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La Redazione

 

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L'UMANITA' AL BIVIO

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A cura di Das schloss
Il 11 Giugno 2009
65 Views

blankDI GUY R. MCPHERSON
Energy Bulletin

L’evidenza acquista chiarezza: abbiamo raggiunto un bivio come mai accaduto prima nella storia umana. Un sentiero conduce alla disperazione per l’ Homo Industrialis. L’altro conduce all’estinzione, per l’Homo Sapiens e per milioni di altre specie che ci stiamo portando nell’abisso. Cominciamo dalla porta numero uno.

Fortunatamente, il primo percorso ci da una possibilita’ finale per salvare l’umanita’. E non sto semplicemente considerando solo la nostre specie. Consideriamo, ad esempio, queste definizioni di “specie” tratte dal Merriam-Webster Online Dictionary:

1.la qualita’ o lo stato di essere umani (quindi, contraddistinti dalla compassione, comprensione, o considerazione per altri umani o animali)

2.la qualita’ o lo stato di essere umani b: plurale: attributi o qualità’ umane.

3.plurale: le branche dell’apprendimento (tipo filosofia, arti o linguaggio ) che investigano la laboriosita’ e le attivita’ umane, contrapposte ai processi naturali (come in fisica o chimica) e le relazioni sociali (come in antropologia o economia)

4.la razza umana: la totalita’ degli esseri umani.
Certo, le quattro definizioni contano. Siamo creature egoiste, dopo tutto, principalmente interessate alla persistenza. Sfortunatamente per la nostre specie, siamo veramente, profondamente interessati nella persistenza dei nostri egoistici se stessi, e non molto interessati nelle nostre specie interiori. Da cio’ si puo’ capire quindi l’auto provocata, ispirata dall’avidità, sommamente umana e generalmente prevedibile (e specificamente caotica) difficile situazione nella quale stiamo marinando.

Come societa’, non fermeremo certo di nostra volonta’ l’economia industriale. E’ piu’ probabile che ridurremo il pianeta ad un mucchio di macerie senza vita piuttosto che diminuire – tanto meno fermare – la crescita economica. Ma, prima o poi, finiremo le opzioni a disposizione e l’economia industriale trarra’ l’ultimo respiro, dandoci cosi’ l’ultima esile speranza di evitare l’estinzione entro i prossimi decenni.

Ma vorrei anche considerare le altre tre definizioni. Se dovessimo distruggere l’economia industriale, e salvarci quindi le chiappe dalla nostra auto-provocata, ispirata dall’avidità,….beh lo sapete…. poi dovremo anche dare un’occhiata approfondita e significativa alle definizione uno, due e tre. Facendo cosi’, potremmo quindi mantenerne gli attributi associati. Ma solo se ci impegniamo seriamente nel gettare secchiate di sabbia negli ingranaggi economici dell’impero.

Potremmo disquisire tutto il giorno sulla prima definizione (anche sulle altre volendo). Siamo capaci di essere umani ? Quanto profondamente dovete scavare nella memoria per realizzare quando avete visto un gruppo numeroso di persone agire compassionevolmente, empaticamente e consideratamente verso altri umani o animali? Ma d’altra parte – e vi prego di scusare il mio eterno sguardo ottimistico che affiora in superficie ancora una volta – è abbastanza facile ricordare l’ultima volta che avete visto un un essere umano individuale, mostrare proprio quelle caratteristiche. Probabilmente egli/ella eravate voi, stamattina presto.

