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L'OLOCAUSTO NASCOSTO – LA NOSTRA CRISI DI CIVILITA' (PARTE I)

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A cura di Das schloss
Il 27 Febbraio 2008
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blankDI NAFEEZ MOSADDEQ AHMED

Parte I – L’olocausto nella storia

1. “Olocausto nascosto”

È risaputo come il termine “olocausto” sia tradizionalmente impiegato in riferimento alla “sistematica, burocratica, persecuzione e uccisione organizzata da uno stato di circa sei milioni di Ebrei, da parte del regime Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale”. “Olocausto” è una parola greca che significa “sacrificio per mezzo del fuoco”. Esprime un evento la cui portata e il cui orrore hanno trasformato il corso della storia mondiale. È inoltre visto come un crimine contro l’umanità ineguagliabile e unico.

Su questo non si discute. L’olocausto nazista è certamente stato un genocidio eccezionalmente orrendo la cui enormità e il cui carattere sistematico sono a mala pena immaginabili, progettato per eliminare completamente – fisicamente, socialmente, culturalmente – il popolo ebraico dalla faccia della Terra.Ma allora cosa intendiamo con “olocausto nascosto”? Questo termine indica la realtà di una campagna globale di omicidi e assassini, la cui scala ed enormità sono tali da rendere la parola “olocausto”, certamente in senso lato, applicabile. È “nascosto”, nel senso che, sebbene milioni di persone in tutto il mondo lo abbiano subito nel corso della storia e lo subiscano ancora oggi, esso rimane invisibile, ufficialmente non riconosciuto.

Questo “olocausto nascosto” aumenta, accelera, si intensifica; secondo tutte le proiezioni degli esperti, dalle scienze sociali a quelle fisiche, potrebbe culminare nell’estinzione della specie umana a meno che non si prendano provvedimenti drastici ed immediati, adesso.

2. “Crisi di civiltà”

“Civiltà” è una parola che si sente spesso, e spesso è stata impiegata per spiegare le dinamiche della Guerra al terrore come uno scontro tra due civiltà: la civiltà avanzata, sviluppata e progressista dell’Occidente e la retrograda e reazionaria civiltà dell’Islam.

Come ben si sa, l’uomo che per primo ha elaborato quest’idea nella forma di una teoria accademica delle relazioni internazionali è stato Samuel Huntington, professore ad Harvard e consigliere del governo statunitense.

All’inizio del 2007, l’allora Primo Ministro Tony Blair ha descritto la Guerra al terrore come “uno scontro non tra civiltà”, ma piuttosto “sulla civiltà.” La Guerra al terrore è, ha proclamato, una continuazione della “millenaria battaglia tra progresso e reazione, tra chi abbraccia il mondo moderno e chi ne rifiuta la esistenza.” [“A Battle for Global Values,” (‘La battaglia per i valori globali’) Foreign Affairs (Gennaio/Febbraio 2007)]

Ma l’“olocausto nascosto” non costituisce un’aberrazione della nostra civiltà avanzata che di per sé rappresenterebbe il picco dello sviluppo umano, e che necessiterebbe solo di qualche riforma. Al contrario, l’“olocausto nascosto” è una componente essenziale della struttura stessa, dei valori e delle attività, della nostra civiltà. È parte e particella dei “valori globali” dell’ordine politico-economico internazionale che sostiene la civiltà industriale. E a meno che non tentiamo di trasformare la natura della nostra civiltà, periremo tutti in un olocausto che avremo provocato noi stessi.

3. La concezione genocida di civilità

L’olocausto nascosto associato alla nostra civiltà moderna ha preso avvio all’inizio della civiltà moderna stessa.

Le origini della civiltà moderna si possono trovare, in parte, nei viaggi, cruciali per l’espansione coloniale e il commercio europei, effettuati dal XV al XIX secolo. Esploratori spagnoli, italiani, portoghesi, olandesi, inglesi ed altri si avventurarono al di fuori dei propri Paesi natale alla ricerca di nuove ricchezze e di nuove terre in ogni angolo del globo. Si recarono nei continenti dell’America, dell’Africa e dell’Asia dove stabilirono colonie e avamposti commerciali.

