L’incoerenza ontologica dell’eccezionalismo americano

Il Gingoismo, anche se con un altro nome, puzza sempre allo stesso modo

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William Schryver
imetatronink.substack.com

Secondo il Merriam-Webster, il Gingoismo (o sciovinismo) aveva avuto origine durante la guerra russo-turca del 1877-1878, quando molti cittadini britannici erano ostili alla Russia e ritenevano che la Gran Bretagna dovesse intervenire nel conflitto. I sostenitori della causa avevano espresso i loro sentimenti in una canzoncina da music-hall con questo ritornello:

We don’t want to fight, yet by jingo if we do,
We’ve got the ships, we’ve got the men,
We’ve got the money, too!
[Non vogliamo combattere, ma perbacco se lo facciamo,
Abbiamo le navi, abbiamo gli uomini,
Abbiamo anche i soldi!]

Chi ha un atteggiamento come descritto nella canzone è poi diventato noto come Gingoista, e l’atteggiamento stesso è stato soprannominato Gingoismo.

La causa persa

Questa dovrebbe essere una recensione critica del recente saggio di Arta Moeini pubblicato su UnHerd: L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina? Tuttavia, il suo ambito si estende ben oltre le pervasive fallacie di Moeini affrontate dalla mia critica.

L’articolo di Moeini emerge dal contesto delle ultime settimane, durante le quali abbiamo osservato una decisa svolta retorica nelle narrazioni popolari occidentali riguardanti la guerra NATO/Russia in Ucraina.

La “causa persa” è nell’aria. Molti di coloro che in privato sapevano da un po’ di tempo che le cose stavano così si sono finalmente sentiti sufficientemente incoraggiati ad abbracciare pubblicamente l’ovvio – anche se con riluttanza, e spesso con una buona dose di razionalizzazione e di persistente disinformazione al seguito.

Per essere chiari, ho trovato il saggio di Moeini una lettura utile, che fa riflettere a più livelli, anche se non, come credo, secondo le intenzioni dell’autore. E sono più o meno d’accordo con la maggior parte delle sue osservazioni sulla situazione attuale.

Ma, come aveva ben notato il poeta, “non c’è bisogno di un meteorologo per sapere da che parte soffia il vento” [Bob Dylan – Subterranean Homesick Blues N.D.T].

E non serve nemmeno un aspirante “esperto” di geopolitica di un think tank per sapere, in questo momento, che il piano di usare l’Ucraina come bombardiere kamikaze per ferire mortalmente la Russia è abissalmente fallito in ogni aspetto geostrategico fondamentale.

Anzi, si è ritorto contro in molteplici modi, largamente imprevisti ed ora irreversibili.

Ne parlerò ancora più avanti.

Nel frattempo, affronterò le argomentazioni dell’autore, fallaci soprattutto a causa di quella che sembra una coercizione imposta a ribadire l’ortodossia eccezionalista americana.

Naturalmente, Moeini vive e respira nell’atmosfera stordente del miasma ideologico della Washington Beltway. Le sue aspirazioni di carriera sono senza dubbio influenzate dall’ambiente in cui vive, e quindi non sorprende che sia così cedevole agli imperativi dominanti dell’ambiente.

Immagina di fare una critica alle carenze di quella che viene talvolta definita la Scuola di Chicago del realismo geopolitico, caratterizzata dalle opere di John Mearsheimer. In realtà, si limita a criticare una serie di fallacie logiche e ad abbracciarne altre, apparentemente più attraenti:

Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale, che prenda sul serio le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione in grado di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio “senso del sé.”

L’incoerenza di un appello al “realismo radicale” per affrontare le “dimensioni ontologiche della sicurezza” e “superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate” sfugge chiaramente al nostro giovane autore, concentrato come sembra sulla rilevanza geopolitica del “senso de sé.”

Detto questo, ci si potrebbe aspettare che una mente coltivata dall’attuale generazione di accademici imperiali sia restia a mettere in discussione i loro catechismi, primo fra tutti la convinzione che la “nazione indispensabile” sia l’unico Paese sovrano in grado di definire i parametri di un “ordine internazionale basato su regole” e, in virtù della sua irreprensibile percezione di sé, di condurre il pianeta verso un destino glorioso.

