Per una guerra inclusiva sostenibile e resiliente

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(di Andrea Cavalleri)

 

La tivvù, che tutto conosce, ha illuminato il popolo sul funzionamento del mondo:

ci sono i buoni e ci sono i cattivi.

E l’unica autorità competente a spiegare chi siano i buoni e chi i cattivi è la tivvù stessa.

La tivvù ci dice che bisogna essere in pace, ma, per colpa dei cattivi, occorre fare almeno una guerra ogni lustro.

Però siccome i buoni, cioè noi che facciamo tutto quello che dice la tivvù, siamo una Civiltà Democratica, non possiamo condurre la guerra in un modo qualsiasi, ma dobbiamo affrontarla consapevolmente e con le disposizioni che contraddistinguono il nostro stile superiore.

Questo è uno di quei momenti in cui la guerra sembra necessaria, infatti siamo in stato d’emergenza e ci è stato prospettato il drammatico dilemma se avere la pace o i condizionatori accesi; e poiché senza condizionatori d’estate non si può proprio resistere, è chiaro che il premier intendeva spiegarci che stiamo entrando in guerra.

Ma, beninteso, una guerra democratica e antifascista, infatti il Duce entrò in guerra per avere un posto al sole, mentre noi entriamo in guerra per poter stare nella frescura, coi condizionatori funzionanti.

Il primo elemento da considerare, in questa guerra dei buoni contro i cattivi, è che non bisogna lasciare indietro nessuno.

Forse perché qualche Stato è troppo piccolo, è poco armato, o non ha contenziosi in corso con il nemico, allora dovrebbe essere estromesso dall’opportunità di partecipare alla guerra?

Ma no, questa è discriminazione, tutti hanno il diritto di partecipare alla guerra!

Ognuno secondo le proprie possibilità, offrendo il contributo che è in grado di dare, come tappa fondamentale per l’auto costruzione di uno Stato libero e democratico.

Tutti sanno che una moderna civiltà basata sui diritti deve sviluppare la più ampia estensione degli stessi, fornendo non solo pari opportunità, ma un programma di inclusione per i diversamente abili.

E così, tutti ammessi alla guerra! Non solo Tedeschi, Francesi, Italiani, Europei, con i valorosi Inglesi e Americani che combatteranno fino all’ultimo Ucraino, ma anche Lussemburgo, Liechtenstein, San Marino, Andorra e Città del Vaticano.

Tutti sono ammessi alla guerra contro la Russia, anche i Russi.

E non solo ammessi, ma educati e incoraggiati: dalla tivvù prima di tutto, e poi dall’esperienza della cattiveria del nemico, per esempio provando i morsi di una crisi economica prodotta dagli onnipotenti hacker russi (che cercano goffamente di discolparsi attribuendola alle sanzioni e alla speculazione) o da qualche brutale atto terroristico zarista (camuffata col termine negazionista di false flag).

Naturalmente il processo di inclusione qui delineato è solo quello prossimo, immediato.

Infatti una riflessione critica ci impone di considerare anche i Paesi in via di sviluppo o quelli più defilati dal teatro delle operazioni: perché dovremmo precludere il diritto alla guerra, per esempio, al Burkina Faso, al Ciad o all’Uganda?

Perché non coinvolgere il Bhutan il Laos o la Nuova Caledonia?

A lungo termine la civiltà democratica deve impegnarsi per estendere il diritto alla guerra a tutte le nazioni del mondo.

Qualche preoccupazione l’ha destata il tema della sostenibilità.

Infatti alcuni si sono domandati se le missioni aeree non producessero troppa CO2 e se i carri armati avessero la marmitta catalitica.

Inoltre le bombe e i proiettili potrebbero avere un impatto sulla geomorfologia superficiale, disturbando e alterando l’ecosistema: come ha mostrato la tivvù con scene strazianti il povero grillotalpa ne soffre orribilmente e non se la passa meglio la sanguisuga, che arriva a contorcersi per il dolore; bisogna assolutamente fare qualcosa!

Noi, comunque, siamo una civiltà superiore, attenta al tema della sostenibilità fin dalla progettazione delle nostre opere; e infatti gli esperti ci dicono che le bombe e i mezzi militari barbarici del nemico inquinano tra le quindici e le venti volte di più dei nostri, mentre la flotta aerea dei buoni ha delle certificazioni attestanti che i velivoli sono stati prodotti utilizzando energia proveniente da fonti rinnovabili e che le emissioni rispondono al protocollo di Kirkjubæjarklaustur.

