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La Redazione

 

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Non ci sono più “guerre facili” da combattere, non bisogna farsi ingannare dal desiderio di averne una

Trump potrebbe non rendersi conto di quanto Stati Uniti e Israele siano isolati tra i vicini arabi e sunniti di Israele.
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A cura di Markus
Il 17 Novembre 2024
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Alastair Crooke
strategic-culture.su

Gli israeliani, nel complesso, mostrano l’ottimistica certezza di poter manipolare Trump, se non per la piena annessione dei Territori occupati (Trump nel suo primo mandato non aveva sostenuto tale manovra), quanto piuttosto per intrappolarlo in una guerra contro l’Iran. Molti (persino la maggior parte) degli israeliani non vedono l’ora di fare la guerra all’Iran e di ampliare il proprio territorio (senza Arabi). Credono alle chiacchiere secondo cui l’Iran “sarebbe nudo”, incredibilmente vulnerabile, davanti a un attacco militare statunitense e israeliano.

Le nomine del team di Trump, finora, rivelano una squadra di politica estera di feroci sostenitori di Israele e di appassionata ostilità all’Iran. I media israeliani la definiscono una “squadra da sogno” per Netanyahu. Sembra proprio così.

La lobby israeliana non avrebbe potuto chiedere di meglio. Hanno avuto quello che volevano. E, con il nuovo capo della CIA, hanno ottenuto come bonus un noto ultra-falco anticinese.

Ma, nella sfera interna, il tono è esattamente l’opposto: la nomina chiave per la “pulizia delle stalle” è quella di Matt Gaetz a Procuratore Generale, un vero “lanciabombe”. E, per la pulizia dell’intelligence, Tulsi Gabbard è stata nominata direttore dell’intelligence nazionale. Tutte le agenzie di intelligence faranno rapporto a lei e sarà responsabile del briefing quotidiano del presidente. Le valutazioni dell’intelligence potrebbero quindi iniziare a riflettere qualcosa di più vicino alla realtà.

La struttura profonda inter-agenzia ha tutti i motivi per essere terrorizzata; sono nel panico, soprattutto per Gaetz.

Elon Musk e Vivek Ramaswamy hanno il compito quasi impossibile di tagliare la spesa federale fuori controllo e la stampa di moneta. Il sistema dipende profondamente da una spesa pubblica ipertrofica che ha il compito di far girare gli ingranaggi e le leve dell’inutile apparato di “sicurezza”. Che non si arrenderà senza una dura lotta.

Quindi, da un lato, la Lobby ha una squadra da sogno (Israele), ma, dall’altro lato, la sfera domestica ottiene una squadra di rinnegati.

Tutto questo è sicuramente voluto. Trump sa che l’eredità di Biden di gonfiare il PIL con posti di lavoro statali e spesa pubblica eccessiva è la vera “bomba a orologeria” che lo attende. Anche in questo caso i sintomi di astinenza, quando la droga del denaro facile viene ritirata, possono rivelarsi incendiari. Il passaggio a una struttura basata sui dazi e sulla riduzione delle tasse sarà dirompente.

Che sia intenzionale o meno, Trump sta tenendo le carte coperte. Abbiamo solo delle anticipazioni sulle intenzioni, e l’acqua viene seriamente intorbidita dai famigerati notabili dell'”Inter-Agenzia”. Ad esempio, l’autorizzazione del Pentagono a far lavorare in Ucraina appaltatori del settore privato è stata fatta in coordinamento con “parti interessate inter-agenzie”.

Trump si trova nuovamente di fronte alla vecchia nemesi che lo aveva paralizzato durante il suo primo mandato. Infatti, durante il processo per l’impeachment per i fatti riguardanti l’Ucraina, un testimone (Vindman), quando gli era stato chiesto perché non avesse obbedito alle istruzioni esplicite del Presidente, aveva risposto che, sebbene Trump avesse la sua opinione sulla politica dell’Ucraina, tale posizione NON era in linea con la posizione concordata dall'”Inter-Agenzia”. In parole povere, Vindman aveva negato che un presidente degli Stati Uniti avesse potere nella formulazione della politica estera.