Moeini prosegue così:

In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale,” l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando i diktat della Russia sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Era una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

Questa è una distorsione di ciò che è realmente accaduto in Ucraina nel corso dell’ultimo quarto di secolo.

L’Ucraina

L’intrinsecamente disarmonico stato nazione, a cui sulle carte geografiche dell’Europa viene attualmente assegnato il toponimo “Ucraina,” è incontrovertibilmente una costruzione artificiale di origine relativamente recente. I fatti socio-politici e culturali alla base di questa realtà erano stati abilmente sfruttati dai Tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, quando i nazisti avevano reclutato con successo un gran numero di abitanti della zona occidentale (principalmente dalla Galizia) per la loro guerra di annientamento contro i Polacchi, gli Ebrei e i “Moscoviti,” più numerosi e prosperi, che abitavano le regioni agricole fertili e sostanzialmente industrializzate della Novorossija storica.

Questa era la società all’interno della regione geografica nota come Ucraina che, a partire dall’immediato dopoguerra, era poi stata sistematicamente coltivata dall’egemone occidentale anglo-americano come forza dirompente per minare il potere e l’influenza sovietica nell’Europa orientale.

E, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, che aveva determinato l’ascesa dell’Impero globale americano, questa stessa polarità era stata metodicamente preparata per far diventare l’Ucraina un proxy usa e getta per i disegni imperiali, volti esplicitamente a smembrare la Russia e a depredare i suoi tesori quasi illimitati di risorse naturali.

Qualsiasi argomentazione volta a contestare questa interpretazione degli eventi è palesemente errata, logicamente fallace e storicamente revisionista – ma accantonerò questo dibattito per un altro giorno.

Per il momento, il punto è che definire, come fa Moeini, tutto ciò che è accaduto fin dal 2014 come l’esercizio da parte dell’Ucraina di un proprio potere per attuare una strategia geopolitica contro la Russia è un tortuoso travisamento dei fatti.

La realtà è che la giunta che governa l’Ucraina – portata al potere da intrighi imperiali – è stata astutamente sedotta fino a farle credere di essere l’unica in grado di diventare la punta di lancia dell’Impero per far fuori, una volta per tutte, i subumani “Moscoviti” che hanno a lungo dominato la riva sinistra del fiume Dnieper, la Crimea e le regioni che si affacciano sul Mar Nero.

Moeini arriva quasi a riconoscere questa realtà – apparentemente senza però coglierne le necessarie implicazioni:

Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciare le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale.

Correre con il diavolo

Quello che Moeini descrive è un rapporto egemone/vassallo in cui l’Impero definisce, misura e impone il quid e il quo di ogni transazione tra le parti.

Nel caso dell’Ucraina, questo patto con il diavolo prevedeva che l’Impero si impegnasse ad equipaggiare e addestrare una forza militare che sarebbe diventata l’avanguardia di un’audace manovra volta non solo a reclamare all’Ucraina la Novorossija e la Crimea, ma anche a ridurre sostanzialmente la capacità militare russa, umiliare e deporre il disprezzato Vladimir Putin e poi, come giusta ricompensa, mettere l’Ucraina al giusto posto che avrebbe meritato tra le grandi nazioni d’Europa e del mondo.

Per così dire, gli emissari dell’Impero avevano portato i loro prescelti aspiranti ucraini sulla cima di una montagna altissima, avevano mostrato loro tutti i regni del mondo e la loro gloria giurando solennemente: “tutte queste cose ve le daremo, se vi prostrerete e ci adorerete.”

E, senza esitare, gli Ucraini creduloni avevano risposto: “Diavolo, sì! Certo che accettiamo questo accordo!”

Attirati da insincere lusinghe e dall’immaginaria bontà del premio promesso, si erano inginocchiati adoranti per baciare l’anello, ciechi di fronte all’ineluttabile realtà che quanto promesso andava oltre le loro possibilità.

