Oro, Petrolio, Dollari , Russia e Cina

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DI F. WILLIAM ENGDAHL

journal-neo.org

Il sistema monetario internazionale, come stabilito a Bretton Woods nel 1944, è diventato il più grande ostacolo alla pace e alla prosperità del mondo. Ora la Cina, sempre più sostenuta dalla Russia – le due grandi nazioni eurasiatiche – si sta adoperando per creare una valida alternativa alla tirannia del dollaro. Wall Street e Washington sono irritate ma impotenti.

Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, il governo degli Stati Uniti, consigliato dalle maggiori banche internazionali di Wall Street, redasse ciò che molti credono erroneamente fosse un nuovo gold standard. In realtà era un dollar standard, in cui ogni altra valuta dei paesi FMI era agganciata alla moneta americana. A propria volta, il dollaro venne fissato ad un valore pari ad 1/35 di un’oncia d’oro. All’epoca Washington e Wall Street potevano imporre un sistema del genere dato che la Federal Reserve deteneva circa il 75% di tutto l’oro monetario mondiale, in conseguenza della guerra e degli sviluppi correlati. Bretton Woods stabilì il dollaro come valuta di riserva del commercio mondiale, detenuto dalle banche centrali.

Morte di un difettoso dollar standard*

Alla fine degli anni Sessanta, con gli alti deficit di bilancio dovuti a guerra del Vietnam ed altre spese senza senso, il dollar standard cominciò a mostrare i propri profondi difetti strutturali. Un’Europa occidentale recuperata ed il Giappone non avevano più bisogno di miliardi di dollari USA per finanziare la ricostruzione. Germania e Giappone erano diventati economie di esportazione su scala mondiale, con un’efficienza maggiore rispetto alla produzione statunitense a causa di una crescente obsolescenza di quest’ultima nell’industria dell’auto e delle infrastrutture. Washington dovette dunque svalutare in modo significativo il dollaro rispetto all’oro per correggere il crescente squilibrio del commercio mondiale. Una tale svalutazione del dollaro avrebbe aumentato gli utili delle esportazioni americane e ridotto gli squilibri commerciali. Sarebbe stato un enorme plus per l’economia reale. Causò tuttavia grosse perdite alle banche di Wall Street. E così, le amministrazioni Johnson prima e Nixon poi stamparono dollari in quantità, esportando l’inflazione in tutto il mondo.

Le banche centrali francese e tedesca in particolare reagirono alla sordità di Washington chiedendo a Bretton Woods riserve d’oro a 35 dollari all’oncia. Entro l’agosto ’71 l’oro era così preferito rispetto ai dollari inflazionati che Nixon venne consigliato da un alto funzionario del Tesoro, Paul Volcker, di abbandonare il sistema vigente.

Dal ’73 Washington permise di scambiare liberamente l’oro, sganciato dal dollaro. L’aumento dei prezzi del petrolio (preparato a tavolino) in quell’anno, invece, creò ciò che Kissinger definì allora il petrodollaro.

Il mondo aveva bisogno di petrolio. Washington, in un accordo del ’75 con la monarchia saudita, si assicurò che l’OPEC vendesse petrolio solo in dollari. Il valore di tale valuta scavalcò quello di marco e yen. Le banche di Wall Street erano inondate di petrodollari, spazzando via il resto del mondo.

Nel mio libro Gods of Money: Wall Street and the Death of the American Century, spiego come le maggiori banche internazionali newyorchesi, come Chase, Citibank e Bank of America usarono i petrodollari per riciclare i profitti delle esportazioni di petrolio nei paesi in via di sviluppo negli anni ’70, gettando i semi per la cosiddetta Crisi Debitoria del Terzo Mondo. Curiosamente, fu lo stesso Volcker, protégé di David Rockefeller e della sua Chase Manhattan Bank, che nell’ottobre ’79, stavolta da presidente della Fed, innescò la crisi del debito degli anni ’80 alzando tantissimo i tassi di interesse Fed. Mentì dicendo che voleva pizzicare l’inflazione. In realtà, voleva salvare il dollaro e le banche di Wall Street.

