DI ERIC J. HOBSBAWM
El Puercoespín
Si è parlato delle Falklands più di ogni altra recente questione politica, britannica o internazionale, e tanta gente ha perso la testa per questo argomento più che per qualunque altro. Non mi riferisco alla stragrande maggioranza delle persone la cui reazione è stata, con ogni probabilità, sicuramente meno appassionata o meno isterica di quella di coloro la cui professione è scrivere o esprimere opinioni.
Voglio dire davvero poco sulle origini della guerra delle Falklands, perché quella guerra ha davvero molto poco a che fare con le Falklands stesse.
Difficilmente qualcuno sapeva qualcosa delle Falklands. Credo che il numero di persone che in questo paese aveva legami personali di qualche natura con le Falklands o che, quantomeno, conosceva qualcuno che era stato lì sia esiguo.
I 1.680 abitanti di queste isole sono
stati quasi gli unici ad aver avuto un interesse urgente nelle Falklands
oltre, naturalmente, alla Falklands Island Company che ne possiede una
buona parte, gli ornitologi e lo Scott Polar Research Institute, visto
che le isole sono sede di tutte le ricerche che si svolgono in
Antartide.
Non sono mai state importanti o, possiamo
almeno dire, non lo sono più state dalla Prima Guerra Mondiale
o forse dall’inizio della Seconda.
Erano così insignificanti e prive
di interesse che il parlamento lasciò che la questione fosse gestita
da circa una dozzina di membri, la lobby delle Falklands, che
politicamente era un gruppo molto, ma molto eterogeneo.
Gli fu permesso di vanificare tutti
gli sforzi non troppo convinti del Foreign Office (NdT: Ministero
per gli Affari Esteri e del Commonwealth), che cercava di trovare una
soluzione al problema del futuro delle isole.
Visto che il governo e tutto il mondo
non nutrivano alcun interesse nei confronti delle Falklands, il fatto
che fossero di interesse primario per l’Argentina e, in qualche misura
anche per l’America Latina, è stato trascurato nel suo complesso.
In realtà erano lontane dall’essere
insignificanti per gli argentini. Erano un simbolo del nazionalismo
argentino, soprattutto da Peron in poi.
Noi potevamo rinviare il problema delle
Falklands per sempre, o almeno pensavamo di poterlo fare, ma non gli
argentini.
Una questione di negligenza
Non sto esprimendo un giudizio sulla
validità delle rivendicazioni argentine. Come molte rivendicazioni
nazionalistiche analoghe, non reggerebbero a un’analisi approfondita.
Essenzialmente si basa su quella che
si potrebbe definire “geografia del liceo”, secondo cui tutto
ciò che appartiene alla piattaforma continentale dovrebbe appartenere
alla nazione più vicina, anche se nessun argentino ha mai vissuto in
quel luogo. Tuttavia siamo costretti a dire che la rivendicazione argentina
è quasi certamente più forte di quella britannica e che come tale
è stata considerata a livello internazionale.
Gli americani, per esempio, non hanno
mai accettato la rivendicazione britannica, la cui giustificazione ufficiale
è cambiata nel corso del tempo. Tuttavia il punto non è
decidere quale rivendicazione sia più forte. Il punto è che il governo
britannico non aveva le Falklands in cima alla lista delle priorità
e ignorava completamente il punto di vista argentino e latinoamericano,
che non era unicamente quello del Consiglio militare argentino (NdT:
che governava il paese), ma il punto di vista dell’America Latina
tutta.
Ritirando l’unica nave da guerra,
l’Endurance, che da sempre era stata lì come un simbolo che indicava
che non si potevano occupare le Falklands, il governo britannico
ottenne come risultato quello di suggerire al Consiglio militare argentino
che il Regno Unito non avrebbe opposto resistenza. I generali argentini,
che erano palesemente pazzi e inefficienti oltre che ripugnanti, decisero
di procedere con l’invasione.
Se non fosse stato per la maldestra
gestione del governo britannico, il governo argentino, quasi certamente,
non avrebbe deciso di procedere all’invasione.
Fecero male i conti e mai avrebbero
dovuto decidere di invadere, ma appare assolutamente chiaro che, in
realtà, fu il governo britannico a fare precipitare la situazione,
anche se non ne aveva alcuna intenzione.
Fu così che il 3 aprile (del
1982), il popolo britannico scoprì che le Falklands erano state
invase e occupate. Il governo avrebbe dovuto saperlo che era imminente
una invasione, ma affermò di non esserne al corrente e, in ogni caso,
se lo sapeva non aveva fatto nulla in proposito. Questo naturalmente
è adesso oggetto di indagine presso la Franks Commission.