Infatti, come afferma Moeini:

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava effettivamente che Kiev non avrebbe mai potuto raggiungerlo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti, Polonia e Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di convincere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) ad intervenire militarmente a loro favore.

In questo paragrafo ci viene mostrata un’evidente tautologia, seguita dal primo, inequivocabile esempio dell’errore di calcolo fondamentale di Moeini – e tuttavia non solo suo, visto è stato anche l’errore di calcolo fondamentale del vangelo eccezionalista fin dalla sua genesi: il nostro doveroso autore caratterizza la Russia come una “media potenza.”

Qui sta la chiave dell’intera fallacia eccezionalista.

Approfondirò questa riflessione più avanti.

L’oggetto inamovibile

Nel frattempo, Moeini continua (grassetto aggiunto):

Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipenderebbe ora dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation.

Perché è nell’interesse di Kiev indirizzare la Nato verso un maggiore coinvolgimento nella guerra.

La premessa essenziale di entrambe le frasi è falsa – assurdamente falsa. Se l’autore non sta dissimulando, allora è tragicamente disinformato sulla realtà degli eventi così come si sono svolti.

L’Ucraina non è un attore principale in questo film. Sta solo recitando una parte da comparsa.

Questa è ed è sempre stata una lotta di potere tra l’attuale iterazione dell’Impero occidentale e la sua nemesi preferita: la Russia. Questo è il contesto in cui si svolge che e definisce i termini in cui si deciderà.

L'”escalation” è sempre stata un parametro essenziale del calcolo dell’Impero. La dissoluzione e la vassallizzazione della Russia continentale non ha mai cessato di essere la direttiva principale. I sovrani imperiali non solo hanno semplicemente ignorato il fatto che i Russi possiedono la supremazia nell’escalation. Hanno anche erroneamente immaginato di essere una forza irresistibile e hanno ignorato l’evidenza storica che la Russia è l’oggetto inamovibile.

Questa realtà sempre più evidente ha ora bruscamente fatto passare la sbornia ai signori occidentali della guerra e li ha costretti a rivalutare l’intera equazione del conflitto.

Moeini continua:

… L’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La questione ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in quella guerra e mettere a repentaglio il destino del mondo intero.

Ciò che Moeini apparentemente non riesce a comprendere è che l’Impero è già intrappolato – precariamente sospeso tra gli Scilla e Cariddi di una violenza da terra bruciata o di una umiliante ritirata che manderebbe per sempre in frantumi il mito della supremazia militare americana e accelererebbe notevolmente la transizione verso la norma storica di un mondo multipolare.

Eppure persiste:

Nella concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, c’è poco da guadagnare per l’America e l’Europa occidentale e, certamente, nessun interesse nazionale o strategico genuino nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti.

<sigh>

Sono costretto a ripetere che questa non è “essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti.”

L’Ucraina non è un attore principale in questo film. Sta solo recitando la parte della comparsa.

Questa è ed è sempre stata una lotta di potere tra l’attuale iterazione dell’Impero occidentale e la sua nemesi preferita: la Russia. Questo è il contesto in cui si svolge e che definisce i termini in cui si deciderà.

Tuttavia, nel paragrafo successivo Moeini riesce ad affermare indirettamente questa prospettiva – anche se, ancora una volta, inquadra la questione nella mistificante ingenuità del suo costrutto “ontologico”:

Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito pesantemente nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa che sarebbe incentrata su Russia e Germania, piuttosto che sugli Stati Uniti.

In altre parole, riconosce francamente che questa guerra riguarda, alla base, la conservazione dello status quo unipolare – o, per dirla con i termini che ho usato per molti mesi, questa guerra è una lotta esistenziale tra la sovranità russa e la continuità imperiale americana.

Prima di approfondire questo punto, vorrei fare una breve digressione sul termine ontologico..

Moeini, nel suo articolo, impiega ripetutamente il termine “ontologico.” Ontologico si riferisce ad una valutazione metafisica della natura e del significato dell’essere. Si riferisce al senso di identità di una persona. È astratto all’estremo, intrinsecamente soggettivo e quindi suscettibile di una marcata volatilità.

