I progetti dei think-tank per
l’Iran lasciano sul tavolo solo un attacco israeliano o una provocazione
per la guerra totale.
DI TONY CARTALUCCI
Land Destroyer
Da dieci mesi l’amministrazione Obama sta coordinando la “Primavera Araba”, un sotterfugio geopolitico plasmato da anni, che si è realizzato simultaneamente in varie nazioni nel Medio Oriente e nel Nord Africa all’inizio del 2011. La conflagrazione regionale è stata alimentata
da un continuo supporto, in un primo momento negato con simulata sorpresa, fornito ai gruppi dell’opposizione dagli Stati Uniti, poi con un sostegno più aperto, e alla fine con i bombardamenti della NATO, armi, addestramento e forze per le operazioni speciali prestate alla ribellione in Libia e armamenti e supporti inviati ai militanti in Siria. Queste iniziative collettive che sono partite dalla Tunisia e si sono spinte fino alle
porte dell’Iran sono al servizio di un programma specifico, contenere e alla fine interrompere la risollevazione della Russia così come contenere l’ascesa della Cina.
Rovesciare l’Iran
Nella stesura di quest’agenda c’è
il rovesciamento del regime iraniano e la sua integrazione dell’”ordine
internazionale” di Londra e Wall Street. Gli sforzi per abbattere
il regime siriano da parte dei gruppi di opposizione appoggiati e ora apparentemente armati dagli Stati Uniti con l’obbiettivo di isolare
e anche provocare la Repubblica Islamica per poter giustificare una
risposta degli USA o di Israele (o di entrambi). Come già riportato
in modo esteso, la sceneggiatura di questi stratagemmi è descritta
nel documento stilato dalla ben finanziata Brooking Institution, “Which Path to Persia?”, dove si afferma specificamente:
Sarebbe di gran lunga
preferibile se gli Stati Uniti citassero una provocazione iraniana per
giustificare i bombardamenti prima che questi avvengano. Chiaramente,
tanto più l’azione iraniana sarà
sconvolgente, terribile e non provocata, tanto meglio sarà
per gli Stati Uniti. Naturalmente, sarebbe molto difficile per gli Stati
Uniti dar fastidio all’Iran per portarlo a realizzare una provocazione
simile se il resto del mondo riuscisse a riconoscere il
“gioco”, cosa che lo manderebbe a monte. (Un metodo che potrebbe
avere una certa probabilità di successo sarebbe quello di portare avanti,
in modo discontinuo, iniziative segrete per il cambio di regime nella
speranza che Teheran reagisca in modo palese, o semi-palese, cosa che
potrebbe essere poi descritta come un atto di aggressione non provocato
da parte dell’Iran.)
La “Rivoluzione Verde” del
2009 era solo un tentativo per un “operazione segreta per un cambio
di regime” per “spingere l’Iran in una provocazione”
anche se ha fallito in modo ignobile. Sembra che oltre a finanziare, armare e dare
copertura all’organizzazione terroristica Mujahedin-e Khalq (MEK), gli Stati Uniti hanno deciso di architettare
completamente “tali provocazioni“. Il recente complotto
DEA-Arabia Saudita annunciato dal Procuratore Generale Eric Holder si
poggia su un terreno assai instabile, ora ancor di più visto che l’Iran
ha controbattuto che il presunto membro delle Brigate Quds implicato
dagli Stati Uniti potrebbe
essere in effetti un membro della succitata organizzazione terroristica
appoggiata dagli USA. Gli Stati
Uniti hanno fatto tutto quello che era in loro potere per spingere l’Arabia
Saudita verso la linea dura contro Teheran. Nel 2009 il documento del
Brooking aveva da dire questo a riguardo:
Ad esempio, l’Arabia
Saudita è molto preoccupata dei programmi nucleari iraniani, così
come dalla sua condotta pericolosa in Libano, in Iraq e nei Territori
palestinesi. Finora Riad ha chiarito di non voler sostenere operazioni
militari di qualsiasi genere contro l’Iran. Tutto questo potrebbe
cambiare, ma è difficile immaginare come.
Forse i terroristi del MEK che fingono
di essere le Brigate Quds, che intrappolano un tossico venditore di
auto usate per progettare un attentato terroristico contro un ambasciatore
saudita per poi dare la colpa all’Iran.