Colonizzatori e coloni avevano ogni tipo di intenzioni. Alcuni di loro erano in possesso di capitale e stavano semplicemente cercando nuove opportunità di investimento. Altri stavano tentando di sfuggire ad esistenze difficili nel proprio paese e desideravano farsi una nuova vita insediandosi nelle colonie. Altri ancora volevano portare il messaggio del Cristianesimo alle popolazioni indigene. Quasi tutti vedevano se stessi come parte dell’inevitabile slancio storico del progresso, come portatori dei frutti della civiltà europea a genti arretrate.

Qualsiasi fossero le intenzioni, l’espansione europea previde l’uso massiccio e sistematico della violenza. Violenza di ogni genere. Massacri indiscriminati, campi di lavoro forzato, malattie, malnutrizione dovuta all’imposta deprivazione economica, suicidi di massa causati da depressione e alienazione culturale. Come sostiene Irving Louis Horowitz, per esempio, “la condotta del colonialismo classico era invariabilmente legata al genocidio”. [Genocide: State Power and Mass Murder, (New Brunswick, NJ: Transaction, 1976), p. 19-20 – Genocidio: potere statale e omicidio di massa, trad. it. non disponibile] Di seguito proponiamo un resoconto di alcuni esempi salienti.

4. L’olocausto americano

La conquista fatale ebbe inizio a partire dal 1492, anno in cui si dice Cristoforo Colombo abbia scoperto le Americhe. Nel corso di pochi secoli successivi, le complesse civiltà dei nativi americani furono devastate. Lo storico britannico Mark Cocker ha esaminato delle stime affidabili del bilancio delle vittime:


“[U]ndici milioni di indigeni americani persero la vita negli ottant’anni successivi all’invasione spagnola del Messico. Nell’Impero andino degli Inca, la cifra superò gli otto milioni. In Brasile, la conquista portoghese assistette alla diminuzione del numero degli indiani da un totale precolombiano di quasi 2.500.000 ad appena 225.000 persone. E nel nord del Messico. . . i nativi americani, entro la fine del XIX secolo, diminuirono drammaticamente da una popolazione originale di oltre 800.000 persone. Per l’intero continente delle Americhe, secondo alcuni storici le perdite totali raggiunsero addirittura i 100 milioni.” [Mark Cocker, Rivers of Blood, Rivers of Gold: Europe’s Conquest of Indigenous Peoples (New York: Grove Press, 1998), p. 5 – Fiumi di sangue, fiumi d’oro: la conquista europea dei popoli indigeni, trad. it. non disponibile]

Sebbene la maggior parte di tali morti siano avvenute a causa dell’impatto con le malattie europee, la malattia da sola non spiega le variazioni nei bilanci dei decessi nelle diverse parti delle Americhe. I fattori chiave in cui le malattie agirono erano, in definitiva, le conformazioni sociali colonialiste e repressive imposte sui nativi dagli invasori europei, che consistettero in diverse matrici di regimi di lavoro forzato in miniere e piantagioni, riduzione in schiavitù in massa per l’uso domestico e personale da parte dei colonialisti, perturbazioni religiose e culturali, e così via.

Secondo le conclusioni di David Stannard nel suo esaustivo studio del genocidio che egli descrive come un “Olocausto americano”, questi fattori accelerarono ed intensificarono il semplice impatto della malattia. Egli descrive ulteriormente il pensiero strategico dei colonialisti:


“All’alba del quindicesimo secolo, i conquistadores e i preti spagnoli offrivano agli indiani in cui si imbattevano una scelta: o abbandonate la vostra religione e la vostra cultura, le vostre terre e la vostra indipendenza, giurando fedeltà ‘come vassalli’ alla Chiesa Cattolica e alla Corona Spagnola, o subirete ‘tutto il male e tutti i danni’ che gli invasori europei sceglieranno di infliggervi.” [David Stannard, American Holocaust: The Conquest of the New World (Oxford: Oxford University Press, 1993), p. 255 – trad. it.: Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, Bollati Boringhieri, 2001]

Questa scelta binaria, data ai nativi americani cinque secoli fa, assomiglia in maniera impressionante alla retorica che oggi dà fondamento alla Guerra al terrore: “Con noi o contro di noi.”