Esistenziale, invece, è un termine che si riferisce alla permanenza fisica nel tempo e nello spazio. È la vita ridotta alla sua essenza. Sebbene possa essere utilizzato in senso astratto, è fondamentalmente concreto e viene istintivamente percepito come una qualità oggettiva, soprattutto quando si è minacciati di annientamento.

Tornando ancora una volta all’inquadramento di Moeini della politica estera anglo-americana all’interno di un costrutto ontologico, riconosco in pieno le presunte prerogative associate alle varie e vanagloriose narrazioni imperiali:

– “la città splendente su una collina”

– “la nazione indispensabile”

– “la diffusione della libertà e della democrazia”

– “il campione degli oppressi”

– eccetera

L’ingannevole facciata dell’eccezionalismo americano

Naturalmente, tutte queste espressioni sono variazioni del più antico tema occidentale del “fardello dell’uomo bianco.” E tutte sono fondamentalmente scioviniste. Più significativamente, sono tutte qualità illusorie dell’Impero, la cui sfrenata avarizia imperiale e ipocrisia morale sono sempre state ostacoli insormontabili alle sue pretese di superiorità morale.

In ogni caso, per quanto riguarda la politica estera imperiale, sostengo fermamente che queste pretese ontologiche non sono mai state altro che un un calcolo di facciata. I padroni imperiali non desiderano veramente diffondere rettitudine e prosperità nel mondo. Come in tutti gli imperi in declino che lo hanno preceduto, l’élite imperiale aspira al dominio come fine in sé. È l’autocompiacimento di una supremazia indiscussa la fonte ultima di tutte le loro azioni – almeno finché l’apporto di tributi e saccheggi rimarrà adeguatamente intatto.

Pertanto, nel contesto di una “architettura di sicurezza collettiva” in Europa, non è stata la presunta minaccia di un dispotico espansionismo russo a motivare le azioni imperiali, ma piuttosto il pericolo che gli stessi Europei accettassero [con la Russia] un accordo di sicurezza multilaterale reciprocamente soddisfacente, per poi chiedere con fermezza che gli Americani prendessero finalmente tutti i loro giocattoli militari e se ne tornassero a casa.

È sempre più evidente che l’Impero preferirebbe governare sulle ceneri e sulle macerie dell’Europa piuttosto che permettere alle nazioni che la compongono di reclamare la propria sovranità alle proprie condizioni e per propria volontà.

Regnare vale l’ambizione, anche se all’inferno:

Meglio regnare all’inferno, che servire in paradiso. [*]

Moeini osserva giustamente che, negli ultimi anni, la preoccupazione più forte dell’Impero era stata la discreta avanzata della riconciliazione e della collaborazione economica russo-tedesca. Da oltre un secolo, questa prospettiva è sempre stata intesa come la più grande minaccia al dominio anglo-americano sul mondo occidentale, e quindi come uno sviluppo che doveva essere arrestato prima che potesse prendere slancio.

L’autore descrive poi con precisione lo stratagemma dell’Impero per stroncare sul nascere la partnership russo-tedesca:

… l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi con il blocco Intermarium dei Paesi che vanno dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente [e infine facendoli saltare in aria, N.D.T]) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa per un’Ucraina neutrale.

L’ingenuità storica e la scarsa lungimiranza di questa macchinazione imperiale sono argomento di un’altra discussione. Per ora è sufficiente dire che tradisce un’abissale ignoranza delle frizioni secolari e dei precari allineamenti delle varie nazioni slave che compongono la regione in questione.

Come aveva profeticamente scritto Fëdor Dostoevskij durante la guerra russo-turca del 1877-1878, dove si cercava il predominio nella parte meridionale dell’Intermarium:

Tra di loro, queste terre litigheranno per sempre, si invidieranno per sempre e complotteranno l’una contro l’altra.

In ogni caso, l’Impero era riuscito a convincere la maggior parte dei Paesi dell’Intermarium a cercare la propria identità insieme al resto dei vassalli dell’Europa occidentale – con la Polonia, l’Ucraina e i chihuahua del Baltico i più fanatici di fronte all’immaginaria bonanza.