Oggi, il dollaro è un fenomeno strano, per usare un eufemismo. Gli Stati Uniti dal 1971 sono passati da una nazione industriale prominente ad un gigantesco casinò di speculazioni.

Con i tassi di interesse dei Fed Funds tra lo 0% e l’1% negli ultimi nove anni – cosa senza precedenti nella storia moderna – le maggiori banche di Wall Street, cause della crisi, hanno costruito una nuova bolla speculativa. Invece di concedere prestiti per sostenere l’economia reale, hanno creato un’altra colossale bolla nel mercato azionario. Le grandi aziende hanno usato il credito a basso costo per acquistare i propri titoli, spingendo così i prezzi delle azioni, un aumento alimentato dalle favole sulla “ripresa economica”. L’indice azionario S&P-500 aumentò del 320% a partire da fine 2008. Posso assicurare che questa crescita non è coincisa con quella dell’economia reale.

È dall’88 che le famiglie americane guadagnano meno in termini reali. Devono prendere in prestito più che mai nella storia. Il debito del governo federale è all’ingestibile cifra di 20 trilioni di dollari. L’industria americana è stata chiusa e la produzione è stata spedita all’estero. Quel che è rimasto è un debito altissimo ed una decadente “economia di servizio” dove milioni di persone fanno anche tre lavori part-time per rimanere a galla.

L’unica cosa che previene il crollo del dollaro sono le forze armate e le ONG, che affossano i paesi altrui.

Fintanto che gli sporchi trucchi di Washington e le macchinazioni di Wall Street sono riusciti a creare crisi come quella dell’Eurozona, i paesi in surplus commerciale come Cina, Giappone e poi Russia non potevano far altro che acquistare più debito americano. Washington e Wall Street gioivano. Potevano stampare volumi infiniti di dollari agganciati a nulla che fosse più prezioso di degli F-16 o dei carri armati Abrams. Cina e Russia hanno così finanziato le guerre americane che avevano loro stesse come obiettivo. Hanno poi avuto poche opzioni alternative valide.

Emerge una valida alternativa

Ora, ironicamente, due delle economie straniere che hanno permesso al dollaro un’estensione di vita artificiale dopo l’89 – cioè Russia e Cina – stanno macchinando nell’ombra l’alternativa più temuta, una moneta agganciata all’oro che scalzi il dollaro.

Per molti anni i due paesi hanno acquistato enormi volumi d’oro, in gran parte per aumentare le riserve valutarie delle loro banche centrali, che di solito sono in dollari o in euro. Fino a poco tempo fa non era chiaro il perché.

Ora sì.

Cina e Russia, probabilmente assieme ai BRICS ed ai partner eurasiatici della SCO, stanno per completare la creazione di un nuovo sistema monetario.

Tra i membri SCO troviamo Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan ed Uzbekistan e, più recentemente, India e Pakistan. Si tratta di più di 3 miliardi di persone, il 42% dell’intera popolazione mondiale, riuniti in una coerente, pianificata e pacifica cooperazione economico-politica.

Se aggiungiamo anche i paesi pretendenti – Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia – le cose si fanno ancor più serie. La Turchia è un partner dialogante che forse potrebbe entrare, come Sri Lanka, Armenia, Azerbaigian, Cambogia e Nepal. In poche parole, la cosa è enorme.

BRI ed una Via della Seta garantita dall’oro

Fino a poco tempo fa, i think tank di Washington hanno minimizzato lo SCO: essa però, a differenza dei BRICS, forma un’entità geografica ben definita, detta Eurasia. Quando Xi Jinping propose la creazione di una Nuova Via della Seta in una riunione in Kazakistan nel 2013, pochi in Occidente lo presero sul serio. Il nome ufficiale oggi è Belt Road Initiative (BRI) ed il mondo comincia a prenderla sul serio.