5. L’olocausto africano

In Africa, il commercio degli schiavi contribuì considerevolmente alla morte prolungata di un enorme numero di persone. Sebbene localmente esistessero già strutture schiavistiche, di sicuro non avevano la dimensione che assunse il fenomeno nel corso degli interventi europei. I commercianti di schiavi inglesi, francesi, olandesi, spagnoli, danesi e portoghesi iniziarono depredando i villaggi sulla costa africana occidentale. Il commercio di schiavi transoceanico, che durò dagli anni Cinquanta del XV secolo agli anni Sessanta del XIX, consistette di “una serie di scambi di prigionieri che si estendeva dall’interno dell’Africa Sub-sahariana fino agli acquirenti finali nelle Americhe.” Un osservatore del tempo, il giornalista britannico Edward Morel scrisse: “Per un secolo, gli schiavi nelle Barbados furono mutilati, torturati, appesi vivi alla forca e lasciati morire di fame, bruciati vivi, scaraventati in pentoloni di zucchero bollente, frustati a morte.” [The Black Man’s Burden: The White Man in Africa from the Fifteenth Century to World War I (New York: Modern Reader, 1969) – Il peso dell’uomo nero: l’uomo bianco in Africa dal XV secolo alla Prima Guerra mondiale, trad. it. non disponibile]

Dal XVI al XIX secolo, il bilancio totale delle morti di schiavi africani trasportati via nave nella sola America raggiunse i 2 milioni. Sebbene il numero esatto dei molti milioni che morirono “alla cattura o in viaggio verso l’Asia o il Medio Oriente” sia sconosciuto, tra gli schiavi “tenuti in Africa potrebbero essere morti circa 4.000.000”. In totale, in cinque secoli, quasi 17.000.000 — e secondo alcuni calcoli forse oltre 65.000.000 – di Africani furono uccisi nel commercio di schiavi transoceanico. [R. J. Rummel, Death by Government (New Brunswick, N.J.: Transaction Publishers, 1994) – trad. it.: Stati assassini. La violenza omicida dei governi, Rubbettino, 2005].

Il sociologo della University of Essex Robin Blackburn ha dimostrato in modo convincente la centralità del capitalismo nell’espansione della schiavitù del nuovo mondo, sostenendo che i profitti schiavisti accumulati nel “commercio triangolare” tra Europa, Africa e America contribuirono in maniera fondamentale all’industrializzazione della Gran Bretagna. Ad esempio, i profitti provenienti dal commercio triangolare nel 1770 avrebbero costituito tra il 20,9 e il 55 % degli investimenti fissi lordi britannici. [Robin Blackburn, The Making of New World Slavery: From the Baroque to the Modern, 1492-1800 (London: Verso), p. 572 – La creazione della schiavitù del Nuovo Mondo: dall’età Barocca all’età moderna 1492-1800, trad. it. non disponibile] La questione della costituzione del capitale, comunque, è solo una parte della storia. Il commercio di schiavi transoceanico fu un motore indispensabile nel sistema capitalistico emergente sotto la responsabilità dell’Impero britannico. La meccanizzazione del settore tessile del cotone, originariamente prodotto nelle piantagioni americane in cui lavoravano gli schiavi africani, fu la forza trainante e travolgente dell’industrializzazione britannica. [CK Harley and NFR Crafts, “Cotton Textiles and Industrial Output Growth,” (‘Cotone e incremento del rendimento industriale’) Warwick Economics Research Paper Series (1994, no. 420)]

6. L’olocausto indiano

Nel suo fondamentale studio, Late Victorian Holocausts: El Niño Famines and the Making of the Third World (London: Verso, 2001) – [trad. it.: Olocausti tardovittoriani. El Nino, le carestie e la nascita del terzo mondo, Feltrinelli, 2002], lo storico Mike Davis evidenzia come le politiche imperialiste britanniche abbiano sistematicamente convertito le siccità nel Sud dell’Asia e dell’Africa in prevedibili ma evitabili carestie fatali.