Pur essendo apparentemente cieco di fronte all’inevitabile calamità per il regime di Kiev, Moeini tocca obliquamente la cinica realtà di come l’Impero avesse progettato di sfruttare l’Ucraina per promuovere i propri obiettivi egemonici:

In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi,” com’era diventata la NATO con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros [**] occidentale per la Russia, impantanare Mosca indebolendo il suo potere e la sua influenza regionale e persino incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Ancora una volta, Moeini rivela inavvertitamente la sua inclinazione verso le illusioni dei politici occidentali in relazione al loro mal concepito gioco della madre di tutti gli eserciti per procura in Ucraina. Piuttosto però che dare una nuova risposta a questo riferimento ai “piani meglio congegnati” dei non proprio geni del Pentagono, di Whitehall, di Langley e di Foggy Bottom, citerò alcuni paragrafi del mio primo commento su questa guerra:

Inizialmente credevo che i leader militari della NATO avessero avuto, con largo anticipo, una visione sobria del fatto che il loro esercito ucraino per procura, forte di mezzo milione di uomini, ben armato e addestrato secondo gli standard NATO, non avesse quasi nessuna possibilità di prevalere sul campo di battaglia contro la Russia.

Ma, guardando i video dai droni delle fortificazioni ucraine mi sono convinto che, nel corso degli otto anni di preparazione del campo di battaglia dell’Ucraina orientale, i pianificatori militari statunitensi avevano, a tutti gli effetti, disprezzato l’esercito russo e i suoi comandanti.

La loro vanità li aveva convinti che i Russi si sarebbero lanciati a testa bassa contro una forza trincerata e ben armata.

In effetti, erano così sicuri della genialità del loro piano che avevano incoraggiato in modo persuasivo molte centinaia di veterani della NATO, ora uccisi o catturati, a “condividere la gloria” di umiliare i Russi e far cadere il regime di Putin, una volta per tutte.

Si erano illusi che i Russi non avessero acume strategico e logistico, una forza sufficientemente addestrata e – probabilmente il più grande errore di calcolo di tutti – scorte sufficienti di munizioni per condurre un conflitto prolungato ad alta intensità.

In breve, sono giunto a credere che i comandanti degli Stati Uniti e della NATO si fossero effettivamente convinti che questa “madre di tutti gli eserciti per procura” avesse un’eccellente possibilità di battere sonoramente i Russi in una battaglia proprio nel loro cortile di casa.

In altre parole, avevano ignorato secoli di storia europea, talmente convinti che non avessero alcuna rilevanza per le loro aspirazioni del XXI secolo di sconfiggere militarmente la Russia e di appropriarsi di un grande bottino di risorse.

Da Napoleone a Hitler fino all’amorfa entità contemporanea che ho soprannominato il culto dell’Impero a tutti i costi, gli aspiranti signori imperiali hanno immaginato una Russia intellettualmente, organizzativamente, culturalmente e, soprattutto, militarmente inferiore ai suoi illuminati cugini occidentali. E, in tutti i casi, questo si è dimostrato un catastrofico errore di calcolo.

Eppure eccoci di nuovo qui.

<sigh>.

L’inspiegabile e imprevisto ritorno della guerra industriale

Moeini procede poi a rimuginare in modo tendenzioso sulle possibilità dell’Impero di trovare comunque un modo per strappare la vittoria dalle fauci inesorabili della sconfitta.

Per prima cosa immagina che le continue forniture di armi occidentali all’Ucraina possano congelare il conflitto in uno stallo di logoramento da cui sia possibile estrarre una qualche forma di vittoria geopolitica. A quanto pare, Moeini è tra coloro che sono stati stregati dai miti pervasivi di duecentomila morti russi e di migliaia di unità di blindati, veicoli e artiglieria distrutte – per non parlare di una presunta impotenza e invisibilità dell’aviazione russa, con i suoi pochi e antiquati velivoli di epoca sovietica a malapena in grado di combattere, molto al di sotto dei presunti elevati standard delle leggendarie armate aeree occidentali.

