DI MARIE MEDINA
BabelMed
“Gli occupanti, siamo noi!” Giunto a Gerusalemme adolescente per studiare il Talmud negli anni ‘60, Michel Warschawski non si aspettava di ritrovarsi dall’altro lato di ciò che i suoi genitori avevano vissuto in Francia vent’ anni prima. Membro del primo movimento israeliano ad avere denunciato l’occupazione, co-fondatore del Centro d’informazione alternativa, questo militante di sinistra persegue instancabilmente la sua lotta, malgrado il cedimento del movimento della pace. Questo sabato, partecipa ad un convoglio umanitario per protestare contro l’assedio della Striscia di Gaza.
Dall’occupazione nazista, suo nonno paterno ha tratto come lezione che si poteva contare solamente su se stessi. Al contrario, il padre di sua madre gli ha insegnato che la sua famiglia era sopravvissuta perché delle persone l’avevano aiutata. “Hai un debito di solidarietà umana”, gli ha così detto, intimandogli di sdebitarsi se si fosse trovato un giorno in posizione di forza. È questa la via che ha scelto Michel Warschawski.Cresciuto in una famiglia ebraica ortodossa dell’Alsazia, arriva a Gerusalemme all’età di 16 anni per studiare il Talmud. All’epoca della crisi che precedette la Guerra dei Sei Giorni (1967), la sua yeshiva – come tutte le altre scuole – chiude. Raggiunge allora il kibbutz di Sha’alvim. Di là, assiste all’esodo degli abitanti di Imwas (o Emmaüs, per i cristiani) di Beit Nuba e di Yalu, tre villaggi arabi vicini dell’abbazia di Latrun. “Al momento ciò non voleva dire niente per me”.
L’elettroshock ha luogo alcune settimane più tardi. Suo padre, Max Warschawski, il grande rabbino di Strasburgo, accompagna una delegazione in Terra Santa. Un giorno, ha un imprevisto e suo figlio lo sostituisce per la visita del Sepolcro dei Patriarchi. Nel souk di Hebron, un commerciante palestinese si rivolge al giovane uomo, allora di 18 anni. “Lui che poteva essere mio padre o mio nonno, mi parla dal basso”. Michel Warschawski se ne ricorda come “un pugno nel ventre”.
“Improvvisamente, mi rendo conto che sono un occupante”. Ora durante tutta la sua infanzia, i suoi genitori gli hanno raccontato ciò che aveva significato per essi la presenza nazista in Francia: paura, esclusione, razzismo, morte, “era il male incarnato”. Fin dal suo ritorno di Hebron, si confida con suo padre: “C’è un’occupazione e siamo noi, gli occupanti. Stiamo dall’altro lato”.
Matzpen: “Abbasso l’occupazione”
Il suo primo contatto – fisico – con l’attivismo lo ha all’università ebraica di Gerusalemme, dove si iscrive nell’anno accademico del 1967. Alcuni giovani che distribuiscono dei volantini sono aggrediti. Con un kippa nero, Michel non ha veramente lo stesso look dei contestatari, coi suoi tzitzits più lunghi dei suoi vestiti (queste frange bianche sono un attributo religioso). “Curioso di natura”, raccoglie un depliant e legge un testo sulle espulsioni di palestinesi nella regione di Latrun. Quando i militanti vengono trattati da bugiardi, interviene “ingenuamente” per confermare la veridicità delle esclusioni. “È vero, l’ho visto dei miei propri occhi”, si rivolge agli aggressori poco prima di farsi “rompere le ossa”.
[Un immagine di una manifestazione del gruppo socialista Matzpen]
È così che incontra e raggiunge i membri di Matzpen (in ebraico, bussola), un gruppuscolo creato cinque anni prima dai veterani del Partito Comunista Israeliano. Questa organizzazione è “chiaramente anti-sionista” e propone “un’integrazione d’Israele nel suo ambiente naturale arabo.” Nel 1967 “è la sola voce a dire no all’occupazione”, sottolinea Michel Warschawski.
I membri di Matzpen non sono mai stati più di una cinquantina, ma sono molto attivi. Affiggono in tutto il paese lo slogan “Abbasso l’occupazione!” e approfittano di ogni avvenimento politico per distribuire dei volantini. Formano “la sola espressione dissidente in Israele tra il 1967 ed il 1973″, periodo di euforia e di spensieratezza nel paese.
“Si aveva l’aria di essere il matto del villaggio che diceva ‘il re è nudo’ mentre tutti lo vedevano vestito”. Le predizioni di Matzpen su un conflitto imminente incontrano solamente dell’incredulità.
Fino alla guerra del Kippur. Un “shock” per Israele, un “terremoto”, uno “schiaffo terribile”. È allora che emerge un movimento per la pace che non è più limitato ad un gruppuscolo ultra-minoritario. L’opposizione all’occupazione comincia ad allargarsi.