La Cina punta molto sulla realizzazione di ferrovie ad alta velocità avanzate, porti, infrastrutture energetiche che formino un nuovo vasto mercato che, in meno di un decennio, oscurerà i paesi occidentali.

L’unica cosa che serviva era una strategia per liberarsi dal giogo del dollaro. Ed ora è stata trovata.

All’annuale vertice BRICS del 5 settembre a Xiamen, Putin ha dichiarato: “La Russia condivide le preoccupazioni sull’ingiustizia del sistema finanziario mondiale, che non tiene conto del crescente peso delle economie emergenti. Siamo pronti a lavorare coi nostri partner per superare l’eccessivo dominio di poche valute di riserva”. Non è mai stato così esplicito sulle valute. È ora chiaro che il mondo vedrà nuovi gradi di libertà economica.

Futures del petrolio in Yuan cinesi

Secondo la rivista Japan Nikkei Asian Review, la Cina sta per avviare un contratto futures sul petrolio grezzo denominato in yuan cinesi, che sarà convertibile in oro. Una mossa molto interessante.

La Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio, la maggior parte di esso è però ancora pagata in dollari americani. Se i nuovi Yuan oil futures otterranno consensi, potrebbero diventare il più importante benchmark di petrolio grezzo in Asia. Sarebbe una sfida ai contratti North Sea Brent e West Texas Intermediate, che finora hanno dato a Wall Street enormi vantaggi.

Sarebbe un’ulteriore manipolazione del mercato eliminata dalla Cina e dai suoi partner petroliferi. L’introduzione di un contratto del genere da parte di Shanghai sposterebbe definitivamente il centro del potere dall’Atlantico all’Eurasia (anche considerato che lo yuan è entrato nel gruppo FMI di valute con diritti speciali di prelievo).

Nell’aprile 2016 la Cina ha fatto una grande mossa per diventare il nuovo centro mondiale del commercio dell’oro. Oggi è la più grande produttrice di oro al mondo, molto più del suo alleato Sudafrica, con la Russia al secondo posto.

La Cina ha ora istituito un vasto centro di stoccaggio nella Qianhai Free Trade Zone vicino a Shenzhen, città di circa 18 milioni immediatamente a nord di Hong Kong sul Delta del Fiume delle Perle. Sta completando la costruzione di una struttura apposita, con magazzini, trading floor ed uffici correlati. La società cinese Gold and Silver Exchange, con base ad Hong Kong, è in un progetto congiunto con ICBC, la più grande banca cinese, nonché la sua più grande importatrice d’oro, per creare il Qianhai Storage Center. È ora chiaro perché le ONG di Washington, segnatamente la National Endowment for Democracy, hanno tentato, senza successo, di scatenare la Rivoluzione degli ombrelli a fine 2014.

Ora anche i membri mediorientali dell’OPEC si sposteranno verso la Cina, visto il grado di rischio degli accordi in petrodollari. In particolare, il gigante russo del petrolio Rosneft ha appena annunciato che la CEFC China Energy Company Ltd. ha acquistato una propria quota del 14% dal Qatar. Oramai il quadro è ben delineato.

L’impero del dollaro è sul letto di morte ma i suoi patriarchi non vogliono accettare la realtà delle cose. Nel frattempo, gli elementi sani di questo mondo stanno costruendo alternative costruttive e pacifiche. Sono persino aperte a concedere a Washington, ovviamente sotto certe condizioni, di unirsi a loro. Un gesto molto generoso, no?

F. William Engdahl

Fonte: https://journal-neo.org

Link: https://journal-neo.org/2017/09/13/gold-oil-dollars-russia-and-china/

13.09.2017

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

*Termine coniato da Keynes (v.) in riferimento alle condizioni, del tutto particolari, createsi negli USA all’inizio degli anni Venti.
Le autorità monetarie americane, invero, avevano, a tutti gli effetti, capovolto i termini del gold standard (v.). Esse, invece di garantire la parità aurea (v.), operavano in modo da far sì che fosse il valore dell’oro ad adeguarsi, non senza sacrifici per la nazione, a quello del dollaro (v.).

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