Tant’è che gli aerei dei buoni sono dotati di un sensore prodotto dalla Volkswagen che misura le emissioni e che, al raggiungimento di un tetto stabilito, interrompe automaticamente il raid, riportando il mezzo alla pista di atterraggio.

Sembra che queste garanzie abbiano soddisfatto Greta Thumberg.

Se poi accettiamo la teoria, non ancora del tutto convalidata ma promossa da fonti autorevoli, che le guerre (per qualche fenomeno complesso e difficilmente spiegabile) tendono ad accompagnarsi a un calo della popolazione sia umana sia bovina, si può ottenere un bilancio tra costi e benefici sostanzialmente equilibrato: ridurre il numero di uomini e di mucche significa infatti abbattere sensibilmente la produzione di flatulenze che, come tutti sanno, sono assolutamente perniciose per la sopravvivenza del pianeta.

Però tutte queste attenzioni possono attenuare il problema ma non risolverlo.

La verità è che, finché non si cambia la qualità dei mezzi, la guerra ha un impatto climatico-ambientale non positivo: bisogna passare al nucleare!

E infatti la tivvù, seguita da tutta la diplomazia occidentale, sta facendo i massimi sforzi per portarci sulla retta via della guerra atomica, l’unica che fornisca il massimo risultato col minimo di CO2.

Il terzo grande tema della guerra consiste nel fatto che, nonostante le accorate spiegazioni della tivvù sui benefici apportati da questa virtuosa istituzione, una parte della popolazione lamenta di trovarsi a disagio ed esprime la tendenza a desistere dall’azione.

Ma la resilienza non è una scelta, è imposta dal nemico aggressore (questo è il principio primo per cui bisogna fare la guerra) e quindi non bisogna cadere nel disfattismo, ma protrarre la nostra azione fino all’ottenimento del risultato.

Una parola va spesa sulle teorie disfattiste che circolano in rete, alimentate da un nugolo di fake news: pensate che si arriva a dire che la guerra causa la morte di una parte consistente della popolazione!

Basterebbe il fatto che le voci presenti in Internet si discostano dalla verità della tivvù, per capire che sono falsità, ma sentiamo la voce degli esperti.

Innanzi tutto il 99,9% delle morti sono causate da arresto cardiaco; esiste qualche studio in fase iniziale che suggerisce che una sventagliata di mitra in pieno petto o l’esplosione di una granata fra le gambe possano costituire un’aggravante, ma queste comunque non saranno mai cause di morte, gli esperti hanno categoricamente attestato che non c’è nessuna correlazione.

Accade sovente che certi soggetti che hanno fatto troppo sesso e troppo sport, hanno mangiato molta pizza margherita bevendoci pure sopra la birra, e compiono sforzi eccessivi nella defecazione, accusino un problema cardiocircolatorio proprio in prossimità di una sparatoria o di un’esplosione, e allora nascono le leggende metropolitane.

Qualcuno dirà che queste spiegazioni lo tranquillizzano finché si parla di guerra convenzionale, ma che in presenza di una guerra nucleare non saprebbe cosa fare.

Eh, bisogna avere pazienza, ci sono persone che ancora diffidano delle nuove tecnologie e non credono nella scienza, quella scienza benedetta che ciò che non ha ancora spiegato oggi, lo spiegherà domani.

A queste persone dico: cominciate a portare le mascherine in modo da filtrare le particelle della nube radioattiva, mascherine sempre, all’aperto e al chiuso.

E poi, non è ancora successo ma ho la certezza morale che accadrà, vedrete che un bel dì la tivvù ci darà il grande e tanto atteso annuncio che hanno trovato il vaccino contro le radiazioni e i fasci di neutroni.

E dovremo tutti ringraziare la ricerca sui vaccini anti covid, che ha permesso l’avanzamento scientifico necessario per giungere al vaccino anti atomico.

Anzi magari, per uno di quei casi dove l’intuizione geniale di uno studioso si sposa a una necessità storica (come accadde con la scoperta della penicillina), scopriremo che il vaccino antiradiazioni ce l’abbiamo già: la settima dose Pfitzer, che, oltre a proteggerci dalla variante yz bis, svolgerà esattamente quella funzione.

Potremo così affrontare la nostra guerra mondiale inclusiva, condotta nella giusta sostenibilità nucleare, con la dovuta resilienza.

 

Andrea Cavalleri per ComeDonChisciotte

 

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