Perché, mentre è così facile salvare le banche, è così difficile salvare la biosfera?
DI GEORGE MONBIOT
www.monbiot.com
Le banche le salvano in una giornata. Ma anche solo per pensare di salvare il pianeta ci vogliono decenni.
Lord Stern ha calcolato che sistemare
il cambiamento climatico costerebbe circa l’1% del PIL mondiale, mentre
restare fermi e lasciare che ci colpisca costa tra il 5 ed il 20%. L’uno
per cento del PIL equivale, al
momento, a 630 miliardi di dollari.
Nel marzo del 2009, Bloomberg
ha rivelato che la FED
[Banca Centrale degli USA, ndt] ha destinato 7,77 trilioni di dollari
alle banche. Si tratta solo di un contributo del governo: eppure tale
somma equivale a 12 volte il costo annuale del cambiamento climatico
globale. Aggiungendo i finanziamenti degli altri paesi la cifra si moltiplica
di molto.Questo sostegno è stato dato
su richiesta: appena le banche hanno dichiarato di volere aiuto, lo
hanno ottenuto. Nell’arco di un solo giorno, la FED ha reso disponibili
1,2 trilioni di dollari, più di quanto l’intero pianeta abbia
messo a disposizione per il cambiamento climatico negli ultimi venti
anni.
Tutto si è svolto senza condizioni
e anche in segreto: ci sono voluti due anni perché i giornalisti
potessero illustrarne i dettagli. Le banche hanno gridato “aiuto”
e il governo ha semplicemente tirato fuori il portafogli. E va ricordato
che il tutto è accaduto sotto George W. Bush, la cui amministrazione
si era dichiarata fiscalmente conservatrice.
Ma far sì che il governo americano
impieghi una qualsiasi forma di aiuto fiscale per il pianeta – anche
solo un paio di miliardi – è come togliersi un dente. “Non ce
lo possiamo permettere!”, urlano i Repubblicani (e molti tra
i Democratici). Rovinerà l’economia! Torneremo a vivere in caverne!”
Spesso vengo colpito dalla retorica
pomposa e selvaggia di coloro che accusano gli ambientalisti di diffondere
il panico. “Se questi allarmisti facessero come vogliono, distruggerebbero
l’intera economia”: questo è il genere di dichiarazione che si
sente quasi tutti i giorni, senza alcuna parvenza di ironia.
Nessun legislatore, per quanto ne so,
è ancora stato capace di spiegare perché ci si può
permettere di destinare 7,7 trilioni di dollari alle banche, mentre
non è possibile investire cifre molto più basse in nuove
tecnologie e risparmio energetico.
Gli Stati Uniti e le altre nazioni
hanno iniziato ad affrontare seriamente il problema del cambiamento
climatico nel 1988. Tuttavia, non esiste ancora un accordo mondiale
vincolante ed è improbabile che ce ne sarà uno entro il
2020, se mai avverrà. Gli accordi per salvare le banche vengono conclusi
senza alcuna fatica nei summit economici, mentre fare progressi
nei summit ambientali sembra come usare un asino per trainare
un camion di 44 tonnellate.
Per fare un esempio, il risultato di
Durban, dopo imprese sovrumane, è stato migliore di quanto temessero
gli ambientalisti. Dopo Copenaghen e Cancun non sembrava plausibile
che le nazioni ricche e quelle povere sarebbero mai state d’accordo
per creare un giorno un trattato vincolante, ma lo hanno fatto. Questo
non significa che il risultato è stato buono: anche se tutto andasse
come pianificato, c’è ancora la probabilità che la temperatura si
surriscaldi di più di due gradi, il che minaccia molti luoghi e molti
abitanti della Terra.
Il resoconto più chiaro che io abbia
letto finora riguardo le negoziazioni e l’esito dell’incontro di Durban
è stato scritto da Mark
Lynas, che ha partecipato
come consigliere del presidente delle Maldive. Egli ha documentato la
complessità bizantina del risultato di vent’anni di ostruzioni e
tergiversazioni. Quando le nazioni potenti voglio fare qualcosa, lo
fanno in modo semplice e veloce. Quando non vogliono, i loro accordi
con gli altri paesi si trasformano in un nascondino.
Ecco alcuni punti chiave:
- le negoziazioni più importanti
si riducono a una battaglia tra due gruppi: l’Unione Europea, i paesi
meno sviluppati e le piccole isole da un lato; gli USA, il Brasile,
il Sud Africa, l’India e la Cina dall’altro, cercando di resistere alla
pressione.
- Il primo gruppo ha avuto
in qualche modo successo: le altre nazioni hanno acconsentito a elaborare
un accordo vincolante “applicabile a tutte le parti”. In
altre parole, diversamente dal Protocollo di Kyoto che regola solo le
emissioni di gas serra di un gruppo di paesi ricchi, questo accordo
sarebbe valido per tutti, e comunque ciò non significa necessariamente
che le nazioni dovranno ridurre le emissioni.
- Il primo gruppo non è riuscito
ad ottenerlo rapidamente. Le nazioni più povere volevano un risultato
legalmente vincolante entro la fine dell’anno prossimo. Ma il gruppo
USA-Cina ha spinto per il 2020 e ci sono riusciti. A meno che questa
situazione non cambi, limitare l’aumento della temperatura globale a
due gradi o meno risulta più difficile, se non impossibile.
- Il Protocollo di Kyoto,
sebbene rimanga in vigore fino al 2017 o 2020, è ad un punto morto.
Di fatto, come suggerisce Lynas, a meno che le ambiguità in esso contenute
vengano limitate, potrebbe risultare addirittura inutile, perché potrebbero
minare gli impegni volontari che gli stati firmatari hanno contratto.
- Le nazioni hanno accordato
la creazione di un
GreenClimate Fund
per aiutarei paesi in via di sviluppo a limitare le emissioni di gas serra e adattarsi
all’impatto del surriscaldamento globale. Ma con tre eccezioni: la Corea
del Sud, la Germania e la Danimarca hanno deciso di non investire denaro
nel progetto. Il fondo dovrebbe ricevere 100 miliardi di dollari all’anno:
un sacco di soldi, finché non vengono paragonati a quelli delle banche.
- Da qui al 2020, possiamo
solo fare affidamento sugli impegni volontari dei paesi.
Secondo uno studio dell’ONU, queste iniziative mancano dei tagli necessariper impedire un aumento superiore ai due gradi, equivalenti a circa
6 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.
- Ma, pur riconoscendo i traguardi
raggiunti dall’accordo di Durban, due gradi sono ancora troppi. Ha aumentato
la possibilità di un impegno a mantenere l’incremento sotto un grado
e mezzo di temperatura. Questo richiederebbe un programma di tagli molto
più rapido di quanto previsto.
Quindi, perché risulta così
facile salvare le banche e così difficile salvare la biosfera?
Se per caso ci fosse bisogno di dimostrare che i nostri governi operano
negli interessi dell’élite piuttosto che nell’interesse del mondo
intero, ecco le prove.
Fonte: No Bail-Out for the Planet
17.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO