Miracolo a San Pietroburgo! Se le bombe sono per Putin, il complottismo va in onda tra gli applausi

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DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

Fatti, dinamica e triste conta di morti e feriti è inutile che la faccia io: ognuno di noi vive incollato a Internet e alla tv, gli aggiornamenti sono continui. Mi limiterò, parlando a caldo dell’attentato a San Pietroburgo, prima a mettere in fila alcuni fatti e poi a trarre l’unica conclusione extra-indagini che si possa ritenere vera, fuori di dubbio. Si è colpita la seconda città della Russia non in un giorno qualsiasi e non in un posto qualsiasi: oggi a San Pietroburgo era presente il suo figlio più famoso, il presidente Vladimir Putin, atteso da un incontro bilaterale con il presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko e da un convegno sui nuovi media. Sia in Russia che in Bielorussia, da una decina di giorni sono spuntati i germogli di rivoluzioni colorate e la stampa di mezzo mondo si è premurata non solo di farlo sapere ma anche di sottolineare come i due regimi sotto accuse reprimano brutalmente le proteste.

La presenza in città del presidente russo era nota da tempo e chi ha colpito non lo ha fatto a caso, oltretutto piazzando la bomba in metropolitana proprio in quel tratto: primo, gli attacchi alla linea sotterranea sono quelli più efficaci nel creare il panico tra la gente, per giorni e giorni dall’accaduto. Secondo, quell’area è in pieno centro, vicina a un grosso centro commerciale. Cercavano la strage? Forse no, la quantità di esplosivo non era tale da poter devastare i vagoni della metropolitana e anche la presenza di chiodi e vetri all’interno dell’ordigno, grazie a Dio, ha limitato il numero delle vittime. Certo, una cosa è chiara: chi ha colpito voleva da un lato mandare un messaggio a Vladimir Putin ma, dall’altro, alla nazione. Siete vulnerabili, vi abbiamo colpito al cuore, proprio nella città che ospita il vostro uomo forte: da quanti giorni era presente a San Pietroburgo la cellula che ha operato, se di gruppo possiamo parlare e non di lupo solitario (il rinvenimento di un secondo ordigno sembrerebbe escludere questa ipotesi, salvo si tratti di Superman)?

I servizi segreti e l’antiterrorismo non avevano ricevuto alcun segnale di pericolo? Poi, come sempre accade nell’era del terrore a bassa intensità, ecco che salta fuori l’elemento destabilizzante per ogni tipo di analisi che voglia restare sui fatti. Sette ore prima dell’attentato, su un profilo Instagram registrato da un utente a nome “Sdegno” compariva la fotografia di un involucro di cartone e la seguente scritta: “Da tempo qui non accade un attentato, oggi accadrà. Aspettatevelo”. Mentre su Telegram da qualche giorno campeggiava questa immagine,

di fatto un invito di Daesh ai suoi militanti a colpire la Russia e i russi. Un po’ troppe tracce per gente che dovrebbe avere nel dna la spietatezza – e quindi il pragmatismo – di chi uccide per la causa, operando in maniera militare e irregimentata. Per quanto gli USA ci vendano infatti la narrativa dell’Isis in possesso di menti finissime, in grado di trasformare in bombe a prova di controlli anche i pc, finora gli uomini del Califfato ci hanno mostrato solo brutale spietatezza: decapitazioni, gente bruciata viva, lanciata dai tetti delle case, lapidata. Oppure, se si tratta di azioni militari, kamikaze e camion bomba: tutta questa sofisticatezza, francamente, penso l’abbiano vista solo alla CIA.

Fin qui, i fatti. Ora, il dato di fatto. Quando ancora le autorità russe non avevano pronunciato la parola “terrorismo” legandola all’accaduto, ecco cosa diceva il noto politologo statunitense, Edward Luttwak, interpellato da Affaritaliani: “Tutto è possibile, incluso il fatto che si tratti di strategia della tensione. Si moltiplicano le dimostrazioni contro il presidente Putin e le bombe potrebbero servire a ricordare alla gente e all’opinione pubblica russa quanto sia importante l’ordine pubblico. Questa non è la mia tesi ma è certamente una possibile spiegazione di quanto accaduto oggi in Russia. Siamo alla pura speculazione, ma le possibili spiegazioni sono tre: un pazzo (o un gruppo di pazzi), il solito islamico o una mossa del regime di Mosca per contrastare l’ondata crescente di dimostrazioni anti-Putin”.