Con il destino della Libia ancora sospeso,
con le truppe USA che ancora occupano sia l’Iraq che l’Afghanistan,
e con un rinnovato vigore da indirizzare in Siria dopo la caduta presunta del leader
libico Muammar Gheddafi, è
altamente improbabile che gli Stati Uniti abbiano abbandonato i propri
progetti per rovesciare alla fine il regime iraniano nel crescendo di
questa continua campagna regionale. Infatti, molti all’interno dell’amministrazione
Obama sono stati tra i più rabbiosi sostenitori dell’esecuzione dell’atto
finale di questa strategia a lungo termine iniziata sotto l’amministrazione
Bush. Il rivale
alle elezioni presidenziali del 2008 John McCain
e ovviamente la
solita ridda di politici non eletti e finanziati dalle grandi aziende che provengono dalle mura della Brookings
Institution, della
Foreign Policy Initiative e
dell’American Enterprise Institute
(AEI) sono stati più che decisi nel sostegno dato a questo programma.
Che questi politici, che hanno aiutato, plasmato e sostenuto
il percorso tenuto da Obama,
si siano imbronciati per la sua decisione di ritirare le truppe dall’Iraq
quando, in realtà, non hai mai preso, e mai prenderà, un’iniziativa
del genere, è una cosa davvero sospetta. Kenneth Pollack, uno dei co-autori
di “Which Path to Persia?“, di recente ha espresso
un disappunto nel suo articolo intitolato “With a Whimper, Not a Bang“. Anche Frederick Kagan, l’architetto
della finanziatissima AEI che sta dietro l’”incremento delle
truppe” in Iraq, si è lamentato in un pezzo intitolato “Obama abbandona l’Iraq“. Kagan ha esplicitamente affermato che
il ritiro “concederebbe a Teheran la più importante richiesta
che sta perseguendo da anni, il ritiro completo delle forze armate statunitense
dall’Iraq“.
Possibili scenari
Gli Stati Uniti stanno tentando di
far crescere l’illusione di uno sgombero dall’Iraq, lasciando sul
campo solo una forza simbolica per una ragione precisa, che ha a che
fare con la mossa finale da giocare contro l’Iran, l’ultima tessera
del domino che deve cadere nella
“Primavera Araba” pianificata dagli Stati Uniti. Questi sono i due possibili scenari:
- Lasciare una piccola forza
simbolica che possa essere attaccata dagli iraniani dopo un bombardamento
“unilaterale” israeliano. Qualsiasi cosa l’Iran decida di fare,
potrebbe non essere in grado di farla in modo continuato, ma lo farebbe
brutalmente nella prima fase. Lasciando una forza simbolica in Iraq,
gli Stati Uniti possono raccogliere, in senso politico, la simpatia
e la rabbia necessaria in casa propria per lanciare una più larga operazione
contro l’Iran per “rappresaglia”.
- Fingere che gli Stati Uniti
si stiano disimpegnando in Medio Oriente, di modo che un attacco terroristico
false flag o a un’altra provocazione perpetrata contro gli USA
possono sembrare un notevole atto di guerra commesso dall’Iran. Mentre
una ridotta presenza statunitense in Medio Oriente potrebbe dar adito
a una maggiore pazienza da parte di Teheran, gli stesori della sceneggiatura
dell’ultimo attentato DEA-Arabia Saudita sono stati molto attenti
per assicurarsi che la vulgata su “’’l’Iran che è diventato
più audace” sia stata messa in onda in modo ripetitivo e che
sia arrivata nella testa negli ignari americani. È ben più di una
mera speculazione. Prendendo a modello il report della Brookings
Institution “Which Path to Persia?“, quasi tutte
le misure proposte, a parte le più estreme, sono già state messe in
pratica. L’unica opzione rimasta sul tavolo ancora non utilizzata
riguarda un attacco aereo israeliano unilaterale designato per provocare
una significativa risposta che porti per questo gli Stati Uniti in guerra
con l’Iran, con una varietà di opzioni per poter giustificare anche
un’invasione in piena regola.
In una sezione del documento intitolato
“Lascia fare a Bibi: consentire o incoraggiare un attacco militare
israeliano” (pag.