Tuttavia, le prese di posizione di Michel Warschawski rimangono percepite male. Così come quelle di sua moglie, Leah Tsemel, “l’avvocato dei terroristi”, un soprannome che lo diverte. “Eravamo la quinta colonna, dei traditori o – nel migliore dei casi – dei matti”. All’epoca, loro figlio, nato nel 1972, ha vergogna dei soggiorni che suo padre effettua in prigione militare per avere negato di servire come riservista nei Territori occupati. Ed evita di camminare sullo stesso marciapiede di sua madre.
La sua piccola sorella, nata dieci anni più tardi, soffrì molto meno dell’impegno dei suoi genitori. Tutti i suoi compagni di classe vogliono accompagnarla per rendere visita a suo padre detenuto. “Dopo la guerra del Libano, era visto di buon occhio essere di sinistra”, osserva Michel Warschawski che fa risalire a questo periodo l’avvento di un “movimento di massa” contro l’occupazione. Matzpen facilita allora i contatti tra militanti israeliani e palestinesi.
Il Centro d’informazione alternativa
Rapidamente, Michel Warschawski scopre anche “il bisogno d’informare i palestinesi su ciò che accade in Israele e gli israeliani su ciò che accade nei Territori palestinesi”. Nel 1984, crea così il Centro d’informazione alternativa, AIC, con due altri membri di Matzpen, tre militanti della sinistra palestinese e “un’amica inglese”.
Nel febbraio 1987, la polizia e lo Shin Bet, (sicurezza interna) fanno irruzione nei locali. Arrestato, incolpato di sostegno ad un’organizzazione terroristica, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), Michel Warschawski è posto poi in libertà condizionale. Compare in aula a partire dal mese di dicembre, mentre esplode la prima Intifada. Al termine di un lungo processo, è riconosciuto colpevole di prestazioni di servizi alle organizzazioni illegali, l’AIC stampava dei volantini per i movimenti studenteschi e femministi palestinesi. Condannato a 30 mesi di cui 20 di prigione, ridotti in appello a 20 mesi di cui otto di prigione, ne passa sei a Maasiyau.
Resta persuaso che avrebbe potuto cavarsela con una semplice multa se avesse accettato di dare i nomi dei suoi contatti palestinesi. Secondo lui, le loro identità erano già conosciute dallo Shin Bet che voleva unicamente spingerlo a tradire i suoi compagni. Un atto impensabile per lui. Un atto proibito dalla legge ebraica ma contrario anche ai principi che gli aveva trasmesso suo padre, figura della Resistenza contro il nazismo.
Inflessibile durante i quindici giorni di interrogatorio successivi al suo arresto, Michel Warschawski oppone lo stesso rifiuto all’epoca del suo processo. Per giustificarsi, porta la Torah al tribunale, allorché ha smesso di praticarla da due decenni.
Un arresto “radicale” nel 1968, all’epoca del Grande Perdono, festa dove gli ebrei non devono accendere in particolare alcun fuoco. “Il Kippur cominciava e mi sono detto: Che è questa cazzata? Non posso fumare?” sorride facendo scivolare una Galoise tra i suoi baffi. Si ricorda che voleva assaggiare anche i gamberetti e le braciole di maiale, alimenti non Kosher. Ma sotto questa irriverenza di facciata, resta visceralmente attaccato al giudaismo. “La cultura ebraica è parte della mia cultura”.
L’AIC opera ancora oggi. Michel Warschawski non ha perso la sua combattività, malgrado il cedimento del movimento pacifista israeliano nel 2000, dopo l’insuccesso di Camp David.
Questo “giramondo” sa che gestendo le sue energie, si può scalare delle montagne che sembrano inaccessibili. Certamente, ci sono dei momenti delicati, quando il camminatore si ritrova in un vicolo cieco, è bloccato nella sua scalata e deve cambiare strada per aggirare l’ostacolo. Allora, “c’è un rischio di mollare”. Secondo lui, “è ciò che è accaduto nel movimento israeliano per la pace”.
Il militante Uri Avnery ha paragonato questo movimento ad una bicicletta a due ruote di diversa grandezza. La piccola ruota, sono le organizzazioni radicali che hanno un pubblico ristretto. Ha condotto molto tempo la grande ruota, cioè le organizzazioni di largo consenso (come Shalom Archav, La Pace Adesso) che mobilitano in maniera molto maggiore. Ora dal 2000, “non c’è più una grande ruota, la piccola ruota sta molto bene ma gira a vuoto”, deplora Michel Warschawski. “Non si ha più la possibilità di avere un impatto sull’opinione pubblica”.
Tuttavia, non abbandona. “Bisogna dire no.” No all’assedio della Striscia di Gaza, per esempio. Questo sabato, partecipa ad un convoglio di cibo. Senza illusione sull’impatto umanitario dell’operazione, spiega che si tratta innanzitutto di protestare contro la politica israeliana nei confronti dei Territori palestinesi. E dal momento che la bicicletta non va più, ci va in automobile.
Titolo originale: “Michel Warschawski, 40 ans de refus de l’Occupation”
Fonte: http://www.babelmed.net/
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26.01.2008
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PANAGEA