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MESSICO, LOTTA UNIVERSALE AL POTERE E ALL'OBLIO

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A cura di supervice
Il 11 Novembre 2011
58 Views

DI JOHN PILGER
www.johnpilger.com

Alameda Park è

lo spazio romantico di Città del Messico a disposizione di amanti

e di ballerini all’aria aperta: i signori in scarpe bicolore, le signore

in abbigliamento sfarzoso e tacchi. I selciati sono ancora sconnessi

dal grande terremoto del 1985. Immaginatevi il luna park che affonda

nella ragnatela di crepe, mentre l’organo Edoardiano continua mestamente

a suonare. Due piccole chiese vicine vacillano pericolosamente: il surreale

è il volto del Messico.
Nascosto dietro i pioppi

c’è il museo dove il murales di Diego Rivera, “Sogno di una domenica

pomeriggio all’Alameda Park” occupa l’intero pian terreno. Ti

sprofondi in una poltrona e viaggi per un’oretta su tutto il capolavoro.

In origine era stato dipinto nel 1947 al Prado Hotel, ma un terremoto

distrusse la zona, per cui il murales fu recuperato e ripristinato

dov’è tuttora. Un’opera di più di 45 metri di lunghezza e 14 di

altezza, che ritrae i guerrieri politici del passato messicano, dal

conquistador Hernando Cortes allo stesso Rivera, ritratto come un

bambino che tiene per mano uno scheletro di donna vestita alla moda,

un’icona del Giorno dei Morti. In piedi, maternamente accanto a lui,

c’è sua moglie, Frida Kahlo, artista ed eroina messicana. Tutt’attorno

gli enigmatici ricchi e gli emarginati poveri.

Cosa rende il Messico

un sogno politico universale? Come in un murales di Rivera, niente

è nascosto: non il martirio di classe, non la tragedia coloniale. Il

messaggio è libertà la prossima volta. L’autocrazia emersa dalla rivoluzione

del 1910-19 si è data il nome orwelliano di Partito della Rivoluzione

Istituzionalizzata. È stato poi sostituito da imprenditori con la promessa

di una pseudo-democrazia, che nel 1994 accolse la rapace NAFTA di Bill

Clinton (Società di Libero Scambio del Nord America). Nel giro di un

anno un milione di posti di lavoro furono distrutti a sud del confine,

insieme al trionfo rivoluzionario di Emiliano Zapata e alla tutela costituzionale

della terra indigena dalla vendita o privatizzazione. In un solo colpo,

il Messico consegnò la sua economia a Wall Street.

I beneficiari del nuovo

Messico privatizzato sono quelli come Carlos Slim, che ha sorpassato

Bill Gates nella classifica di uomo più ricco del mondo e che

ha mani in pasta dappertutto: dal cibo all’edilizia, alla compagnia

telefonica nazionale. In un cablogramma diplomatico statunitense rilasciato

da Wikileaks si legge: “Il valore netto delle dieci persone

più ricche del Messico – un Paese dove più

del 40 per cento della popolazione vive nella povertà

– rappresenta circa il 10 per cento del prodotto interno lordo“.

L’ultima elezione,

nel 2006, è stata vinta da Felipe Calderon, uomo di Washington,

in mezzo a forti accuse di irregolarità. Calderon ha dichiarato quella

che lui chiama “una guerra contro le gang della droga

e 50.000 morti ne sono il risultato finora. Nessuno smentisce la pericolosità

dei cartelli della droga, ma la vera “questione sicurezza”

è più probabile che sia la resistenza dei messicani a un’ingiustizia

perenne e a una élite marcia.

Per la maggior parte

di quest’anno, migliaia di indignados hanno occupato l’enorme

piazzale Zocalo antistante il Palazzo Nazionale. Le occupazioni a Wall

Street e in tutto il mondo hanno la loro genesi in America Latina. La

differenza è che qui non c’è alcun dubbio su quale sia il “punto

focale” dei manifestanti. Come in tutti i posti dove la gente vive

ai margini della società e dove lo stato con i suoi favoritismi bazzica

in un cono d’ombra senza legge, sanno esattamente cosa vogliono. Chiedetelo

a qualcuno dei 44.000 dipendenti della compagnia elettrica nazionale

che hanno impedito la svendita della rete fin quando Calderon li ha

licenziati tutti, o ai minatori di rame in sciopero di Cananea, i cui

proprietari hanno finanziato la campagna elettorale di Calderon, o agli

ex-piloti e membri di equipaggio della compagnia aerea nazionale Mexicana,

sciolta con un finto fallimento che è stato un regalo all’industria

aerea privata.

Queste arrabbiate,

eloquenti e spesso coraggiose persone sanno da tempo qualcosa che molti

in Europa e negli Stati Uniti hanno soltanto iniziato da poco a capire:

che non c’è altra scelta che la lotta contro l’estremismo economico

scatenato da Washington e Londra una generazione fa. Il lavoro, i sindacati,

la salute pubblica, l’educazione, “la vita stessa”, dice

Manuel Lopez Obrador, ex sindaco di Città del Messico in gara contro

Calderon, “è stata colpita da un terremoto politico e economico”.

Da quando Calderon è al potere, sono trenta i giornalisti morti ammazzati,

dieci dei quali quest’ultimo anno, come riporta il Comitato di Protezione

dei Giornalisti. Al solito, sono i cartelli della droga a essere accusati,

ma è pur vero che è in atto la soppressione di una resistenza nazionale

coordinata con gli Stati Uniti.

A differenza di Stati

Uniti e Gran Bretagna, molti giornalisti, alcuni dei quali ispirati

dal progresso degli zapatisti nel 1990, hanno ripudiato il patrocinio

delle élite politiche e affaristiche per realizzare quello che

loro chiamano un “giornalismo civico“. Il secondo giornale

del Messico è La Jornada, famoso per le sue audaci indagini

e campagne politiche e per il fatto di sopravvivere per lo più di abbonamenti;

non pubblica alcuna pubblicità. Rievocativo di tempi in cui i giornali

non erano consunti dalle grandi aziende, è un qualcosa che non esiste

in Gran Bretagna e che rispecchia come Città del Messico sia sorprendente

e aperta.

Al Palazzo Nazionale

la presenza di guardie stile Robocop è prontamente eclissata dal

mitico murales di Diego Rivera [Storia del Messico, n.d.t.].

Dipinto tra il 1929 e il 1945, segue le pareti della scalinata e, come

il suo lavoro di Alameda, offre spettacoli di rivoluzione e di tragedia,

di speranza e di sfida. Quando l’ho filmato trent’anni fa, ho cercato

senza successo di raccontarne il significato. Comprimere e dar vita

a duemila anni di storia è un’arte che europei e nordamericani disdegnano

ma invidiano allo stesso tempo, perché mappa la lotta della gente comune,

la unisce e la celebra, identificando i loro veri nemici politici. Nel

rivederlo, mi colpisce come effettivamente parli per noi tutti.

**********************************************

Fonte: In Mexico, a universal struggle against power and forgetting

10.11.2011

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA

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