Kit Klarenberg
thegrayzone.com
Il 1° agosto è avvenuto il più grande scambio di prigionieri tra Mosca e Washington dalla fine della Guerra Fredda. Tra i liberati il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich e l’ex marine americano Paul Whelan, che stavano scontando una condanna a 16 anni per spionaggio.
Nell’altra direzione, gli attivisti dell’opposizione russa incarcerati per aver criticato la cosiddetta “operazione militare speciale” si sono ora reinsediati nei Paesi occidentali. Tra questi c’è il politico Ilya Yashin, condannato a otto anni e mezzo nel dicembre 2022. In una conferenza stampa tenutasi a Bonn, in Germania, il 2 agosto, ha descritto come “davvero surreale” la sensazione di trovarsi accanto al “meraviglioso fiume Reno”, quando, solo una settimana prima, era in una prigione della Siberia. Ma Yashin ha affermato che il suo rilascio è stato difficile da accettare personalmente, “perché un assassino era tornato libero”.
Si riferiva al rilascio di Vadim Krasikov, un russo condannato per l’uccisione del militante ceceno di origine georgiana Zelimkhan Khangoshvili a Berlino nell’agosto 2019. Secondo quanto riferito, il Cremlino teneva particolarmente a lui. In un’intervista del febbraio 2024 con il giornalista statunitense Tucker Carlson, il presidente russo Vladimir Putin aveva proposto lo scambio di Gershkovich con un “patriota” russo, di cui non aveva fatto il nome, imprigionato in un “Paese alleato degli Stati Uniti” per aver “liquidato un bandito”.
Krasikov era quel “patriota” e Khangoshvili quel “bandito”. Nel 2004, Khangoshvili aveva guidato una letale operazione di guerriglia in cui erano stati uccisi quattro soldati russi. Krasikov era stato incaricato dallo Stato russo di giustiziare il ceceno e lo aveva ucciso in pieno giorno a Berlino, nel 2019.
Anche se, dopo lo scambio, l’agente russo è stato oggetto di un grande interesse da parte della stampa mainstream, i media hanno fatto passare sotto silenzio il background di Khangoshvili. Nella misura in cui è stato menzionato, è stato laconicamente definito come un “militante ceceno” o, più favorevolmente, come un “dissidente”. Per alcuni ideologi anti-russi, il fatto che i media occidentali non abbiano debitamente esaltato Khangoshvili ha comportato un rimprovero. Giorgi Kandelaki, ex legislatore georgiano del Movimento nazionale unito dell’ex presidente, ora in carcere, Mikheil Saakashvili, il testimonial degli Stati Uniti, era così disgustato che dovuto scrivere un post su “X” per correggere la notizia.
Kandelaki ha affermato che Khangoshvili era, in realtà, un patriota georgiano e un “agente di sicurezza” dello Stato. Inoltre, faceva “parte della cooperazione di sicurezza tra Stati Uniti e Georgia” ed era “molto rispettato dalla CIA“. Il furioso ex deputato ha suggerito che Khangoshvili “sarebbe stato assassinato in parte perché aveva servito lealmente” Tbilisi in un periodo in cui il Paese era un’effettiva colonia statunitense sotto il governo del fantoccio Saakashvili.
Tentando di trasformare Khangoshvili in eroe, Kandelaki ha messo in luce una verità scomoda, pesantemente occultata e costantemente negata: che la CIA aveva segretamente sostenuto le milizie separatiste cecene fondamentaliste nella loro lotta di guerriglia contro il dominio russo negli anni ’90 e nei primi anni 2000 e nei numerosi atti di violenza sia nei confronti dei civili che dei prigionieri di guerra.
Il rifiuto dei media occidentali di riconoscere i legami di Khangoshvili con i servizi segreti statunitensi rivela che l’insabbiamento di questa sordida storia clandestina è tuttora in corso.
L’agente ceceno aveva lavorato per diverse agenzie di spionaggio occidentali
Un rapporto del Daily Beast del settembre 2019, redatto dall’agente neoconservatore Michael Weiss, aveva fornito dettagli sull’alleanza di Khangoshvili con la CIA e sulla sua attività nella guerra cecena. Descrivendolo come “un veterano collaudato” di quei conflitti, secondo quanto riferito, Khangoshvili “godeva di un enorme rispetto” da parte dell’etnia cecena residente nella gola di Pankisi, in Georgia. Khangoshvili era anche “uno stretto confidente” di Aslan Maskhadov, presidente separatista della Cecenia, ucciso in un raid dell’FSB nel marzo 2005. Aveva anche un ottimo rapporto con le agenzie di spionaggio occidentali.
Secondo Weiss, “i funzionari dell’antiterrorismo americano non solo avevano trovato le informazioni di Khangoshvili credibili e utili“, ma avevano reclutato nuovi agenti ceceni sulla base delle sue valutazioni. Queste risorse erano state successivamente “inviate all’estero dalla CIA“. Contemporaneamente, [Khangoshvili] aveva fornito informazioni sui “membri della sua comunità natale” in Georgia. C’è anche un riferimento obliquo ai “sei anni in cui era stato una risorsa preziosa per un servizio di sicurezza europeo” e al fatto che la sua residenza a Berlino “era situata proprio di fronte al quartier generale del BND“, l’agenzia di intelligence estera tedesca.
Nel rapporto non viene menzionato che, nel giugno 2004, Khangoshvili aveva comandato l’assalto alla città inguscia di Nazran da parte di militanti ceceni. Decine di funzionari della sicurezza russa erano uccisi, compresi alcuni alti ufficiali dell’FSB. Khangoshvili era stato inserito in una lista di 19 “terroristi” ricercati che Mosca aveva condiviso con le autorità occidentali, anche se i governi destinatari e quelli ospitanti si erano rifiutati di consegnarli, suscitando le ire del Cremlino. Secondo gli investigatori tedeschi, l’omicidio di Khangoshvili era stato concepito per inviare un chiaro messaggio a quelli che fuggono dalla Russia per nascondersi all’estero.
Se l’attacco [a Nazran] fosse stato in qualche modo coordinato con la CIA, o addirittura finanziato e diretto da quest’ultima, rimane una questione aperta. Al momento, la BBC ha confermato che la gola di Pankisi, luogo natale di Khangoshvili, aveva dato rifugio ai combattenti separatisti ceceni, fungendo da centro logistico per il coordinamento degli attacchi e l’ingresso in Russia di combattenti e rifornimenti.
Nel 2002, Mosca aveva minacciato di effettuare attacchi transfrontalieri nell’area. La Georgia aveva risposto impegnandosi a ristabilire l’ordine nell’area e aveva invitato i consiglieri militari statunitensi a partecipare alla missione. Ma, come aveva riferito il giornalista Mark Ames, il vero obiettivo di Washington era quello di addestrare le forze di Tbilisi in “compiti chiave di outsourcing imperiale” e completare la trasformazione del Paese in “un franchising di punta dell’America Inc.“. Il vantaggio per la Georgia era che “la Russia non si sarebbe intromessa nei suoi affari“. Questa percezione di invincibilità aveva sicuramente incoraggiato i militanti ceceni, compresa la risorsa della CIA Khangoshvili, a continuare le loro attività.
Lo status di Khangoshvili di “stretto confidente” di Aslan Maskhadov è altrettanto sorprendente, perché anche il leader separatista ceceno aveva cercato con determinazione il sostegno della CIA per la sua jihad anti-russa. Il suo braccio destro, il militante e attivista separatista ceceno Ilyas Akhmadov, aveva rivelato che, prima di recarsi a Washington all’inizio del 2001 per incontri “di basso profilo” con funzionari statunitensi, Maskhadov gli aveva suggerito di rivolgersi a “grandi organizzazioni che hanno enormi capacità“, come la CIA, per “aiutare la causa cecena… proprio come [la CIA] aveva aiutato gli afghani contro l’invasione russa nel 1979“:
“Mashkadov credeva che la CIA, che aveva inviato aiuti a Bin Laden… avesse ancora influenza su di loro. Credendo in questo, pensava che la CIA potesse convincere varie organizzazioni musulmane all’estero a inviare aiuti finanziari“, aveva scritto Akhmadov. “Ricordo che una volta mi disse, riferendosi agli Stati Uniti: ‘Perché non mi mandano i soldi? Mi dimostrerò un partner molto affidabile‘”.
La pista del terrorismo inizia in Bosnia
Akhmadov sostiene di non aver mai incontrato rappresentanti della CIA durante la sua visita a Washington. Tuttavia, nel 2004, aveva ottenuto asilo negli Stati Uniti, nonostante la forte opposizione del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale per il suo passato di militante. L’anno successivo, la National Endowment for Democracy – un’agenzia governativa del governo statunitense che si occupa di cambi di regime – gli aveva concesso una borsa di studio. La missione di Akhmadov, finanziata con fondi federali, era “concentrare l’attenzione internazionale sulla tragedia umanitaria in Cecenia“.
Nel frattempo, diverse “organizzazioni musulmane all’estero” erano diventate oggetto di indagini penali negli Stati Uniti per aver fornito assistenza finanziaria e molto altro ai militanti ceceni, proprio come desiderava Maskhadov. Per anni, prima dell’11 settembre, l’FBI aveva monitorato da vicino le attività delle organizzazioni caritatevoli e umanitarie islamiche con sede negli Stati Uniti che, sotto copertura umanitaria, fornivano combattenti, armi e denaro a numerose “Jihad” in tutto il mondo.