Una recrudescenza del sentimento
popolare
Ma quale era la situazione in Gran
Bretagna quando la guerra si scatenò e durante la guerra stessa? Vorrei
cercare di riassumerlo molto brevemente. La prima cosa che si verificò
fu il manifestarsi di una quasi universale indignazione in un gran numero
di persone, l’idea che non si poteva semplicemente accettarlo, che
bisognava fare qualcosa. Era questo un sentimento che investì ogni
ceto sociale e che non era politico, nel senso che interessava tutti
i partiti e non era confinato a destra o a sinistra. Conosco molti di
sinistra, all’interno del partito, anche della sinistra estrema, che
hanno avuto la stessa reazione di quelli di destra. Era una sensazione
generalizzata di indignazione e umiliazione quella che si manifestò
quel primo giorno in Parlamento quando la spinta ad agire giunse non
già dalla Thatcher e dal governo, ma da ogni parte, l’ultradestra
dei conservatori, i liberali e i laburisti, con rare eccezioni. Questo
credo fosse il sentire popolare che si poteva palpare. Chiunque fosse
sensibile a queste emozioni sapeva che questo era ciò che accadeva
e chiunque della sinistra che non fosse consapevole di quel sentimento
popolare e del fatto che non si trattava di una invenzione dei mezzi
di comunicazione, al meno non in quella fase, ma che si trattava di
un genuino senso di indignazione ed umiliazione, avrebbe dovuto riconsiderare
la sua capacità di analizzare la politica. Può non essere un sentimento
particolarmente auspicabile ma, affermare che non sia mai esistito,
significa mancare di realismo.
Declino inevitabile
Questa impennata di sentimenti popolari
nulla aveva a che fare con le Falklands in sé.
Abbiamo visto che le Falklands erano
semplicemente un territorio remoto, coperto dalla nebbia oltre Capo
Horn, del quale non sapevamo nulla e ci interessava ancora meno. Aveva
invece molto a che fare con la storia di questo paese dal 1945 e con
la evidente rimonta della crisi del capitalismo inglese dalla fine degli
anni ‘60 ed in particolare con la caduta degli anni ‘70 e dell’inizio
degli ‘80. Mentre il grande boom internazionale del capitalismo occidentale
continuava negli anni ‘50 e ‘60, anche la relativamente debole Gran
Bretagna fu, fino ad un certo punto, sostenuta dalla corrente che spingeva
in avanti, molto più velocemente, altre economie capitaliste.
Le cose stavano chiaramente migliorando
e non avevamo troppo di che preoccuparci anche se c’era ovviamente
una qual certa nostalgia fluttuando nell’aria.
Ciò nonostante, ad un certo punto,
divenne evidente che la flessione e la crisi dell’economia britannica
diventavano molto più drammatiche. La depressione degli anni ‘70
intensificò questa sensazione e, naturalmente, dal 1979 la depressione
vera e propria, la deindustrializzazione del periodo Thatcher e la disoccupazione
di massa hanno evidenziato la critica condizione della Gran Bretagna.
Cosicché la reazione viscerale, che tanti manifestarono alla notizia
che l’Argentina semplicemente aveva invaso ed occupato un pezzetto
di territorio britannico, poteva esprimersi con le seguenti parole:
“Il nostro è un paese che è andato precipitando per decadi, gli
stranieri sono diventati sempre più ricchi e più sviluppati di noi,
tutto il mondo ci guarda con disprezzo e forse con commiserazione, ormai
non possiamo neanche sconfiggere gli argentini o nessun altro nel calcio,
tutto va male in Gran Bretagna, nessuno sa realmente cosa fare in merito
e come sistemare le cose. Ma adesso è addirittura giunto il momento
in cui un gran numero di stranieri pensano che possono semplicemente
inviare delle truppe in un territorio britannico, occuparlo ed impadronirsene
e credono che gli inglesi siano così finiti che nessuno farà nulla
in merito, nulla accadrà. Bene, questa è la goccia che ha fatto traboccare
il vaso, qualcosa deve essere fatto. Per Dio, dovremmo pur dimostrare
che non siamo fatti per essere calpestati”.
Ancora una volta non sto giudicando
la validità di questo punto di vista ma credo che questo sia,
più o meno, ciò che provò in quel momento un sacco
di gente che non cercò di tradurlo in parole.
Declino di un impero
Ora bene, di fatto noi, a sinistra,
avevamo sempre predicato che la perdita dell’Impero ed il declino
generale avrebbero portato, prima o poi, a qualche reazione drammatica
nella politica britannica. Non avevamo previsto questa reazione in particolare
ma non ci sono dubbi che essa fu un effetto del declino dell’Impero
Britannico così come era stato previsto da tanto tempo.
E fu proprio per questo motivo che
ebbe un così ampio sostegno. Di per sé non si trattò
di mero sciovinismo. Ma anche se questo sentimento di umiliazione nazionale
andò ben oltre il semplice sciovinismo, fu facilmente afferrato dalla
destra e controllato con quella che credo sia stata, politicamente parlando,
una brillante operazione della signora Thatcher e dei thatcheriani.
Lasciatemi citare la sua classica dichiarazione a proposito di ciò
che dimostrava la guerra delle Falklands: “Quando abbiamo iniziato,
c’erano i dubbiosi ed i deboli, la gente credeva che non eravamo più
in grado di fare le grandi cose che un tempo abbiamo fatto, c’erano
quelli che credevano che la nostra decadenza era irreversibile, che
mai più saremo riusciti ad essere ciò che un tempo siamo stati, che
la Gran Bretagna non era più la nazione che aveva costruito un impero
e governato un quarto del mondo. Bene, si sbagliavano”. (Comunicato
stampa, Luglio 1982, dopo la fine della guerra).
