L’Italia accetterà mai di diventare una potenza di mare?

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Di Jacopo D’Alessio per ComeDonChisciotte.org

1. IL CASO MATTEI

Intervenendo nel 1954 nella delicata questione di Suez, Enrico Mattei riesce a stringere degli accordi vantaggiosi sugli approvvigionamenti di energia provenienti dall’Egitto in base alla famosa formula dell’ENI che prevedeva una spartizione equa degli utili tra l’Italia e i paesi produttori di greggio al 50%, tanto da abbattere la concorrenza dei colossi petroliferi americani e britannici.

Mattei dimostrava in questo modo al mondo che, nonostante la sovranità dell’Italia fosse rimasta limitata in politica estera in seguito alla sconfitta nel 2° conflitto mondiale, la DC di De Gasperi e di Fanfani era composta da una classe dirigente capace di promuovere il nostro paese, non solo in Europa, ma anche all’interno dell’area che da sempre ci era stata più congeniale, creando cioè un’egemonia sul Mediterraneo che corrispondeva di fondo all’elaborazione di una propria visione strategico-nazionale.

2. LA RIMOZIONE DEL MARE

Diversamente, nello stato attuale, l’Italia scorge un’immagine fastidiosa nella massa d’acqua che la circonda e perfino una temibile minaccia rispetto alla quale non vorrebbe averci nulla a che fare. Non si tratta infatti soltanto di un fenomeno migratorio chiaramente esasperato, sia pure di importanza secondaria, che rende comunque il nostro paese del tutto remissivo anche in questa circostanza rispetto alle condizioni esterne.

Si allude piuttosto all’intervento militare NATO in Libia nel 2011, che nel giro di poche settimane riuscì a spazzare via tutti gli accordi diplomatici italiani faticosamente costruiti nel tempo con quella regione; all’occupazione successiva rispettivamente della Russia nella Cirenaica, e della Turchia nella Tripolitania; così come al recente acquisto dei caccia francesi da parte di un Egitto, ansioso di riarmarsi rapidamente per interferire a sua volta su quelle acque.

Infine, si fa riferimento alla progressiva e persistente penetrazione in quell’area da parte anche della Cina la quale, per mezzo di tecnologie e di infrastrutture, sta assumendo un ruolo sempre più egemonico al posto nostro. Insomma, siamo in presenza, da 10 anni, di un caos sistemico nord africano che sta tagliando fuori l’Italia dai suoi (è bene sottolinearlo) ‘naturali’ interessi geografici sia di ambito politico che commerciale.

3. SE IL NORD ITALIA E’ PARTE DEL PROBLEMA

Ora, però, l’ambizione perversa di questo fenomeno di auto-alienazione dal Mediterraneo, partorita dalla nostra classe dirigente durante una parabola lunga ben 35 anni, è stata capace di invertire completamente la causa con l’effetto, accompagnandosi infatti, dapprima, alla paradossale adesione al sistema finanziario europeo, e successivamente alla modifica del Titolo V della Costituzione.

Eppure, così facendo, si disconoscono le reali potenzialità di sviluppo del sud Italia che difatti dovrebbero essere sostenute da una massiccia politica economica di investimenti. Mentre, al posto di tali interventi, ci si limita ad elargire occasionalmente qualche elemosina, a fronte, anzi, di una puntuale sottrazione di risorse finanziarie, drenate dalle regioni meridionali verso il nord, tradizionalmente più produttivo, a causa di un assurdo commissariamento imposto loro dalla disciplina di bilancio UE, esacerbato inoltre da un iniquo federalismo fiscale. In altre parole, l’immagine che viene fuori sul Mezzogiorno finisce per corrispondere, nell’opinione pubblica, ad una pesante zavorra, in grado unicamente di frenare lo sviluppo dell’Italia, trascinato a forza da un virtuoso settentrione.

Ma le cose stanno davvero in questo modo?