Meraviglioso esempio di lancio della pietra con contemporanea sparizione della mano: non è la mia tesi ma io la butto lì, almeno il dubbio in testa ve lo instillo. Dunque, o è stato un pazzo (magari in gruppo, forse fuggiti nel corso di un gita organizzata da un ospedale psichiatrico all’Ermitage), oppure “il solito islamico”, ovvero il bombarolo della porta accanto con cui dovete imparare a convivere, altrimenti come cazzo la manteniamo credibile la narrativa della guerra al terrore oppure ancora i servizi russi, tanto per screditare l’opposizione democratica e rafforzare il profilo di Putin, sfruttando la rinnovata paura della gente. Ora, Edward Luttwak è persona troppo intelligente e informata, essendo il volto mediatico del Deep State, per non sapere che proprio stamattina è stato diffuso l’ultimo sondaggio rispetto al gradimento del presidente russo, il quale gode di un solido 75% (per il 60% e rotti di Matteo Renzi alle primarie del PD si sta gridando al miracolo): aveva bisogno di un attentato fatto in casa? Per quale ragione, poi, proprio a San Pietroburgo e in sua presenza?

Per sputtanare i servizi di intelligence, l’antiterrorismo e mostrare al mondo la vulnerabilità della seconda città del Paese, nonostante un dispiegamento di forze massiccio proprio a causa del suo soggiorno cittadino? E poi, di quale opposizione stiamo parlando? Davvero pensate Aleksey Navalny sia un pericolo per Vladimir Putin in vista delle presidenziali del 2018? Uno che è a libro paga dell’ambasciata USA almeno da sei, sette anni, di colpo diventa il nemico pubblico numero uno perché organizza una manifestazione che dovrebbe dare il via alla “rivoluzione delle papere” contro la corruzione? Avete visto quanta gente c’era in piazza ieri a Mosca? Alla cassa dell’Esselunga ne ho contata di più sabato pomeriggio: vogliamo sposare la tesi della provocazione dei servizi russi, anche in questo caso? Bene, ditemi però cui prodest? Navalny è in galera a farsi i selfie, perché mai dovrei inventarmi una falsa manifestazione, oltretutto arrestando persone (quindi dando forza alla vulgata occidentale della brutale repressione del dissenso) e con l’aggravante dei falsi nazionalisti che picchiano i seguaci dell’uomo del Dipartimento di Stato (avvalorando la tesi dei fedelissimi di Putin con maneschi e fascisti)?

Una cosa però è certa: da Alberto Negri del Sole24Ore, uno che il suo lavoro di inviato solitamente lo sa fare bene ai vari analisti di centri studi più o meno finanziati dagli Usa ospiti a SkyTg24 fino ai collegamenti spot nei programmi del pomeriggio, l’ipotesi dei servizi deviati o delle bombe pro-Putin ha fatto capolino. Esplicitamente, nemmeno en passant. Avete mai visto un simile atteggiamento dei media italiani in caso di attentati avvenuti in Europa o negli Usa, senza che il malcapitato di turno si vedesse contornato da un alone di ludibrio simile a quello della pubblicità anti-Aids degli anni Novanta? Dopo todos caballeros, todos complottistas! Se c’è di mezzo Putin, allora rimestare nel torbido non solo è accettato ma quasi un dovere: sarà ma tutte quelle tracce stile pollicino su Instagram e Telegram, il conclamato valore simbolico dell’attacco e il fatto che la stampa mainstream, quella autorevole, non disdegni la pista della strategia interna mi fanno capire una cosa sola.

Che in Russia una rivoluzione colorata è già in atto e non certo orchestrata da quel pagliaccio di Navalny e dai suoi prezzolati: ci sono almeno un paio di centrali operative, una tutta politica che utilizza il discredito politico e l’altra capace di entrare in azione quando c’è da intorbidire le acque o alzare un po’ la tensione. Quanto accaduto oggi, ci dimostra che entrambe sono al lavoro. E stanno funzionando. Magari, aiutate da qualcuno all’interno da che ha deciso che tradire è la via migliore per garantirsi una vecchiaia serena. Temo che qualcuno stia stuzzicando il presidente russo, che voglia ottenere una reazione controproducente: in perfetta contemporanea con gli attacchi a San Pietroburgo, infatti, miliziani islamisti hanno attaccato l’ambasciata russa a Damasco. La notizia è stata diffusa dal Libano da un’agenzia vicina a Hezbollah.

Chi ha colpito a San Pietroburgo, voleva mandare un segnale chiaro ma è altrove che si trovano le radici di questa campagna di Russia, utile agli interessi di molti. Per questo credo che il Cremlino sposerà un bassissimo profilo in patria. Ma, all’estero, potrebbe ripagare segnale con segnale. Peccato che, quasi certamente, in quel caso il plotone di giornalisti ed esperti, schierati compunti in trasmissioni dove si saltella con grande disinvoltura dal terrorismo allo sbiancamento dentale fino alle corna dei vip, tenderanno a utilizzare il rasoio di Occam per decodificare la realtà, sposando la pista islamica e il terrore alle porte di casa. Il complottismo va dosato. Come l’esplosivo.

 

Mauro Bottarelli

Fonte: www.rischiocalcolato.it

Link: https://www.rischiocalcolato.it/2017/04/miracolo-san-pietroburgo-le-bombe-putin-complottismo-va-onda-gli-applausi.html

4.04.2017

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