Di fatto la guerra fu puramente simbolica,
non dimostrò nulla di tutto ciò. Ma qui si può vedere in
atto qualcuno che cattura la combinazione di certe vibrazioni e la rende
popolare nella destra (scherzo, ma solo un po’, se dico addirittura
nel semifascismo). È per questo che, dal punto di vista della destra,
era essenziale non solo cacciare gli argentini dalle Falklands, cosa
che era perfettamente fattibile con una dimostrazione di forza congiunta
ad una negoziazione, ma addirittura scatenare una guerra drammatica
e vittoriosa. È per questo motivo che la guerra fu provocata dalla
parte britannica, qualunque fosse l’atteggiamento argentino. Rimangono
pochi dubbi sul fatto che gli argentini, appena ebbero scoperto che
questo era l’atteggiamento britannico, cercarono una via d’uscita
da quella che era diventata una situazione intollerabile. La Thatcher
non era disposta a cedere, l’intero scopo di questa operazione non
era risolvere il contrasto ma dimostrare che la Gran Bretagna era ancora
grande, anche se fosse stato solo a livello simbolico. In quasi tutte
le fasi, la politica del governo britannico, all’interno e all’esterno
delle Nazioni Unite, fu di totale intransigenza. Non sto dicendo che
il Consiglio argentino rendesse facile raggiungere un accordo, ma penso
che gli storici stabiliranno che una ritirata negoziata degli argentini
era possibile. Non si tentò di farlo seriamente.
Una nuova alleanza
Questa politica provocatoria aveva
un doppio vantaggio. A livello internazionale diede alla Gran Bretagna
l’opportunità di dimostrare le proprie risorse, la sua determinazione
e la sua potenza militare. Sul fronte interno consentì ai thatcheriani
di strappare l’iniziativa ad altre forze politiche, dentro e fuori
dal partito dei Conservatori. Gli permise di impadronirsi non solo di
terreno conservatore ma anche di un ampio settore della politica britannica.
In modo curioso, il parallelismo più vicino alla politica thatcheriana
durante la guerra delle Falklands è la politica peronista che, da parte
sua, aveva per prima messo le Falklands al centro della politica argentina.
Peron, come la signora Thatcher ed il suo piccolo gruppo, cercò di
rivolgersi alle masse attraverso i mezzi di comunicazione passando sopra
all’establishment. Nel nostro caso, questa operazione includeva tanto
l’establishment conservatore quanto quello dell’opposizione. La
Thatcher insistette per condurre la sua personale guerra. Non fu una
guerra guidata dal parlamento, non fu guidata nemmeno dal Governo, fu
una guerra condotta dalla signora Thatcher e da un piccolo gabinetto
di guerra, che includeva il presidente del Partito Conservatore. Nel
contempo stabilì relazioni collaterali dirette, che sperava non avessero
effetti politici duraturi, con i militari. È proprio questa combinazione,
tra l’appello demagogico rivolto alle masse, passando sopra ai processi
politici e all’establishment, ed il forgiare contatti collaterali
diretti con i militari e la burocrazia della difesa che è caratteristica
della guerra.
Né i costi né gli obiettivi
contavano. Ancor meno contavano, ovviamente, le Falklands se non come
prova simbolica della virilità inglese, qualcosa che potesse essere
citato nei titoli di testa. Era il tipo di guerra che esisteva per le
parate vittoriose. Fu per questo motivo che tutte le risorse simbolicamente
potenti della guerra e dell’Impero furono mobilitate in scala ridotta.
Il ruolo della Marina era cruciale, in ogni caso però l’opinione
pubblica, tradizionalmente, ha sempre investito molto capitale emozionale
in essa. Le forze inviate nelle Falklands erano un museo in miniatura
di tutto ciò che poteva dare alla bandiera britannica una risonanza particolare:
le Guardie, i nuovi uomini forti della tecnologia, la SAS (NdT: Special
Air Service), i paracadutisti. Tutti erano rappresentati, persino quei
piccoli, vecchi gurkhas (NdT: combattenti nepalesi). Non erano precisamente
necessari, ma bisognava averli proprio perché questa era, come di fatto
lo è stata, una sorta di ricostruzione di qualcosa di somigliante ai
vecchi durbars imperiali (NdT: grandi cerimonie, aventi per scopo quello
di dimostrare sostegno all’ Impero Britannico, che si svolgevano in
India durante il periodo coloniale inglese) o simile alle processioni
funebri o all’incoronazione dei sovrani inglesi.
Clochemerle cavalca di nuovo
Non possiamo, in questa sede, citare
la famosa frase di Karl Marx che la storia si ripete, prima come tragedia
e poi come farsa, perché nessuna guerra è una farsa. Anche
una piccola guerra nella quale morirono 250 britannici e 2.000 argentini
non è qualcosa su cui scherzare. Però per gli stranieri, che non capivano
il ruolo cruciale che la guerra delle Falklands aveva nella politica
britannica interna, questa sicuramente appariva come una esercitazione
assolutamente incomprensibile. Le Monde, in Francia, la chiamò Clochemerle del
Sud Atlantico. Forse ricordate il famoso romanzo in cui la destra e
la sinistra di un piccolo villaggio francese giungono a grandi scontri
per decidere dove collocare un bagno pubblico (NdT: “Clochemerle”
di Gabriel Chevallier pubblicata nel 1934).
La maggior parte degli europei non
capiva a cosa si dovesse tutto quel pasticcio. Ciò che non percepivano
era che tutta la faccenda non aveva per niente a che fare con le Falklands
né col diritto di autodeterminazione. Era un’operazione che aveva
come riferimento unicamente la politica britannica e lo stato d’animo
politico britannico.
