Sul Journal of Internal Medicine è stato pubblicato un interessante studio di revisione, primo autore Nils Bömer, del Dipartimento di cardiologia presso il Centro medico universitario di Groningen, Paesi Bassi. Secondo i ricercatori ci sono prove sufficienti a sostegno del fatto che la carenza dei micronutrienti rame, selenio, ferro, zinco e coenzima Q10 sia una componente importante nell’insufficienza cardiaca. E scrivono che l’integrazione con tali micronutrienti, preferibilmente come pacchetto piuttosto che singolarmente, potrebbe essere una potenziale strategia terapeutica nel trattamento dei pazienti con insufficienza cardiaca.
“È ormai nota da anni l’esistenza di una correlazione tra peggioramento della gittata cardiaca, riduzione della fosforilazione ossidativa mitocondriale ed eccessiva produzione di radicali ossidrilici. Eventi che, presi assieme, contribuiscono all’esaurimento dell’adenosina trifosfato (ATP) a livello cardiaco con relativa riduzione delle scorte energetiche del tessuto miocardico” dichiarano gli autori, precisando che i micronutrienti tra cui il coenzima Q10, lo zinco, il rame, il selenio e il ferro sono parte del processo di sintesi dell’ATP, e che fino a metà dei pazienti con insufficienza cardiaca ne è carente. “Carenza che ha un forte impatto sulla produzione energetica dei mitocondri, e che dovrebbe essere considerata un fattore aggiuntivo nella genesi dell’insufficienza cardiaca, peggiorata in modo significativo dalla riduzione della capacità bioenergetica” sottolineaa Bömer, spiegando che il miocardio in difetto di energia potrebbe essere paragonabile a un motore senza carburante. E che l’aumento della fornitura di substrati energetici, come acidi grassi, glucosio e chetoni ai mitocondri non serve se i mitocondri non possono a trasformarli in carburante, ossia in ATP, a causa della carenza di uno o più micronutrienti.
DOMANDA: se l’integrazione di micronutrienti potrebbe rappresentare un trattamento efficace nell’insufficienza cardiaca, perché le linee guida per l’insufficienza cardiaca non raccomandano formalmente l’integrazione di micronutrienti (ad eccezione del ferro)?
La risposta è che non ci sono ampie prove sperimentali che affrontino il beneficio dell’integrazione di micronutrienti. E non ci sono perché nessuno è disposto a finanziare gli studi, La natura stessa dei micronutrienti è infatti un problema negli attuali sistemi sanitari in quanto non rientrano nella categoria dei “farmaci”, ma piuttosto nella categoria degli “integratori alimentari”. Questo rappresenta una barriera per qualsiasi schema di rimborso sia negli Stati Uniti che in Europa. Inoltre nessun brevetto può essere rilasciato sui micronutrienti, il che scoraggia ulteriormente l’industria a finanziare tale sperimentazione.
Purtroppo funziona così in un mondo in cui le soluzioni semplici sono sempre, “stranamente”, difficili da mettere in pratica. E’ sempre una questione di volontà e di scelte. E anche gli Stati e i Governi scelgono su cosa investire denaro.
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VB