Esiste abbondante teoria evoluzionista per spiegare l’altruismo tra gli individui quando sono in piccoli gruppi, anche quando gli individui non condividono i genitori. Ma la stessa teoria evoluzionista diventa debole, traballante o inutile, non appena il gruppo diventa sufficientemente numeroso. Buttiamoci quindi dentro tutti gli attributi della cultura industriale, i quali perlopiu’ ricompensano la competizione e l’individualismo, anziche’ la cooperazione e il lavoro di gruppo, che improvvisamente ci troviamo intrappolati sotto una valanga di hubris auto generata. [Nella tragedia Greca, con hubris o hybris si intende un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli eventi del presente. È una colpa dovuta a un’azione che vìola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie. Da Wikipedia. NdT]

Quindi se ci adoperiamo per mantenere la qualita’ o lo stato dell’essere umani – che e’ il mantenere qualche sembianza di compassione, empatia, o considerazione per gli umani e gli animali — dobbiamo saltare giu’ dal treno imperiale prima che esso si schianti e si accartocci alla fine di una caduta precipitosa. Possiamo discutere se il treno abbia oltrepassato o meno il precipizio, ma non ci sono dubbi sul fatto che abbia lasciato la stazione gia’ da un bel po’ di tempo. Non esiste una legittima speranza di salvare l’economia industriale o una buona parte dei 6.7 miliardi di umani sulla Terra, ma c’e’ una grossa speranza per salvare la “qualita’ o lo stato di essere umani” per un numero relativamente piccolo di gruppi di umani.

Sarete voi parte di uno di questi gruppi? Sarete tra coloro che avranno accesso ad acqua, cibo, riparo e ad una comunita’ ?

Andando avanti, poi alla seconda definizione: la qualita’ o lo stato di essere umani. Cosa ci rende umani? La domanda e’, ovviamente, facile da formulare superficialmente e quasi impossibile da affrontare in profondita’. Il DNA ci dice se siamo umani o meno, se siamo del genere Homo e della specie Homo sapiens, opposti alla miriade di altri organismi sul pianeta. Bene, lasciamo la domanda facile ai manipolatori di geni [nell’originale “gene jockeys”, traslato da disk jockey o DJ. NdT] e prendiamo la domanda piu’ difficile e profonda. Cosa ci rende umani, oltre il DNA?

Difficilmente sono la prima persona che ha riflettuto sulla domanda. I miei predecessori includono un numero speciale di Nature, Hollywood, British Television, e dozzine di altri autori, includendo anche numerosi filosofi a partire da Platone e Lao Tzu. Mi rimando, come spesso faccio, a Nietzsche (particolarmente a Umano, Tutto troppo Umano). Nietzsche ha identificato gli umani come organismi tragicamente difettosi i quali, come altri animali, mancano del libero arbitrio. A differenza di Cartesio, Nietzsche ritiene che i nostri difetti ci definiscono, e pertanto non possono essere superati. Siamo troppo-umani per riuscirci. E sebbene noi siamo animali pensanti, — cio’ che Nietzsche definisce res cogitans, siamo prede di pensieri confusi e caotici, di idee che mancano di chiarezza e distinzione. Ovviamente Nietzsche non era del resto cosi’ pessimista nel credere che tutti i nostri pensieri siano confusi. Tuttavia, in ultima analisi, si puo’ dire che l’incompetenza caratterizza l’esperienza umana.

Quindi il passo è breve dalle conclusioni di Nietzsche — siamo organismi difettosi — alla cultura industriale quale prodotto della nostra incompetenza. Ma lo stesso risultato puo’ essere applicato per ogni tecnologia, considerando la potenziale e fatale pericolosita’ della cultura industriale. In altre parole, progredire significa accelerare la rapidità’ con la quale le brutte cose accadono alle societa’. Quindi l’eccezionalismo Americano [termine autoreferenziale per molti Americani che condensa la visione di un America quale nazione speciale tra le nazioni progredite per via della predominanza economica, culturale e politica. NdT.] diventa un’altra vittima del disfacimento del treno imperiale.

Pertanto se questa seconda definizione di umanita’ ha contribuito alla tragedia della cultura industriale — ed e’ per me difficile credere che non lo sia stato — e’, come la definizione numero uno, meritevole di salvezza ? Il completamento del collasso industriale attuale, manterra’ il nostro inerente e troppo-umano difetto?

La questione e’ analoga a quella di John Stuart Mill nel famoso verso tratto da Utilitarismo:

“E’ meglio essere un essere umano insoddisfatto piuttosto che un maiale soddisfatto.”