In breve, la “struttura inter-agenzia” stava dicendo a Trump che il sostegno militare all’Ucraina doveva continuare.

Quando il Washington Post ha pubblicato la storia dettagliata di una telefonata Trump-Putin – che il Cremlino afferma con enfasi non essere mai avvenuta – le strutture profonde della politica stavano semplicemente dicendo a Trump che sarebbero state loro a determinare la forma della “soluzione” statunitense per l’Ucraina.

Allo stesso modo, quando Netanyahu si era vantato di aver parlato con Trump e aveva detto che Trump “condivideva” le sue idee sull’Iran, era Trump che, indirettamente, riceveva istruzioni su quale avrebbe dovuto essere la sua politica nei confronti dell’Iran. Anche tutte le (false) voci sulle nomine nella sua squadra non erano altro che le interagenzie che segnalavano le loro scelte per i posti chiave. Non c’è da stupirsi che regni la confusione.

Quindi, cosa si può dedurre in questa fase iniziale? Se c’è un filo conduttore, è il costante ritornello che Trump è contro la guerra. E che esige dai suoi prescelti lealtà personale e nessun vincolo con le Lobby o la Palude.

Quindi, il fatto che la sua amministrazione sia piena di “sostenitori di Israele” è forse un’indicazione del fatto che Trump si sta orientando verso un “patto realista di stampo faustiano” per distruggere l’Iran al fine di paralizzare la fonte di approvvigionamento energetico della Cina (il cui petrolio proviene per il 90% dall’Iran), e quindi indebolire la Cina? – Due piccioni con una fava, per così dire?

Il crollo dell’Iran indebolirebbe anche la Russia e ostacolerebbe i progetti di corridoi di trasporto dei BRICS. L’Asia centrale ha bisogno sia dell’energia iraniana che dei suoi corridoi di trasporto chiave che collegano la Cina, l’Iran e la Russia come nodi primari del commercio eurasiatico.

Quando l’Organizzazione RAND, il think tank del Pentagono, ha pubblicato di recente un’importante valutazione della Strategia di Difesa Nazionale (NDS) per il 2022, le sue conclusioni sono state crude: un’analisi inesorabilmente cupa di ogni aspetto della macchina bellica statunitense. In breve, gli Stati Uniti “non sono preparati”, si legge nella valutazione, ad affrontare una seria “competizione” con i loro principali avversari, e sono vulnerabili o addirittura nettamente superati in ogni ambito bellico.

Gli Stati Uniti, continua la valutazione di RAND, potrebbero essere trascinati in breve tempo in una guerra in più teatri con avversari pari e quasi pari – e potrebbero perdere. Il rapporto avverte che l’opinione pubblica statunitense non ha interiorizzato i costi che comporterebbe la perdita della posizione di superpotenza mondiale. Gli Stati Uniti devono quindi impegnarsi a livello globale con una presenza – militare, diplomatica ed economica – per preservare la loro influenza in tutto il mondo.

In effetti, come ha osservato un autorevole commentatore, il culto dell'”Impero a tutti i costi” (cioè lo Zeitgeist della RAND Organisation) è ora “più disperato che mai nel trovare una guerra da combattere per ripristinare le sue fortune e il suo prestigio“.

E la Cina sarebbe una proposta del tutto diversa per un atto dimostrativo di distruzione al fine di “preservare l’influenza degli Stati Uniti nel mondo” – perché gli Stati Uniti “non sono preparati” a un conflitto serio con i loro avversari di pari livello: Russia o Cina, secondo la RAND.

La situazione di stallo in cui versano gli Stati Uniti dopo decenni di eccessi fiscali e di delocalizzazione (che hanno portato all’attuale indebolimento della base industriale militare) rende la guerra cinetica con la Cina o la Russia o “in più teatri” una prospettiva da evitare.

Il punto che il commentatore qui sopra sottolinea è che non ci sono più “guerre facili” da combattere. E che la realtà (brutalmente delineata da RAND) è che gli Stati Uniti possono scegliere una – e una sola – guerra da combattere. Trump può anche non volere alcuna guerra, ma i potenti della Lobby – tutti sostenitori di Israele, se non Sionisti attivi che sostengono lo sfollamento dei palestinesi – vogliono la guerra. E credono di poterla ottenere.

In parole povere: Trump ci ha pensato bene? Gli altri membri della squadra di Trump gli hanno ricordato che nel mondo di oggi, con la forza militare degli Stati Uniti che sta svanendo, non ci sono più “guerre facili” da combattere, anche se i Sionisti credono che, con un colpo decapitante alla leadership religiosa e dell’IRGC iraniana (sulla falsariga degli attacchi di Israele ai leader di Hizbullah a Beirut), il popolo iraniano si solleverebbe contro i suoi leader e si schiererebbe con Israele per un “Nuovo Medio Oriente”.

Netanyahu ha appena fatto la sua seconda trasmissione al popolo iraniano promettendogli la salvezza anticipata. Lui e il suo governo non stanno aspettando di chiedere a Trump il suo consenso all’annessione di tutti i territori palestinesi occupati. Quel progetto è in corso di attuazione sul terreno. Si sta svolgendo ora. Netanyahu e il suo gabinetto hanno la pulizia etnica “tra i denti”. Trump sarà in grado di rimediare? In che modo? O soccomberà e diventerà il “Don del genocidio”?

Questa presunta “guerra in Iran” segue lo stesso ciclo narrativo di quella con la Russia: “la Russia è debole, le sue forze armate sono poco addestrate, il suo equipaggiamento è per lo più riciclato dall’era sovietica, i suoi missili e la sua artiglieria scarseggiano“. Zbig Brzezinski aveva già portato questa logica alla sua conclusione in The Grand Chessboard (1997): la Russia non avrebbe avuto altra scelta se non quella di sottomettersi all’espansione della NATO e ai dettami geopolitici degli Stati Uniti. Questo era “allora” (poco più di un anno fa). La Russia aveva raccolto la sfida dell’Occidente – e oggi è al posto di comando in Ucraina, mentre l’Occidente guarda impotente.

Il mese scorso era stato il generale in pensione statunitense Jack Keane, analista strategico di Fox News, a sostenere che l’attacco aereo di Israele contro l’Iran aveva lasciato il Paese “essenzialmente nudo”, con la maggior parte delle difese aeree “messe fuori uso” e le fabbriche di produzione di missili distrutte dagli attacchi israeliani del 26 ottobre. La vulnerabilità dell’Iran, aveva detto Keane, è “semplicemente sconcertante“.

Kean ha ripetuto il messaggio del primo Brzezinski: l’Iran sarà una “guerra facile”. Questa previsione, tuttavia, si rivelerà probabilmente sbagliata. E, se perseguita, porterà ad un completo disastro militare ed economico per Israele. Ma non è da escludere che Netanyahu – assediato su tutti i fronti e sull’orlo di una crisi interna e persino del carcere – sia abbastanza disperato da farlo. Dopo tutto, il suo è un mandato biblico che persegue per Israele!

L’Iran probabilmente lancerà una risposta dolorosa a Israele prima dell’inaugurazione presidenziale del 20 gennaio. Questa risposta dimostrerà l’inaspettata e imprevista innovazione militare dell’Iran. Quello che faranno gli Stati Uniti e Israele potrebbe aprire le porte a una guerra regionale più ampia. Il sentimento in tutta la regione ribolle per il massacro nei Territori occupati e in Libano.

Trump potrebbe non rendersi conto di quanto gli Stati Uniti e Israele siano isolati tra i vicini arabi e sunniti di Israele. Gli Stati Uniti sono talmente assottigliati e le loro forze nella regione sono talmente vulnerabili all’ostilità stimolata dai massacri quotidiani di Israele, che una guerra regionale potrebbe essere sufficiente a far crollare l’intero castello di carte. Lo scontro getterebbe Trump in una crisi finanziaria che potrebbe affondare anche le sue aspirazioni economiche interne.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2024/11/15/there-are-no-easy-wars-left-fight-but-not-mistake-longing-for-one/
15.11.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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