In India, un numero di persone compreso tra 5,5 e 12 milioni morì in una carestia indotta artificialmente sebbene vi fossero milioni di tonnellate di cereali in circolazione. La produzione di frumento e riso era stata superiore alla media nei tre anni precedenti, ma la maggior parte del surplus era stata esportata in Inghilterra. “In effetti, i londinesi stavano mangiando il pane dell’India.” Nell’ambito delle regole di “libero mercato”, tra il 1877 e il 1878, i mercanti di cereali esportarono una quantità record di frumento pari a 325 mila tonnellate verso l’Europa mentre milioni di indiani poveri morivano di fame.

È in modo cruciale che Davis sostiene che queste persone morirono “non al di fuori del moderno sistema mondiale, ma proprio nel corso della loro integrazione forzata nelle sue strutture economiche e politiche. Essi morirono nell’età dell’oro del capitalismo liberale; molti furono assassinati dall’applicazione di principi utilitaristici di libero commercio”.

7. La divisione del mondo

Tale violenza, dunque, non fu meramente incidentale nel progetto imperialista europeo. Ne era parte integrante, sistematica, come una soluzione al problema della resistenza posta dai nativi.

Nel periodo compreso all’incirca tra il 1870 e il 1914, le politiche imperialiste europee ricevettero una nuova iniezione di vita, risultante dall’intensa corsa per il controllo dei territori dell’Asia orientale e dell’Africa. Quasi tutto il mondo era completamente suddiviso e sottoposto al governo politico formale o informale di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio, U.S.A. e Giappone. Questi paesi tutti insieme, in Africa, per esempio, acquisirono 30 nuove colonie e 110 milioni di sudditi. La resistenza africana fu brutalmente annientata. Si consideri, ad esempio, l’insurrezione nel 1904 degli Herero, una tribù dell’Africa sud occidentale, contro l’occupazione tedesca. La risposta tedesca consistette nel condurli tutti e 24.000 nel deserto a morire di fame; chi si arrese fu fatto lavorare a morte nei campi di lavoro forzato. [Thomas Pakenham, The Scramble for Africa: White Man’s Conquest of the Dark Continent, 1876-1912 (London: Random House, 1991) – La corsa alla conquista dell’Africa: la conquista dell’uomo bianco del continente nero, 1876-1912. trad. it. non disponibile]

In questo periodo, nel sistema internazionale sono già visibili gravi iniquità. Entro il 1880, il reddito pro-capite nei Paesi sviluppati era circa il doppio di quello del ‘Terzo Mondo’. Entro il 1913, era tre volte maggiore, ed entro il 1950, cinque volte maggiore. Allo stesso modo, il PIL pro-capite dei Paesi industrializzati più sviluppati era, nel 1830, già doppio rispetto a quello del Terzo Mondo, per diventare sette volte maggiore entro il 1913. [E. J. Hobsbawm, The Age of Empire, 1875-1914 (London: Abacus, 1987), p. 15 – trad. it.: L’età degli imperi 1875-1914, Laterza, 2005]

In conclusione, per cinquecento anni, centinaia di milioni di indigeni furono trucidati, decimati, deportati, resi schiavi, affamati, sterminati, impoveriti, e assimilati forzatamente ad un sistema mondiale emergente dominato dall’Europa Occidentale. Questo è il modo in cui sono venuti in esistenza i valori globali e le strutture politico economiche della nostra civiltà. La globalizzazione . . . la sanguinosa eredità di una macchina letale vecchia di 500 anni.

Nafeez Mosaddeq Ahmed è il direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Development e l’autore di “The London Bombings” (2006), “The War on Truth” (2005) [trad. it.: Guerra alla verità, Fazi editore, 2005], “Behind the War on Terror” (2003) e “The War on Freedom” (2002) [trad. it.: Guerra alla libertà, Fazi editore, 2002].

Titolo originale: “The Hidden Holocaust–Our Civilizational Crisis. Part 1: The Holocaust in History”

Fonte: http://nafeez.blogspot.com/
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25.11.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura d iPAPIROFLEXIA

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