Non erano stati presi provvedimenti contro queste entità, in parte perché assistevano i combattenti fondamentalisti nelle guerre per procura dirette dagli Stati Uniti in Paesi come l’Afghanistan. Dopo l’11 settembre, tuttavia, le autorità si erano mosse rapidamente per mettere fuori legge le loro attività, incriminando per terrorismo i loro fondatori e il loro personale . Tra queste, la Benevolence International Foundation (BIF). Nell’ottobre 2002, il suo direttore siro-americano Enaam Arnaout era stato accusato di “aver fornito sostegno materiale ad Al Qaeda e ad altri gruppi violenti” in Bosnia, Cecenia e altrove.
Il capo d’accusa di Arnaout dipingeva il quadro impressionante di un individuo e di un’organizzazione intimamente connessi con Bin Laden e che incoraggiava esplicitamente il “martirio”. Sembrava che [Arnaout] avesse personalmente facilitato il trasporto di rappresentanti di alto livello di Al Qaeda nei teatri di combattimento, camuffandoli da personale del BIF, e per questo rischiava 90 anni di carcere. Tuttavia, nel febbraio 2003 aveva patteggiato con i pubblici ministeri, dichiarandosi colpevole di un singolo capo d’accusa, relativamente minore, in pratica l’aver mentito agli investitori del BIF, nascondendo loro che:
“Una parte sostanziale delle donazioni ricevute dal BIF, sulla base delle dichiarazioni ingannevoli del BIF, veniva utilizzata per sostenere i combattenti all’estero“.
In cambio, Arnaout aveva ricevuto una pena detentiva di soli dieci anni. Considerando il clamore e il sensazionalismo che avevano accompagnato la sua incriminazione e la gravità delle accuse dei funzionari statunitensi, i media erano rimasti sbalorditi da questo trattamento di favore. Un editoriale del New York Sun aveva suggerito che le autorità avevano cercato di “evitare un processo rischioso” che avrebbero potuto perdere, se avessero mantenuto le accuse di terrorismo contro il capo del BIF.
Tuttavia, secondo la sentenza del tribunale, Arnaout aveva ammesso di aver fornito stivali, tende, uniformi, apparecchiature radiologiche, ambulanze, ricetrasmittenti e altre risorse specificamente per l’uso da parte di combattenti estremisti legati ad Al Qaeda. Tuttavia, ciò non aveva fatto scattare accuse di terrorismo, in quanto i funzionari statunitensi “non avevano stabilito che i beneficiari bosniaci e ceceni dell’aiuto del BIF fossero impegnati in un reato federale di terrorismo“.
Ci si chiede quindi se l’accusa di Arnaout fosse stata deliberatamente sabotata, al fine di evitare rivelazioni che avrebbero implicato la CIA nelle attività del BIF, e quindi nelle guerre bosniaca e cecene. È stato confermato che, per tutta la durata del conflitto, combattenti mujahidin di tutto il mondo erano arrivati a Sarajevo con voli ombra della CIA e avevano ricevuto ingenti carichi di armi statunitensi, in violazione dell’embargo delle Nazioni Unite. La loro presenza era stata fondamentale per lo sforzo bellico dei bosniaci.
Secondo i termini dell’Accordo di Dayton del 1995, che aveva posto fine a quel conflitto per procura, i combattenti mujaheddin avrebbero dovuto lasciare la Bosnia. Subito dopo la firma, le forze croate che combattevano nel Paese insieme a mercenari britannici e americani avevano iniziato ad assassinare i leader del gruppo per disperdere gli islamisti. Alcuni erano fuggiti in Albania con le armi fornite dagli Stati Uniti, e qui si erano uniti all’appena formato Esercito di Liberazione del Kosovo, un’altra entità sostenuta dall’Occidente e legata ad Al Qaeda, composta da estremisti religiosi.
Altri erano stati catturati con l’assistenza della CIA e deportati nei loro Paesi d’origine per essere processati per gravi reati di terrorismo. Questo era stato percepito come un grave tradimento da parte della leadership dei Mujahidin all’estero, che comprendeva Osama Bin Laden.
In un perverso colpo di scena, mentre l’espulsione dei combattenti mujahidin dalla Bosnia potrebbe aver fatto infuriare Bin Laden; un rapporto dell’antiterrorismo francese aveva successivamente concluso che questa “esfiltrazione” era stata assai vantaggiosa per Al Qaeda. I suoi combattenti erano diventati “nuovamente utili per diffondere la Jihad in altre terre“. Molti erano andati direttamente a combattere la Russia. Secondo quanto riferito, “avevano preferito andare in Cecenia, invece di dirigersi verso gli Stati europei per chiedere asilo politico“, temendo di poter essere deportati in patria e affrontare le accuse di terrorismo.
È evidente che Khangoshvili, il cosiddetto “dissidente”, non era certo il solo tra i militanti “altamente rispettati dalla CIA” che avevano combattuto contro la Russia nei conflitti ceceni.
Kit Klarenberg
Fonte: thegrayzone.com
Link: https://thegrayzone.com/2024/08/05/us-russia-prisoner-swap-cia-chechen-jihad/
05.08.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Kit Klarenberg è un giornalista investigativo che esplora il ruolo dei servizi di intelligence nel plasmare la politica e l’opinione pubblica.