89, pag. 102 del .pdf) sembra
che l’intelligence israeliana stia lavorando con l’organizzazione
terroristica MEK:
Le operazioni di intelligence
contro l’Iran hanno già fatto un salto in avanti e hanno riguardato
l’uso di terze parti per dare risalto alla minaccia iraniana senza
rivelare la mano di Israele. I programmi iraniani per l’arricchimento
segreto dell’uranio e per i reattori nucleari pressurizzati ad acqua
pesante sono stati rivelati in pubblico nell’agosto del
2002 da un gruppo dissidente iraniano (i Mujahedin-e Khalq), che si
dice abbiano ricevuto involontariamente l’informazione dall’intelligence
israeliana.
Il documento prosegue parlando di un
bombardamento israeliano approvato dagli USA:
Comunque, come già indicato
nel capitolo precedente, gli stessi bombardamenti sono solo l’inizio
di questa pratica. Ancora, gli iraniani ricostruiranno senz’altro
i loro siti nucleari. Probabilmente si vendicherebbero contro Israele
e potrebbero vendicarsi anche con gli Stati Uniti (creando così un
pretesto per un bombardamento americano o persino un’invasione).
Consentire agli israeliani di attaccare
dallo spazio aereo e sacrificare le truppe USA in Iraq come pretesto
per una guerra più allargata è quasi sicuramente una delle possibilità.
Il report continua sancendo la necessità di mantenere un certo
livello di possibilità di smentita riguardo i bombardamenti israeliani.
Le truppe statunitensi in Iraq implicherebbero in ogni caso l’America
in ogni attacco aereo israeliano che avrebbe bisogno di passare dallo
spazio aereo iracheno. Le truppe USA “in ritirata” in Iraq
potrebbe anche mitigare tali implicazioni, così come far sembrare la
rappresaglia iraniana come totalmente “oltraggiosa, terribile
e non provocata“.
Possiamo star sicuri che, dopo anni
di perseguimento di un programma che ha preceduto la sua presidenza,
Obama non ha deciso improvvisamente di ritirare unilateralmente le truppe
dall’Iraq. La doppiezza e l’impazienza della sua amministrazione
nella “Primavera
Araba” concepita dagli Stati Uniti
non fa altro che dar conferma al fatto che l’agenda includa anche
l’accerchiamento e il rovesciamento del governo in Iran. Non è sfuggito
alla Casa Bianca il fatto che un ritiro dall’Iraq darebbe all’Iran
un po’ di spazio per respirare e diminuirebbe grandemente l’influenza
dell’America in tutto il Medio Oriente.
Proprio come nel caso del falso riavvicinamento
dell’Occidente con la Libia di Gheddafi prima che gli Stati Uniti
riarmassero, riorganizzassero e sguinzagliassero il Gruppo combattente
islamico libico, quando l’Occidente tornerà a tormentare Teheran,
lo farà con un senso di vendetta. Tenete gli occhi aperti su Israele
per un suo attacco e sugli Stati Uniti complici che aspettano ancora
di “guidare dietro le quinte“. E se conoscete
qualcuno nelle forze armate USA che staziona e si stanno attardando
in Iraq, preparatelo al peggio. Come affermato spudoratamente da Henry
Kissinger, “i militari sono fessi, sono stupidi animali da essere
usati come pedine in politica estera“. (Woodward e Bernstein,
The Final Days, capitolo 14). Sicuramente, qualche G.I. morto in Iraq
dopo una ritorsione iraniana dopo un attacco aereo israeliano sarebbe
le pedine adatta da spostare per la “politica estera“.
Possiamo solo sperare che quest’analisi
pessimista sia totalmente errata e che gli Stati Uniti abbiano vinto
e che abbiamo semplicemente deciso di ritirarsi dal campo di battaglia
e alla fine dall’impero. Comunque, se le rivolte in Siria proseguiranno
– che essenzialmente sono guerre per procura statunitensi a bassa intensità
contro Damasco, e a sua volta contro Teheran – possiamo esser certi
che tutto l’ottimismo verrà mandato al macero dagli oligarchi di
Wall Street e Londra.
Fonte: Withdrawal of US Troops From Iraq Highly Suspect
22.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE