DI CHALMERS JOHNSON
Mother Jones
Imperialismo: significa che nazioni militarmente più forti dominano e sfruttano le più deboli, è stato un disegno prominente del sistema internazionale per secoli, ma forse sta arrivando alla sua fine. La stragrande maggioranza di persone in numerosi paesi oggi lo condannano – con la possibile eccezione di alcuni osservatori che credono possa promuovere la stabilità e alcuni politici statunitensi che ancora dibattono vigorosamente i pro e i contro della continua egemonia Americana su gran parte del globo.
Il corrente declino dell’imperialismo Americano è cominciato nel 1991 con la disintegrazione dell’Unione Sovietica e il collasso del suo impero. Gli Stati Uniti sembrano ora essere gli ultimi di una specie morente. L’unico impero multinazionale rimasto. (Ci sono solo poche vestigia del vecchio impero Olandese, Inglese e Francese, principalmente qualche isola e enclave nei Caraibi o nei pressi). Come appurato nelle guerre in Iraq e Afghanistan, gli Stati Uniti sono sempre più obbligati a mantenere il proprio impero attraverso l’uso della forza militare. C’è aria di cambiamento.
Secondo il “Base Structure Report” del Pentagono – l’inventario annuale delle proprietà e delle strutture in affitto delle forze armate – nel 2008 gli Stati Uniti usufruiscono di 761 “siti militari” in paesi stranieri. (Questo il termine preferito dal Dipartimento della Difesa, invece che basi come di fatto sono). Contando anche le basi militari sul territorio USA arriviamo a un totale di 5.429. Le stime all’estero fluttuano di anno in anno. Il totale 2008 scende dalle 823 del 2007 che saliva dalle 766 del 2006. Il totale attuale rimane comunque sostanzialmente meno di quello del picco di 1014 durante la guerra fredda nel 1967. In ogni caso se si considera che ci sono solo 192 paesi nelle Nazioni Unite, 761 basi militari all’estero sono un notevole esempio di espansionismo imperialista – anche di più se si considera che i comunicati ufficiali militari sottostimano la situazione reale. (Le stime ufficiali omettono le basi di spionaggio, quelle nelle zone di guerra, incluse in Iraq e Afghanistan, e strutture di entità mista collocate in zone considerate troppo sensibili da discutere o che il Pentagono per le sue più svariate ragioni sceglie di escludere – es. Israele, Kosovo o Giordania).
“La caratteristica del potere USA all’estero non è di stampo coloniale, o dominio indiretto nello schema tipico del controllo coloniale, ma bensì un sistema di stati satellite -o obbedienti-”, come osserva Eric Hobsbawm, lo storico di “imperi moderni” britannico. In questo senso l’America si comporta più come l’impero Sovietico in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale che come l’impero Britannico o Francese nel XIX secolo.
Per fortificare il proprio impero, lo scorso dicembre, gli Stati Uniti avevano un personale di 510.927 unità (compresi marinai imbarcati) distribuiti in 151 paesi stranieri. Questo compresi 196.600 combattenti in Iraq e 25.700 in Afghanistan.
L’allargamento dell’espansione Americana ha avuto una certa rapidità appena dopo la Seconda Guerra Mondiale e la tregua in Corea, quando ottenemmo le nostre enclavi più grandi all’estero nei paesi che uscirono sconfitti dal conflitto, Germania, Italia e Giappone o nei terreni alleati di Gran Bretagna e Corea del Sud. Pur avendo origine in periodi di guerra, queste basi non hanno nulla a che vedere con la sicurezza nazionale. Gli Stati Uniti non avrebbero necessariamente bisogno di dispiegare forze all’estero per impegnarsi in azioni offensive o difensive, le basi domestiche sono più che sufficienti a questo scopo. L’Air Force può tranquillamente dispiegare truppe ed equipaggiamenti o lanciare bombardieri dalle basi continentali usando rifornimenti aerei, strategia in pratica usata fin dal 1951. Solo con la guerra fredda inoltrata il Comando Strategico della Air Force decise di allargarsi con molte basi all’estero in paesi come il Canada, l’Inghilterra, Groenlandia, Giappone, Oman, Spagna e Tailandia per contrastare la strategia di ritorsione Sovietica.
Inoltre abbiamo una consistente flotta di sottomarini strategici, armati sia di missili nucleari che di missili balistici, oltre a 10 flotte navali con portaerei corredate di bombardieri armati di missili nucleari. Con queste “basi galleggianti” che dominano i mari non avremmo bisogno di interferire sulla sovranità delle nazioni forzandole con basi militari sul proprio territorio.
Infatti lo scopo delle nostre basi all’estero è quello di mantenere il dominio USA sul mondo, rinforzare quello che l’analista Charles Maier chiama il “nostro impero del consumo”. Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale ma consumano circa un quarto di tutte le risorse globali, compreso il petrolio. Il nostro impero esiste così da poter sfruttare una parte molto più cospicua di risorse di quello che ci spetta, e impedire che le altre nazioni si uniscano contro di noi per prendersi ciò che spetta loro.
Alcune nazioni hanno comunque cominciato ad ostacolare la presenza militare Americana. Grazie all’amministrazione Bush degli ultimi 8 anni, una sempre più crescente maggioranza di persone in numerosi paesi sono fortemente anti-americane. Nel giugno del 2008, un comitato della “House of Foreign Affairs” ha rilasciato un comunicato dal titolo: Il declino della reputazione dell’America: Perchè? Esso biasima la caduta dell’approvazione all’estero sulla guerra in Iraq, il nostro supporto a governi repressivi, la percezione di una distorsione USA nei confronti della guerra tra Israeliani e Palestinesi, e la tortura e l’abuso dei prigionieri da parte dell’esercito. Il risultato è stato un sempre maggior numero di movimenti di protesta contro la presenza di truppe Statunitensi e delle loro famiglie, di mercenari e spie.
La più seria erosione del potere Americano sembra essersi verificata in America Latina, dove la maggioranza dei paesi o ci detestano vivamente – Venezuela, Bolivia, Ecuador e Cuba – o sono comunque ostili alla nostra politica economica. La maggior parte hanno perso la fiducia nel momento in cui si diffuse la certezza che gli USA erano dietro a parecchi fatti accaduti – scomparse, torture, squadre di morte, azioni militari, uccisioni di massa contro lavoratori, contadini e intellettuali in paesi come l’Argentina, Brasile, Cile, Guatemala, Nicaragua, Panama e Uruguay. I cittadini del Paraguay sembrano essersi convertiti ultimamente all’antiamericanismo grazie all’ipotesi che gli USA stiano cercando di instaurare una presenza militare da quelle parti. Gli unici posti dove le truppe Americane sono, più o meno, tollerate sono: Colombia, El Salvador, Honduras, e provvisoriamente, Perù e qualche altra colonia europea nei Caraibi.
Nell’Ecuador il principale campo di battaglia è stato Eloy Alfaro Air Base, posto vicino a Manta, il porto più importante dell’Ecuador della sponda del pacifico. Nel 1999 affermando di essere interessati solo a interrompere il traffico di narcotici e dare assistenza locale, gli USA sono riusciti ad ottenere un contratto di 10 anni per l’uso di un campo di aviazione che, dopo l’11 settembre, si è trasformato in uno dei maggiori perni per la repressione, attività contro immigrati e spionaggio. Gli Ecuadoriani sono convinti che la base di Manta mise a disposizione “l’intelligence” che rese possibile l’attacco lanciato al confine dalle forze colombiane nel marzo 2008 che uccise 21 ribelli Colombiani in Ecuador.
Nel 2006 l’appena eletto presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha dichiarato che non rinnoverà il
contratto quando scadrà nel 2009 a meno che, ha sarcasticamente proposto, gli USA non ci permettano
di costruire una base a Miami. Correa ha già offerto la base alla Cina per scopi commerciali. L’Ecuador ha
inoltre rifiutato una offerta di appalto per una base nell’isola di Baltra nelle Galapagos. I 180 soldati
americani e svariate centinaia di contractor (secondo il New York Times) sembrano in cerca di nuova casa
in Colombia o Perù.
Il Perù si è dimostrato problematico per il Pentagono. Nel Luglio del 2008 gli USA hanno inviato quasi 1.000 soldati a “scavare pozzi e dare aiuti umanitari” nella regione sud dello Ayacucho, un’area una volta controllata dai guerriglieri. Il dispiegamento americano che sembrava innocuo ha provocato dimostrazioni in parecchie città Peruviane dove queste missioni di “amicizia” sono viste come un pretesto per allargare la presenza militare americana. Esiste un campo aereo in Avacucho, Los Cabitos, che gli americani vorrebbero occupare in quanto fornirebbe un facile accesso a Bolivia e Colombia. Alla fine di Luglio il Ministero della Difesa Colombiano ha fatto capire che il paese non accoglierà volentieri una base militare americana anche se continuerà a cooperare con gli sforzi americani nella regione.
Gli USA affrontano numerose proteste popolari in altri paesi. Controversie sull’inquinamento provocato dai militari e la manipolazione dei processi di soldati accusati di crimine hanno portato a un assai diffuso risentimento nei confronti della presenza di truppe USA nel Sud Corea e nella prefettura di Okinawa in Giappone. Mentre in Italia, dove gli USA hanno ancora 83 installazioni militari, dimostrazioni da parte dei cittadini sono scoppiate nel 2006 in seguito alla notizia che il governo avrebbe permesso agli USA un grande allargamento della base di Vicenza.
Una città di circa 120.000 abitanti situata a metà strada tra Venezia e Verona, Vicenza è la città natale del famoso architetto del rinascimento Andrea Palladio. In questa città sono già presenti 6.000 soldati americani, quando nel 2003, ufficiali USA cominciarono a negoziare segretamente lo spostamento di 4 ulteriori battaglioni provenienti dalla Germania. Gli americani proposero la chiusura del piccolo aeroporto Dal Molin in modo tale da poter ampliare la base per poter ospitare altri 1.750 soldati.
Ma i Veneti non hanno ancora dimenticato l’incidente avvenuto nel 1998 quando un aereo della US Marine della base di Aviano ha tranciato i cavi di una funivia provocando la morte di 20 persone che stavano sciando nella zona. Il pilota che volava irregolarmente troppo basso, più basso dei regolamenti del Pentagono, fu poi assolto dalla corte Marziale Americana. L’opposizione dei Vicentini alla costruzione della base ha costretto i giudici a sospendere i lavori a Dal Molin in giugno, fino ad arrivare a un confronto col governo Berlusconi che sostiene l’allargamento della base. Un mese più tardi il COnsiglio di Stato ha dichiarato che “la decisione per l’autorizzazione di una base militare è di unica competenza dello stato”, rovesciando così la decisione del tribunale locale.
Dispute simili si stanno evidenziando in Polonia, Repubblica Ceca, Sud Corea e Giappone. Per svariati anni il Pentagono ha negoziato coi governi Polacco e Ceco la costruzione di basi militari nei loro territori per l’intercettazioni di missili e rampe di lancio per il completamento del progetto anti-missile intercontinentale meglio conosciuto come “scudo spaziale” per l’asserita minaccia Iraniana. La Russia d’altro canto non accetta la spiegazione USA e crede che si tratti di un assedio del proprio territorio. In luglio Condoleeza Rice ha concluso con successo un trattato di difesa missilistica con la Repubblica Ceca anche se ancora necessita di una ratifica del governo. Con due terzi della popolazione apparentemente contraria. Mentre il governo Polacco era lento a firmare, dopo la recente guerra in Georgia il governo ha rapidamente cambiato atteggiamento. Alla luce del comportamento deciso dei russi, i polacchi hanno accettato la proposta americana di posizionare missili sul loro territorio. Resta da vedere se questo rafforzerà l’impegno militare con la Polonia o servirà solo a incendiare ulteriormente le relazioni Russe con la NATO.
Nel Sud Corea l’America deve affrontare massicce proteste contro l’intenzione di costruire nuove basi a Pyeongtaek, a 60 chilometri da Seul, dove spera di collocare 17.000 soldati e civili per un totale di 43000 persone. Pyeongtaek rimpiazzerebbe Yongsan Garrison il vecchio Quartiere Generale occupato fin dal dopoguerra.
Nel frattempo USA e Giappone sono bloccati da una perenne disputa sui 1,86 miliardi di dollari che il Giappone deve pagare annualmente per il mantenimento delle truppe USA e dei loro familiari disseminati sulle isole e a Okinawa. I Giapponesi lo chiamano il “budget di simpatia”, un’espressione alquanto cinica sul fatto che gli americani sembrano non potersi permettere la loro politica estera. Gli USA vorrebbero che il Giappone pagasse di più, ma i Giapponesi esitano a farlo.
Tutte le basi Americane all’estero creano tensione alle persone obbligate a conviverci ma uno dei più vergognosi esempi è quello dell’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano. Durante gli anni sessanta gli USA “presero in affitto” l’isola dalla Gran Bretagna, la quale, per conto dei nuovi inquilini, ha vigorosamente espulso l’intera popolazione, ricollocandola a 1.200 miglia di distanza nelle Mauritius e Seychelles.
Oggi l’isola Diego Garcia è una base navale USA nonché centro di spionaggio e reclusione della CIA, stazione di transito per prigionieri di strada per Guantanamo Bay e altrove. Ha un porto dove possono ancorare 20 navi, deposito per armi nucleari e campi di accoglienza per 5.200 militari. Secondo varie fonti, compreso il generale in pensione Barry McCaffrey, la base fu usata dopo il 9/11 come prigione per detenuti di “alto livello” dall’Afghanistan e dall’Iraq. Viene chiamata Camp Justice [“Campo di Giustizia”].
Forse i più recenti segnali di dissenso sulle basi Americane disseminate per il mondo è la condanna da parte dei vari governi alle ambizioni in Iraq. In giugno è stato rivelato che gli USA stavano segretamente facendo pressione sull’Iraq per poter mantenere 58 basi a tempo indeterminato sul suolo Iracheno, più altre concessioni che ne avrebbero fatto un dominio Americano a tempo indefinito. Le negoziazioni per una presenza a lungo termine in Iraq sono una sconfitta per la giustizia e la reputazione Americana anche se alla fine il governo Bush si tirerà indietro.
Come in tutti gli imperi del passato, la versione Americana è destinata ad arrivare ad una fine, volontaria o necessaria che sia. Quando succederà è impossibile da determinare, ma la pressione del massiccio debito pubblico Americano, la crescente contraddizione tra i bisogni dell’economia civile e il complesso industriale militare, la dipendenza dai militari volontari e dalle numerose truppe “a pagamento” sono indici di un impero costruito su fragili fondamenta. Nei prossimi anni la resistenza all’espansione militare Americana è destinata ad aumentare, questo significa che l’agenda dei problemi politici sarà piena di questioni riguardanti la disgregazione imperiale, più o meno pacifica.
Titolo originale: “America’s Unwelcome Advances “
Fonte: http://www.motherjones.com
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22.08.2008
Scelto e tradotto da IVAN BALLARIN per www.comedonchisciotte.org