Detto questo, lasciatemi sostenere
con forza che l’alternativa alla guerra della Thatcher non era fare
nulla. Credo che in termini politici fosse assolutamente impossibile,
in questo frangente, per qualsiasi governo britannico, non agire. Le
alternative non erano accettare semplicemente l’occupazione argentina,
scaricando il fardello alle Nazioni Unite, che avrebbero adottato vacue
risoluzioni o, dall’altra parte, come pretendeva la Thatcher, la replica
della vittoria di Kitchener sui sudanesi a Omdurman. La linea pacifista
era sostenuta da una piccola minoranza isolata, sebbene fosse una minoranza
con una rispettabile tradizione nel movimento operaio. Questa linea,
politicamente, non era in gioco. La stessa fiacchezza delle manifestazioni
che si organizzarono in quel momento lo dimostrò. La gente che diceva
che la guerra mancava di significato e che mai sarebbe dovuta iniziare,
dimostrò che aveva ragione in senso astratto, ma non si beneficiò
di ciò politicamente e non è probabile che lo faccia in futuro.
Una spaccatura nell’opinione
pubblica
Il prossimo punto a trattare è
più significativo. L’appropriazione della guerra da parte della
Thatcher, con il sostegno del (quotidiano) The Sun, generò una profonda
spaccatura nell’opinione pubblica, ma non una divisione politica che
seguiva la demarcazione dei partiti. In termini generali divise l’80%,
che fu travolto da una istintiva reazione patriottica e che, di conseguenza,
si identificò con lo sforzo bellico, anche se probabilmente non in
modo stridente, come invece fecero i titoli del Sun, da una minoranza
che riconosceva che in termini di politica globale realmente in gioco,
ciò che la Thatcher stava facendo non aveva alcun senso. Questa minoranza
includeva persone appartenenti ad ogni partito politico ed a nessuno,
e molti altri che non erano contrari di per sé all’invio di una task
force. Esito a dire che si trattò di una divisione tra colti e non
colti; anche se è un dato di fatto che i principali baluardi contro
il thatcherismo si ersero nella stampa di qualità oltre che, naturalmente,
nel Morning Star (NdT: Giornale del Partito Comunista Britannico). Il
Financial Times, il The Guardian e l’Observer mantennero un saldo
tono di scetticismo nei confronti di tutta la vicenda. Credo che si
possa dire che quasi ogni giornalista politico del paese, dai conservatori
a quelli di sinistra, pensò che tutta la faccenda fosse folle. Questi
erano i “deboli”, coloro contro i quali inveiva Mrs. Thatcher. Il
fatto che ci fu una certa coalizione ma che l’opposizione, anche se
continuò ad essere piuttosto una piccola minoranza, non si indebolì,
persino nel corso di una guerra, ed in termini tecnici, una guerra condotta
brillantemente con successo, è significativo.
Nonostante tutto, la guerra fu vinta,
per fortuna della Thatcher, velocemente e con un modesto costo di vite
umane britanniche e con ciò arrivò un immediato ed ampio
consenso in termini di popolarità. Di conseguenza, il controllo della
Thatcher e dei thatcheriani, quindi dell’ultradestra sul Partito Conservatore,
aumentò enormemente in modo indiscutibile. La signora Thatcher nel
frattempo era sull’Empireo e si vedeva come la reincarnazione del
Duca di Wellington, ma priva di quel realismo irlandese che il Duca
di Ferro non perse mai, e di Winston Churchill, ma senza i sigari e,
almeno lo si spera, senza il brandy.
Effetti a breve termine
Ora vorrei affrontare gli effetti della
guerra. Devo menzionare qui brevemente gli effetti a breve termine,
cioè tra ora e le elezioni generali.
Il primo probabilmente riguarderà
il dibattito su a chi si debba attribuire la colpa. La Franks Commission
sta indagando al momento proprio questo. È sicuro che il Governo, inclusa
la Signora Thatcher, non ne uscirà bene, così come meriterebbe. (NdT:
la Franks Commission segnalò diversi errori nella politica britannica
prima e durante la guerra, ma in ultima istanza assolse il Governo ed
il Primo Ministro. Come conclusione affermò: “Non avremmo motivazione
per attribuire critiche o colpe alcune al presente governo per la decisione
del Consiglio Argentino di commettere il suo atto di aggressione non
provocata con l’invasione delle isole Falklands il 2 di Aprile del
1982”. Il documento fu in seguito indicato dalla stampa come un esempio
di “lavata di mani”).
La seconda questione riguarda il costo
dell’operazione e la conseguente continua spesa derivante dal dover
mantenere una presenza britannica nelle Falklands. La dichiarazione
ufficiale afferma, fino ad oggi, che sarà di circa 700 milioni di sterline,
ma la mia personale stima prevede quasi con certezza che si tratterà
di miliardi. La contabilità è, come ben si sa, una delle forme di
scrittura creativa, cosicché il modo in cui ognuno calcola il costo
di una particolare operazione di questo tipo è discrezionale, ma qualunque
esso sia, risulterà comunque molto, molto alto. Sicuramente la sinistra
farà pressioni sulla questione, e dovrebbe farlo. Tuttavia, sfortunatamente,
le somme in gioco sono talmente grandi che sono prive di significato
per la maggior parte delle persone. Così, mentre le cifre saranno citate
spesso nei dibattiti, sospetto che la questione non sarà molto rilevante
o molto efficace in termini politici.
