DI MAURO SANTAYANA
Jornal do Brasil
Scelto e tradotto da Azul
Circola in internet un video di alcuni
secondi, che mostra due bambini di Sirte, mentre ricevono trattamento
in un qualche posto che ricorda un ambulatorio improvvisato. Sono un
bambino, di cinque o sei anni, e una bambina, di età simile. Il bambino
grida di dolore, pur avendo le due mandibole, il mento e la gola lacerate,
probabilmente per le schegge di una bomba. La bambina sta in silenzio,
con lo sguardo rivolto verso il nulla, come se il nulla potesse spiegarle
la sofferenza del bambino, e il calcagno strappato, il piede quasi pendente
dalla gamba. I link delle immagini, qui e qui
Da veterano giornalista, che ha narrato
crimini barbari e incidenti terribili e la dura esperienza di guerre
civili e invasioni militari – ma soprattutto, come padre e nonno –,
confesso che niente mai è penetrato tanto a fondo nella mia tristezza,
come le immagini di quei bambini di Sirte. Di quelli ancora vivi, e
di quelli morti della famiglia Khaled. È stato così possibile immaginare
le migliaia di altri bambini, morti e feriti, in Libia, Afghanistan,
in Iraq, in Palestina.
Di fronte a quelle scene, ho rivisto
il Presidente Barack Obama, la sua elegante sposa e le sue due figlie,
belle, sorridenti, col cane ricevuto in regalo dal padre, perché lo
facessero passeggiare per i giardini della Casa Bianca. Le ho riviste
viaggiando per il mondo, e visitando scuole in Africa e in America Latina.
E sono venuto a sapere dell’allegria di Monsieur Sarkozy di essere di
nuovo padre. Nella sua relativa gioventù, marito di una cantante giovane,
famosa e bella, il presidente della Francia avrà, è quello che tutti
speriamo, anni felici al lato della figlia. La condurrà per mano fra
i sentieri dei giardini di Parigi, e, se gli impegni della politica
glielo permetteranno, le racconterà dei momenti della propria infanzia.
Ascolterà la moglie, con la sua magnifica voce, cantarle le più belle
berceuses. E quando lei diventerà una giovincella, si incanterà
con le canzoni di sua madre, come “Quelqu’un m’a dit”
e i suoi versi aperti: “Qualcuno m’ha detto che le nostre vite
non valgono un granché/Passano in un istante, come appassiscono le
rose”.
L’idea che associa la morte dei bambini
– nel caso, una bambina – alla brevità delle rose è di Malherbe,
il grande poeta francese dei secoli XVI e XVII, al quale si attribuisce
l’invenzione del francese letterario. Scrisse il suo famoso poema per
consolare un amico che aveva perso la figlia di sei anni, e riassume
l’omaggio alla bambina, che si chiamava Rose, nel verso conosciuto:
“E, rosa, ella visse quello che vivono le rose, lo spazio di una
mattina”.
Un bambino morto, musulmano o ebreo,
negro o nordico, di fame, di epidemie o di incidenti, in qualsiasi parte
del mondo, è una violenza insopportabile contro la vita. I bambini
morti nelle guerre sono un insulto alle ragioni della vita e un grande
dubbio sull’esistenza di Dio, che non sia il Dio degli Eserciti.
David Cameron, partner e concorrente
di Sarkozy nell’avventura libica, è un padre che ha sofferto la
dolorosa perdita del figlio, Ivan, anche lui con sei anni – nel febbraio
del 2009 – sofferente di una forma rara di epilessia. Non è possibile
che, di fronte alle scene di Sirte e nel ricordo del figlio, non senta,
nel cuore, il peso della sua colpa per aver usato armi britanniche nei
bombardamenti sistematici contro le città libiche, fra le quali Sirte,
quella che più ha sofferto, senza tregua, per bombe e missili. La Libia
e le altre nazioni della regione sono state bombardate e occupate dalle
nazioni più potenti dell’Occidente perché hanno le proprie sabbie
bagnate di petrolio. Il petrolio, nella visione di queste nazioni, è
uno dei diritti umani dei ricchi e ben armati.
La specie umana sopravvive solo perché
si rinnova in ogni bambino che nasce. Come nelle riflessioni di Riobaldo,
in un sentiero del grande sertão (regione povera e semi arida
del nord-est del Brasile, N.d.T.), di fronte alla poverissima moglie
che ha dato alla luce: non piangere, no, mia signora; un bambino è
nato, il mondo è cominciato un’altra volta.
I dottori in giornalismo di oggi, che
raccomandano testi freddi, possono vedere in queste riflessioni l’inutile
sentimentalismo di un veterano di fronte alla realtà del mondo.
Ma ci fu un tempo, non molto distante, nel quale il giornalismo era
solidale con le sofferenze dei più deboli, con i perseguitati e gli
affamati di pane e di giustizia.
Infine, God bless America. E
God save the Queen.
Fonte: Mensagem aos “heroicos” trucidadores de crianças
08.11.2011
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da AZUL