A nostro avviso non si tiene conto del fatto che l’interesse particolare del lombardo-veneto, in realtà, nella sua spasmodica volontà di rendere i prezzi delle sue merci fortemente competitivi, ha preferito di gran lunga i tagli al costo del lavoro piuttosto che gli investimenti, tanto quanto la riduzione della domanda interna, per contenere il livello d’inflazione, a scapito del mercato nazionale.

Pertanto, la fiducia diffusa e popolare che ha investito questa zona di un ruolo guida risulta ad oggi piuttosto sproporzionata, nella misura in cui si attribuisce tale giudizio proprio quando la sua capacità industriale si è ridotta progressivamente a mera funzione terzista di semi-lavorati a favore dell’industria tedesca. Insomma, lontanissimo dall’essere la nostra locomotiva, le scelte politiche del lombardo-veneto hanno provocato infine una convergenza integrale della nostra economia nella logistica finanziario-produttiva della Germania, piuttosto che essere capace di svilupparne, a sua volta, una propria.

4. IL MEZZOGIORNO E’ L’AREA CHIAVE PER IL RILANCIO STRATEGICO DELL’ITALIA

Pertanto, la questione va rovesciata.

Se si vuole infatti che l’industria del nord Italia compia un autentico balzo in avanti, è necessario innanzitutto assicurarsi per i prossimi decenni fonti di energia a basso costo provenienti dai paesi produttori vicini, come accadeva negli anni ’50, ed essere in grado inoltre di proteggerli. Al contempo, occorrerà insinuarsi nelle nuove rotte commerciali anche di quei paesi arabo-africani, nostri partners naturali in una prospettiva più propriamente internazionale.

Questo affinché ci si possa rendere gradualmente più indipendenti dalle catene del valore del nord Europa e sganciarsi in parte anche dalla competizione ossessiva che domina quei paesi all’interno del loro asfittico mercato continentale, ma accettando di ricoprire invece una posizione dominante all’interno di un’area che, trattandosi appunto del “Mare nostrum”, rimarrebbe decisamente preclusa a loro.

Tuttavia, per intraprendere un sì fatto compito l’Italia, oltre a recuperare una più autentica rappresentazione di sé rispetto al suo popolo e al mondo, dovrà riconquistare anche lo spazio marittimo intorno a sé attraverso una massiccia spesa pubblica (sottratta ovviamente al “vincolo esterno” e quindi al limite percentuale del rapporto debito pubblico / PIL, scritto da Bruxelles), col fine di allestire una flotta navale che sia all’avanguardia.

Va da sé che quest’ultima dovrebbe poggiarsi su nuove e più sofisticate infrastrutture portuali, aereo-portuali, ferroviarie, auto-stradali, e di stoccaggio merci, al momento quasi del tutto assenti, le quali dovranno essere introdotte capillarmente sulle coste e l’entroterra di quelle zone interessate.

5. PERCEPIRSI COME POTENZA DI MARE

Dunque, occorre smettere di pensare alle regioni manifatturiere dedite all’esportazione come unico centro egemonico territoriale del paese, visto che, sul piano geografico, costituiscono piuttosto le appendici del nord Europa, e ripartire invece da quelle che si affacciano sul mare, situate in misura maggiore nel meridione: operazione inquadrabile solo in una rinnovata ottica di unità nazionale. Difatti, rispetto all’attuale fenomeno della globalizzazione, l’UE si presenta come una sovrastruttura regressiva e anti-storica che reprime, anziché beneficiare, le potenzialità dei singoli paesi membri.

E perciò, se l’Italia, al contrario, fosse realmente capace di ripensare se stessa all’interno del suo particolare e distinto ecosistema naturale, sarebbe perfettamente in grado di coesistere adeguatamente con il mercato mondiale da una posizione indipendente e più forte rispetto all’UE. Ma solo se appunto saprà accettare di tramutarsi in una vera e propria potenza di mare.

Di Jacopo D’Alessio per ComeDonChisciotte.org

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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