La terza questione riguarda il peso
che le Falklands avranno nella politica bellica britannica, o politica
di difesa, come a tutto il mondo ormai piace chiamarla. La guerra delle
Falklands sicuramente intensificherà la selvaggia lotta intestina
tra ammiragli, brigadieri, generali ed il Ministero della Difesa, che
già ha prodotto la prima dimissione post Falklands, lo stesso Ministro
Nott. Rimangono pochi dubbi del fatto che gli ammiragli utilizzarono
le faccende delle Falklands per dimostrare che una grande flotta, in
grado di agire in tutto il pianeta, era assolutamente indispensabile
per la Gran Bretagna, mentre tutti gli altri sanno che non possiamo
permettercela e, ancor di più, che non vale la pena mantenere un esercito
di quelle dimensioni per approvvigionare Port Stanley (NdT: capitale
ed unica vera città delle Isole Falklands). Queste discussioni certamente
solleveranno la questione se la Gran Bretagna può permettersi
una flotta globale e missili Trident e quale esattamente sia il ruolo
e l’importanza di un armamento nucleare indipendente della Gran Bretagna.
Così, in questo modo, possono giocare un ruolo nello sviluppo della
campagna per il disarmo nucleare, che non dovrebbe essere sottostimato.
A seguire, il futuro delle stesse isole
Falklands. Questo è possibile che sia, ancora una volta, di scarso
interesse per la maggior parte dei britannici. Ma sarà un enorme mal
di testa per i funzionari, per il Foreign Office e per tutti i soggetti
coinvolti, perché non abbiamo alcuna politica per il futuro. L’obiettivo
della guerra non era risolvere il problema delle isole Falklands. Siamo
tornati semplicemente alla casella di partenza, o anzi ancora più indietro,
alla casella di partenza meno uno, e qualcosa bisognerà pur farla,
prima o poi, per trovare una soluzione definitiva a questo problema,
a meno che i governi britannici si accontentino semplicemente di addossarsi
un molto costoso impegno che durerà per sempre, senza scopo alcuno,
laggiù, vicino al Polo Sud.
Il Patriottismo e la
Sinistra
Infine lasciatemi affrontare la più
grave questione degli effetti a lungo termine. La guerra ha dimostrato
la forza ed il potenziale politico del patriottismo, in questo caso
nella sua forma sciovinista. Questo forse non dovrebbe sorprenderci
ma i marxisti non sono riusciti a dialogare col patriottismo della classe
operaia in generale e col patriottismo inglese o britannico in particolare.
Britannico, qui, significa il luogo in cui il patriottismo dei popoli
non inglesi coincide con quello degli inglesi; laddove non coincide,
come talvolta accade in Scozia e nel Galles, i marxisti sono stati
più consapevoli dell’importanza del sentimento nazionalistico o patriottico.
Per inciso, ho il sospetto che mentre gli scozzesi si sentono piuttosto
britannici nella questione delle Falklands, i gallesi invece no. L’unico
partito parlamentare che, come partito, si è opposto alla guerra sin
dall’inizio, è stato il Plaid Cymru e naturalmente, quando di gallesi
si tratta, i “nostri ragazzi” ed il “nostro sangue” non sono
nelle Falklands ma piuttosto in Argentina. Sono i gallesi della Patagonia
che inviano ogni anno una delegazione al National Eistedfodd per dimostrare
che uno può abitare addirittura dall’altra parte del mondo e rimanere
comunque un gallese. Quindi, per quanto riguarda i gallesi, le reazioni,
l’appello thatcheriano per le Falklands, l’argomentazione
de “il nostro sangue”, probabilmente caddero nel vuoto.
Ora bene, ci sono diverse ragioni per
cui alla sinistra e, in particolare, alla sinistra marxista, non è
piaciuto dover affrontare la questione del patriottismo in questo paese.
C’è una precisa concezione storica dell’internazionalismo che tende
ad escludere il patriottismo nazionalistico. Dobbiamo inoltre considerare
la forza della tradizione progressista/radical-pacifista e antibellica,
che è molto forte e che certamente è penetrata, fino ad un certo punto,
nel movimento operaio. Da ciò deriva che si abbia la sensazione che
il patriottismo in qualche modo entra in conflitto con la coscienza
di classe, come del resto fa spesso, e che la classe dirigente egemone
ha un vantaggio enorme quando la usa per i suoi propositi, cosa che
è anche vera.
Forse c’è anche il fatto che alcuni
dei più drammatici e decisivi progressi della sinistra in questo secolo
furono raggiunti nella lotta contro la I Guerra Mondiale e che furono
conseguiti da una classe operaia che si liberò dal giogo del patriottismo
e dello sciovinismo e decise di optare a favore della lotta di classe,
di seguire Lenin rivolgendo la loro ostilità contro i propri oppressori
piuttosto che contro paesi stranieri. Dopo tutto, ciò che distrusse
l’Internazionale Socialista nel 1914 fu proprio il fallimento dei
lavoratori in questa operazione. Ciò che, in un certo senso, ripristinò
l’anima del movimento operaio internazionale fu che, dopo il 1917,
in tutti i paesi belligeranti, i lavoratori si unirono per lottare contro
la guerra, per la pace e per la Rivoluzione Russa.
La tradizione britannica
Ecco alcuni motivi per cui i marxisti
non riescono a prestare la dovuta attenzione alla questione del patriottismo.