L’umanita’ e’ ad un bivio. Ci proviamo a salvarla?

Tuttavia non c’è scelta nella questione (e neanche il maiale di Mill l’aveva). Noi siamo tragicamente difettosi indipendentemente dalla durata dell’economia industriale. In questo caso, distruggere la civilizzazione non arreca né danni né benefici alla nostra umanita’.

La terza definizione di umanita’:

le branche dell’apprendimento (tipo filosofia, arti o linguaggio ) che investigano la laboriosita’ e le attivita’ umane, contrapposte ai processi naturali (come in fisica o chimica) e alle relazioni sociali (come in antropologia o economia)

Le branche dell’apprendimento sono definite dalla cultura. Nel caso presente, la separazione arbitraria della conoscenza tra scienze naturali e umanisitiche ha contribuito alla divisione che notiamo a tutti i livelli delle relazioni umane. Facendo eco alle conclusioni di C.P. Snow nel suo eponimo Due Culture, Edward O. Wilson ha arguito con forza nel suo Consilience [“Corcondanza” NdT.] che la separazione dell’apprendimento, quindi della conoscenza, in due macrogruppi, e’ un grande ostacolo verso una comprensione reale e significativa dell’esperienza umana. C.P. Snow ovviamente faceva eco a sua volta a Platone e Lao Tzu.

Non dovremmo provare ad integrare la conoscenza, anziche compartimentalizzarla? Nello sforzo di servire la cultura della morte che e’ la società’ industriale, abbiamo preso il peggior approccio in assoluto: abbiamo sviluppato interamente il nostro sistema educativo attorno ai due pilastri della compartimentalizzazione e dell’ignoranza. Buttiamoci poi dentro un enorme, continua, e decisa dose di opposizione a integrazione e sintesi, e ci rimane uno tsunami di incompetenza. Probabilmente non abbiamo avuto la possibilita’ di sconfiggere l’incompetenza davvero-troppo-umana descritta da Nietzsche, ma sicuramente abbiamo progettato di proposito un sistema educativo in grado di rinforzare l’incompetenza su scala massiccia. C’e’ quindi da meravigliarsi se siamo una nazione di pagliacci supernutriti ?

E’ facile incolpare la cultura industriale per lo stato pietoso del nostro sistema educativo, e di conseguenza la nostra mancanza di relativa umanita’. Ma credo che sia altrettanto percorribile migliorare l’educazione, distruggendo la cultura industriale. Un approccio veramente comprensivo all’apprendimento dovrebbe focalizzarsi sugli umani quali parte del mondo, piuttosto che separati da esso. Si sforzerebbe per l’integrazione e la sintesi. Presupporrebbe che colui che impara e’ una parte dell’ecosistema, e non una parte superiore. Un tutt’uno con il luogo specifico, clima, topografia, integrato con la cultura consolidata in quel momento in quel luogo. Una sistema basilare di questo tipo si puo’ trovare qui

In ultimo, per la quarta definizione, quella che impregna la nostra delicata psiche esistenziale: nessuno che abbia mai seriamente riflettuto sull’argomento, potrebbe in onesta’ trarre la conclusione che “la totalita degli esseri umani” sia destinata a durare per sempre. Tuttavia proveremmo perlomeno a distruggere la civiltà’ industriale se avessimo un briciolo di “compassione, empatia o considerazione per gli umani e gli animali.” I nostri persistenti, ridicoli e davvero-troppo-umani tentativi di potenziare l’economia industriale non solo rivelano una sbalorditiva mancanza di umanita’, ma pongono una pesante minaccia alle nostre altre specie.

Guy McPherson e’ Professore Emerito del Natural Resoures and Ecology and Evolutionary Biology all’univesita’ dell’Arizona.

Titolo originale: “Humanity at a crossroads”

Fonte: http://www.energybulletin.net
Link
21.05.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MASSIMILIANO MANCINI

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