DI JOHN PILGER
www.johnpilger.com
Alameda Park è
lo spazio romantico di Città del Messico a disposizione di amanti
e di ballerini all’aria aperta: i signori in scarpe bicolore, le signore
in abbigliamento sfarzoso e tacchi. I selciati sono ancora sconnessi
dal grande terremoto del 1985. Immaginatevi il luna park che affonda
nella ragnatela di crepe, mentre l’organo Edoardiano continua mestamente
a suonare. Due piccole chiese vicine vacillano pericolosamente: il surreale
è il volto del Messico.
Nascosto dietro i pioppi
c’è il museo dove il murales di Diego Rivera, “Sogno di una domenica
pomeriggio all’Alameda Park” occupa l’intero pian terreno. Ti
sprofondi in una poltrona e viaggi per un’oretta su tutto il capolavoro.
In origine era stato dipinto nel 1947 al Prado Hotel, ma un terremoto
distrusse la zona, per cui il murales fu recuperato e ripristinato
dov’è tuttora. Un’opera di più di 45 metri di lunghezza e 14 di
altezza, che ritrae i guerrieri politici del passato messicano, dal
conquistador Hernando Cortes allo stesso Rivera, ritratto come un
bambino che tiene per mano uno scheletro di donna vestita alla moda,
un’icona del Giorno dei Morti. In piedi, maternamente accanto a lui,
c’è sua moglie, Frida Kahlo, artista ed eroina messicana. Tutt’attorno
gli enigmatici ricchi e gli emarginati poveri.
Cosa rende il Messico
un sogno politico universale? Come in un murales di Rivera, niente
è nascosto: non il martirio di classe, non la tragedia coloniale. Il
messaggio è libertà la prossima volta. L’autocrazia emersa dalla rivoluzione
del 1910-19 si è data il nome orwelliano di Partito della Rivoluzione
Istituzionalizzata. È stato poi sostituito da imprenditori con la promessa
di una pseudo-democrazia, che nel 1994 accolse la rapace NAFTA di Bill
Clinton (Società di Libero Scambio del Nord America). Nel giro di un
anno un milione di posti di lavoro furono distrutti a sud del confine,
insieme al trionfo rivoluzionario di Emiliano Zapata e alla tutela costituzionale
della terra indigena dalla vendita o privatizzazione. In un solo colpo,
il Messico consegnò la sua economia a Wall Street.
I beneficiari del nuovo
Messico privatizzato sono quelli come Carlos Slim, che ha sorpassato
Bill Gates nella classifica di uomo più ricco del mondo e che
ha mani in pasta dappertutto: dal cibo all’edilizia, alla compagnia
telefonica nazionale. In un cablogramma diplomatico statunitense rilasciato
da Wikileaks si legge: “Il valore netto delle dieci persone
più ricche del Messico – un Paese dove più
del 40 per cento della popolazione vive nella povertà
– rappresenta circa il 10 per cento del prodotto interno lordo“.
L’ultima elezione,
nel 2006, è stata vinta da Felipe Calderon, uomo di Washington,
in mezzo a forti accuse di irregolarità. Calderon ha dichiarato quella
che lui chiama “una guerra contro le gang della droga”
e 50.000 morti ne sono il risultato finora. Nessuno smentisce la pericolosità
dei cartelli della droga, ma la vera “questione sicurezza”
è più probabile che sia la resistenza dei messicani a un’ingiustizia
perenne e a una élite marcia.
Per la maggior parte
di quest’anno, migliaia di indignados hanno occupato l’enorme
piazzale Zocalo antistante il Palazzo Nazionale. Le occupazioni a Wall
Street e in tutto il mondo hanno la loro genesi in America Latina. La
differenza è che qui non c’è alcun dubbio su quale sia il “punto
focale” dei manifestanti. Come in tutti i posti dove la gente vive
ai margini della società e dove lo stato con i suoi favoritismi bazzica
in un cono d’ombra senza legge, sanno esattamente cosa vogliono. Chiedetelo
a qualcuno dei 44.000 dipendenti della compagnia elettrica nazionale
che hanno impedito la svendita della rete fin quando Calderon li ha
licenziati tutti, o ai minatori di rame in sciopero di Cananea, i cui
proprietari hanno finanziato la campagna elettorale di Calderon, o agli
ex-piloti e membri di equipaggio della compagnia aerea nazionale Mexicana,
sciolta con un finto fallimento che è stato un regalo all’industria
aerea privata.
Queste arrabbiate,
eloquenti e spesso coraggiose persone sanno da tempo qualcosa che molti
in Europa e negli Stati Uniti hanno soltanto iniziato da poco a capire:
che non c’è altra scelta che la lotta contro l’estremismo economico
scatenato da Washington e Londra una generazione fa. Il lavoro, i sindacati,
la salute pubblica, l’educazione, “la vita stessa”, dice
Manuel Lopez Obrador, ex sindaco di Città del Messico in gara contro
Calderon, “è stata colpita da un terremoto politico e economico”.
Da quando Calderon è al potere, sono trenta i giornalisti morti ammazzati,
dieci dei quali quest’ultimo anno, come riporta il Comitato di Protezione
dei Giornalisti. Al solito, sono i cartelli della droga a essere accusati,
ma è pur vero che è in atto la soppressione di una resistenza nazionale
coordinata con gli Stati Uniti.
A differenza di Stati
Uniti e Gran Bretagna, molti giornalisti, alcuni dei quali ispirati
dal progresso degli zapatisti nel 1990, hanno ripudiato il patrocinio
delle élite politiche e affaristiche per realizzare quello che
loro chiamano un “giornalismo civico“. Il secondo giornale
del Messico è La Jornada, famoso per le sue audaci indagini
e campagne politiche e per il fatto di sopravvivere per lo più di abbonamenti;
non pubblica alcuna pubblicità. Rievocativo di tempi in cui i giornali
non erano consunti dalle grandi aziende, è un qualcosa che non esiste
in Gran Bretagna e che rispecchia come Città del Messico sia sorprendente
e aperta.
Al Palazzo Nazionale
la presenza di guardie stile Robocop è prontamente eclissata dal
mitico murales di Diego Rivera [Storia del Messico, n.d.t.].
Dipinto tra il 1929 e il 1945, segue le pareti della scalinata e, come
il suo lavoro di Alameda, offre spettacoli di rivoluzione e di tragedia,
di speranza e di sfida. Quando l’ho filmato trent’anni fa, ho cercato
senza successo di raccontarne il significato. Comprimere e dar vita
a duemila anni di storia è un’arte che europei e nordamericani disdegnano
ma invidiano allo stesso tempo, perché mappa la lotta della gente comune,
la unisce e la celebra, identificando i loro veri nemici politici. Nel
rivederlo, mi colpisce come effettivamente parli per noi tutti.
Fonte: In Mexico, a universal struggle against power and forgetting
10.11.2011
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA
La redazione non esercita un filtro sui commenti dei lettori. Gli unici proprietari e responsabili dei commenti sono gli autori e in nessun caso comedonchisciotte.org potrà essere ritenuto responsabile per commenti lesivi dei diritti di terzi.
La redazione informa che verranno immediatamente rimossi:
– messaggi non concernenti il tema dell’articolo
– messaggi offensivi nei confronti di chiunque
– messaggi con contenuto razzista o sessista
– messaggi il cui contenuto costituisca una violazione delle leggi vigenti (istigazione a delinquere o alla violenza, diffamazione, ecc.)