Quindi lasciatemi ricordarvi, come storici, che il patriottismo non
può essere trascurato. La classe operaia britannica ha una lunga tradizione
di patriottismo che non sempre è stato considerato incompatibile con
una forte e militante coscienza di classe. Nella storia del cartismo
e dei grandi movimenti radicali degli inizi del XIX secolo, dobbiamo
sottolineare la coscienza di classe. Ma quando nel 1860 Thomas Wright
“l’ingegnere operaio”, uno dei pochi lavoratori britannici che
scrissero circa la classe operaia, compilò una guida sulla classe operaia
britannica per lettori di ceto medio, perché ad alcuni di questi lavoratori
si stava per concedere il voto, egli offrì un quadro interessante delle
diverse generazioni di lavoratori che aveva conosciuto come abile ingegnere.
Quando giunse alla generazione cartista, gente che era nata agli inizi
del XIX secolo, osservò che odiavano tutto ciò che aveva a che fare
con le classi superiori e che non si fidavano di loro per niente. Si
rifiutavano di avere qualcosa a che fare con quella che definivano “classe
nemica”. Al tempo stesso notò che erano fortemente patriottici, fortemente
antistranieri ed in particolare antifrancesi. Erano persone la cui infanzia
si era svolta durante le guerre napoleoniche. Gli storici tendono ad
enfatizzare l’elemento giacobino nel movimento operaio britannico
durante queste guerre e non tanto l’elemento antifrancese, che comunque
aveva anch’esso radici popolari. Dico semplicemente che non si può
cancellare il patriottismo dallo scenario nemmeno dai periodi più radicali
della classe operaia inglese.
Per tutto il XIX secolo si ebbe una
generale ammirazione per la Marina Militare come istituzione popolare,
molto di più che per l’esercito. Lo si può vedere ancora oggi
in tutte le case pubbliche che portano il nome di Lord Nelson, una figura
autenticamente popolare. La Marina ed i nostri marinai erano cose delle
quali i britannici e certamente il popolo inglese, andavano fieri. Tra
l’altro, buona parte del radicalismo del secolo XIX fu costruito sull’appello
non solo rivolto ai lavoratori e altri civili, ma ai soldati. Reynold’s
News ed altri giornali radicali di quei tempi erano molto letti dalle
truppe perché affrontavano sistematicamente il malcontento tra i militari
professionisti. Non so esattamente quando ciò smise di accadere anche
se, durante la II Guerra Mondiale, il Daily Mirror ottenne una
larga diffusione nell’Esercito esattamente per lo stesso motivo. Tanto
la tradizione giacobina quanto la tradizione antifrancese fanno parte
della storia della classe operaia inglese anche se gli storici del movimento
operaio hanno enfatizzato una e minimizzato l’altra.
Ancora una volta, all’inizio della
Prima Guerra Mondiale, il patriottismo di massa della classe operaia
era assolutamente autentico. Non era qualcosa strumentalizzato dai media.
Non escludeva il rispetto per la minoranza all’interno del movimento
operaio che non lo condivideva. Gli elementi che erano contro la guerra
ed i pacifisti non furono emarginati dai lavoratori organizzati all’interno
del movimento operaio. A questo proposito, vi fu una grande differenza
tra l’atteggiamento dei lavoratori e quella degli sciovinisti piccolo-borghesi.
Tuttavia rimane il fatto che il più massiccio reclutamento volontario
dell’esercito di tutta la storia fu quello dei lavoratori britannici
che si arruolarono nel 1914-1915. Le miniere si sarebbero svuotate se
non fosse stato per il fatto che il governo riconobbe che se non rimaneva
qualcuno dei minatori, sarebbero rimasti senza carbone. Dopo un paio
d’anni molti lavoratori cambiarono idea sulla guerra, ma quell’iniziale
focolaio di patriottismo è qualcosa che dovremmo ricordare. Non sto
giustificando queste cose, ma unicamente sto segnalando la loro esistenza
ed indicando che riguardando la storia della classe operaia britannica
e la situazione attuale dobbiamo fare i conti con questi fatti, che
ci piacciano oppure no. I pericoli di questo patriottismo sono stati
da sempre evidenti e lo sono tuttora anche perché era, e continua ad
esserlo, estremamente vulnerabile allo sciovinismo della classe dirigente,
al nazionalismo antistranieri ed ovviamente, al giorno d’oggi, al razzismo.
Questi pericoli sono particolarmente
grandi laddove il patriottismo può essere separato da altri sentimenti
ed aspirazioni della classe operaia, o addirittura dove può essere
contrapposto ad essi: dove il nazionalismo può essere contrapposto
alla liberazione sociale. Il motivo per cui nessuno presta molta attenzione
al, chiamiamolo pure, sciovinismo dei cartisti, è che questo era abbinato
a, e mascherato da, una enorme e militante coscienza di classe. È proprio
quando entrambe le cose vengono separate, e possono esserlo facilmente,
che i pericoli diventano particolarmente evidenti. Al contrario, quando
entrambi procedono di pari passo, moltiplicano non solo la forza della
classe operaia ma anche la sua capacità di porsi a capo di un’ampia
coalizione per il cambiamento sociale ed incluso le danno la possibilità
di strappare il comando alla “classe nemica”.
Straordinario 1945
Ecco perché, nel periodo antifascista
degli anni ’30, l’Internazionale Comunista lanciò un appello per
strappare le tradizioni nazionali alla borghesia, per ghermire le bandiere
nazionali da tanto sbandierate dalla destra. Così la sinistra francese
cercò di conquistare, prendere o riprendere il tricolore e Giovanna
d’Arco e, in certa misura, ci riuscì.
