che

Israele non sarebbe mai stato d’accordo, mi congratulo con Hamas e il

popolo palestinese per la loro vittoria. E prego per i restanti 5000

palestinesi che sono sotto la custodia di Israele, e per gli altri che

vengono arrestati per riempire le celle che sono state da poco svuotate.

Dana Halawa è un’americana-palestinese

di 20 anni che studia medicina alla Jordan University of Science

and Technology in Giordania.

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Fonte: Why is an Israeli soldier worth more than a Palestinian child?

08.11.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

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