In questo paese non cerchiamo esattamente
le stesse cose, ma abbiamo avuto successo in qualcosa di più importante.
Come la guerra contro il fascismo ha dimostrato in modo molto drammatico,
la combinazione di patriottismo in una autentica guerra popolare risultò
essere un fattore di esacerbazione politica ad un livello senza precedenti.
Nel momento del suo più grande trionfo, l’antenato della signora Thatcher,
Winston Churchill, leader indiscusso di una guerra vittoriosa, e di
una guerra vittoriosa molto più grande di quella delle Falklands, con
sua grande sorpresa, fu messo da parte perché le persone che avevano
combattuto quella guerra, e combattuto patriotticamente, erano state
esacerbate da essa. E la combinazione di un movimento radicale della
classe operaia e di un movimento popolare dietro esso si rivelò estremamente
efficace e potente.
Michael Foot (NdT: importante dirigente
del Partito laburista nel XX secolo) può essere accusato di pensare
troppo in termini di ricordi “churchilliani” – 1940, la Gran Bretagna
che si rialza da sola, la guerra antifascista e tutto il resto, e ovviamente
questi echi erano lì, nella reazione laburista alle Falklands. Ma non
dimentichiamo che i nostri ricordi “churchilliani” non sono solo
di gloria patriottica, ma di vittoria contro la reazione, sia all’estero
che in patria: del trionfo operaio e della sconfitta di Churchill.
È difficile concepire ciò nel 1982, ma come storico io lo devo ricordare.
È pericoloso lasciare il patriottismo esclusivamente alla destra.
Rule Britannia
Attualmente, è molto difficile
per la sinistra riprendersi il patriottismo. Una delle più sinistre
lezioni della Falklands è la facilità con cui i thatcheriani si impadronirono
dell’epidemia patriottica che inizialmente non era, in alcun senso,
limitato ai conservatori, e tanto meno ai thatcheriani. Ricordiamo la
facilità con cui i non sciovinisti potevano essere etichettati, se
non direttamente di antipatriottici, almeno di essere teneri con
gli “argies” (NdT: argentini); la facilità con cui la bandiera britannica è stata mobilitata sia contro i nemici interni che esterni. Ricordate
la fotografia delle truppe che tornano coi loro mezzi, con un cartello
che diceva “Basta con lo sciopero ferroviario o inviamo un attacco
aereo” (NdT: In inglese è un gioco di parole tra strike inteso
come sciopero e strike inteso come attacco: “Call off the rail strike
or we’ll call an air strike”). Questo è il significato a lungo
termine delle Falklands negli affari politici inglesi.
È il segnale di un pericolo molto
grande. Lo sciovinismo è oggi particolarmente forte perché agisce
come una sorta di compensazione dei sentimenti di decadenza, demoralizzazione
ed inferiorità, che la maggior parte delle persone in questo paese
sente, tra cui molti lavoratori. Questa sensazione è intensificata
dalla crisi economica. Simbolicamente, lo sciovinismo aiuta la gente
a sentire che la Gran Bretagna non sta affondando inesorabilmente, che
ancora può fare ed ottenere qualcosa, può essere presa sul serio,
può, come dicono, ancora essere “Grande” Bretagna.
È simbolico, perché, in effetti,
lo sciovinismo thatcheriano non ha ottenuto nulla in termini pratici
e non può ottenere nulla. Rule Britannia (NdT: canto patriottico che
rappresentò per più di un secolo l’imperialismo britannico nel mondo.)
è tornato di nuovo ad essere, e penso per la prima volta dal 1914,
qualcosa come l’inno nazionale. Varrebbe la pena un giorno analizzare
perché, fino al periodo delle Falklands, Rule Britannia era diventato
un pezzo di archeologia musicale e perché abbia cessato di esserlo.
Nel preciso istante in cui la Gran Bretagna palesemente ormai non domina
né le onde né un impero, la canzone è risorta e, senza dubbio, ha
toccato un nervo nelle persone che lo cantano (NdT: si fa riferimento
al ritornello: “Rule, Britannia! rule the waves”, Domina Britannia,
domina le onde). Non è solo perché abbiamo vinto una piccola guerra
che ha avuto poche vittime, combattuta a distanza contro stranieri che
non possiamo sconfiggere al calcio e perché questo ha rallegrato il
popolo, come se avessimo vinto la Coppa del Mondo con le armi. Ma ha
fatto di più nel lungo periodo? E ‘difficile vedere cosa abbia ottenuto
o possa ottenere ancora.
Un salvatore su un cavallo bianco
Eppure, c’è un pericolo. Da ragazzo,
ho vissuto alcuni giovanili e formativi anni nella Repubblica di Weimar,
con un altro popolo che si sentiva sconfitto, che aveva perso le sue
vecchie certezze e punti di riferimento, relegato nella Lega Internazionale,
compatito dagli stranieri. Aggiungete la depressione e la disoccupazione
di massa e quello che abbiamo ottenuto allora fu Hitler. Ora non ci
toccherà un fascismo del vecchio tipo. Ma il pericolo di una destra
populista, radicale, che si sposta ancora di più verso destra, è ovvio.
Questo pericolo è particolarmente grande perché oggi la sinistra è
divisa e demoralizzata e, soprattutto, perché grandi masse di britannici,
o in ogni caso di inglesi, hanno perso la speranza e la fiducia nei
processi politici e nei politici stessi: qualunque politico. Il più
importante asso nella manica del trionfo della signora Thatcher è che
la gente dice che non è come un politico. Oggi, con 3.500.000 disoccupati,
il 45% degli elettori di Northfield, il 65% degli elettori di Peckham,
non si preoccupa di votare. A Peckham, il 41% degli elettori ha votato
per i laburisti nel 1974, il 34% nel 1979 e il 19,1% oggi. Non sto parlando
di voti emessi, ma del totale dell’elettorato in quei distretti. A Northfield,
situato nel cuore della devastata zona dell’industria automobilistica
britannica, il 41% ha votato per i laburisti nel 1974, il 32% nel 1979
e il 20 % oggi.
Il pericolo principale risiede nella
depoliticizzazione che riflette una disillusione per la politica, generata
da un senso di impotenza. Quello che vediamo oggi non è un aumento
sostanziale del sostegno alla Thatcher o ai thatcheriani. L’episodio
delle Falklands potrebbe aver fatto sentire temporaneamente meglio un
sacco di britannici, anche se il “fattore Falklands” è quasi
certamente una risorsa in esaurimento per i conservatori; ma non ha
fatto molta differenza sull’ apatia, la disperazione ed il disfattismo
di base di tanti in questo paese, la sensazione che non possiamo intervenire
molto sul nostro destino. Se il governo sembra conservare il sostegno
meglio di quanto ci si poteva aspettare, è perché la gente (sbagliando)
non incolpa la Thatcher per la misera condizione del paese di oggi,
ma più o meno vagamente, attribuisce la colpa a fattori indipendenti
dalla loro volontà, o da quella di qualsiasi governo. Se i Laburisti
non hanno recuperato abbastanza sostegno finora, anche se è ancora
possibile, non è solo a causa delle divisioni interne, ma anche soprattutto
perché molti lavoratori non hanno molta fiducia nelle promesse di nessun
politico per superare la depressione e la crisi a lungo termine dell’economia
britannica. Allora perché votare per uno sugli altri? Troppe persone
stanno perdendo la fiducia nella politica e incluso nella propria capacità
di fare qualcosa al riguardo.
Ma supponiamo che compaia un salvatore
su un cavallo bianco. Sembra improbabile, ma solo supponiamo che qualcuno
faccia appello alle emozioni, faccia scorrere adrenalina mobilitando
tutti contro gli stranieri fuori o all’interno del Paese, magari attraverso
un’altra piccola guerra, che in queste circostanze potrebbe trasformarsi
in un grande guerra, che, come ben sappiamo, sarebbe l’ultima delle
guerre. E ‘possibile. Non credo che quel salvatore sarà la Thatcher,
e in tal senso posso finire in tono un po’ più ottimista. L’idea
di libera impresa, con la quale è impegnata, non è vincente, come
la propaganda fascista ha riconosciuto negli anni ‘30. Non si può
vincere, dicendo: “Lasciate che i ricchi diventino più ricchi
e al diavolo i poveri”. Le prospettive della Thatcher sono meno
buone di quelle di Hitler, perché tre anni dopo l’arrivo di quello
al potere non c’era molta disoccupazione in Germania, mentre tre anni
dopo l’arrivo della Thatcher al potere, la disoccupazione è più alta
che mai e probabilmente aumenterà. La Thatcher è al buio e fischia
per farsi coraggio. Può ancora essere sconfitta. Ma il patriottismo
e lo sciovinismo sono stati utilizzati ancora una volta per cambiare
la situazione politica a suo favore e potranno essere utilizzati nuovamente.
Dobbiamo stare all’erta. I governi disperati della destra tentano con
qualunque cosa.
Eric J. Hobsbawm è uno dei più
grandi storici dei nostri giorni ed uno degli intellettuali più rilevanti
dell’ultimo secolo. Nato ad Alessandria (Egitto) nel 1917, è cresciuto
a Vienna e Berlino ed è emigrato a Londra nel 1933. Nella sua vasta
opera, universalmente riconosciuta per la sua qualità ed acutezza,
risalta la serie dedicata allo sviluppo della modernità e del capitalismo,
dal secolo XVIII ai giorni nostri: The Age of Revolution, The Age of
Capital, The Age of Empire, The Age of Extremes (L’era della Rivoluzione,
L’era del Capitalismo, l’Era dell’Impero, Storia del Secolo XX).
Nel 2011, a 94 anni pubblicò
“How to Change The World” (Come cambiare il Mondo”, Marx ed il
Marxismo, 1840-2011) una brillante ed erudita collezione di articoli
sull’opera di Karl Marx e il marxismo, la cui eredità ancora rivendica.
Fonte: Malvinas: una guerra contra la decadencia del imperio británico, por Eric J. Hobsbawm
18.02.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARY COSTA
Questo articolo è una versione tratta da una conversazione che ha avuto luogo nel programma Izquierda en Movimiento (La Sinistra in Movimento), organizzato dalla rivista Marxism Today alcuni mesi dopo la guerra. É stato pubblicato nel gennaio del 1983 col titolo “Falklands fallout” (Conseguenze delle Falklands).
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALE RUMBLE: https://rumble.com/user/comedonchisciotte
CANALE ODYSEE: https://odysee.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALI UFFICIALI TELEGRAM:
Principale - https://t.me/comedonchisciotteorg
Notizie - https://t.me/comedonchisciotte_notizie
Salute - https://t.me/CDCPiuSalute
Video - https://t.me/comedonchisciotte_video