Come molti altri nella sovraffollata schiera di “esperti” occidentali, apparentemente “prudenti e misurati,” sembra immaginare ranghi su ranghi di coscritti russi demoralizzati, poco addestrati, sotto equipaggiati, scarsamente vestiti e denutriti, che tremano al freddo, nel terrore che l’ennesimo di una serie apparentemente inesauribile di temibili attacchi HIMARS stia per fare a pezzettini loro e i loro emaciati compagni.

In un ultimo balzo di ridicolaggine, l’autore si sofferma sulle conseguenze di un’ulteriore escalation occidentale sotto forma di forniture di missili a più lungo raggio e di caccia F-16, che potrebbero permettere agli Ucraini di respingere le esauste forze russe dal Donbass e persino di liberare la Crimea.

Coerentemente con gli imperativi ontologici di una prospettiva radicata nell’indiscutibile giustezza e potenza imperiale, non riesce a concepire che un intervento diretto della NATO possa andare incontro ad una sconfitta catastrofica per mano delle “ovviamente inferiori” forze armate convenzionali russe, riesce solo ad allarmarsi sulla possibilità che, per la Russia, la prospettiva di un’umiliazione militare convenzionale:

… aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

Come ho notato sopra e altrove, in questo conflitto sono in gioco veri e propri imperativi esistenziali, sia per la Russia che per l’Impero. Ma la differenza essenziale è che la Russia è entrata in questo conflitto consapevole di questa realtà e – contrariamente alle illusioni disinformate di quasi tutti in Occidente – i Russi erano molto più preparati a portare avanti un conflitto convenzionale prolungato di tutti gli atrofizzati eserciti della NATO messi insieme.

E ora, dopo un anno intero dall’inizio della guerra europea più intensa dal 1945, l’economia russa è effettivamente in assetto di guerra. Le fabbriche di armamenti dell’era sovietica sono in funzione da mesi con turni 24 ore su 24, producendo armamenti di ogni tipo, che da un anno si stanno dimostrando i più efficaci, e in quantità che i pianificatori militari occidentali possono solo sognare.

I livelli russi di produzione bellica, uniti alla mobilitazione ormai quasi completa di mezzo milione di riservisti – praticamente tutti non ancora impegnati sul campo di battaglia – proiettano lo scenario di un esercito russo sostanzialmente più potente di quello di un anno fa, e sempre più forte ogni mese che passa. Chiunque continui a credere il contrario lo fa perché ha subito il lavaggio del cervello dalla pervasiva psyop dell’intelligence occidentale che ha operato sul cinico principio che:

“Se non puoi vincere una guerra reale, vincine una immaginaria.”

Questo funziona in modo soddisfacente finché la narrazione può essere perpetuata in modo persuasivo. Ma truppe, equipaggiamenti e munizioni immaginarie non vincono le guerre reali.

Nel frattempo, tutto ciò che poteva essere caratterizzato come “eccedenza” delle scorte della NATO è praticamente esaurito. Certo, di recente sono state annunciate nuove montagne di armamenti NATO da inviare in Ucraina – centinaia di incomparabili carri armati occidentali, veicoli da combattimento per la fanteria, piattaforme mobili di artiglieria e una lunga lista di altra paccottiglia bellica.

L’arsenale della democrazia ha appena iniziato a mostrare i muscoli!

O almeno così si dice.

Tuttavia, ad un esame più attento, la “montagna” di materiale occidentale si rivela poco più di una modesta collinetta di attrezzature per lo più antiquate, insieme a quantità tristemente insufficienti di munizioni aggiuntive.

A peggiorare le cose, nelle settimane successive, quelli che inizialmente avrebbero dovuto essere centinaia di carri armati pesanti erano poi diventati solo poche decine, la maggior parte dei quali da tempo fuori servizio e bisognosi di riparazioni approfondite per essere in grado di combattere.

L'”arsenale della democrazia” non è un grosso muscolo che aspetta di essere flesso davanti agli occhi di un pubblico globale facilmente scioccabile e credulone. È un miraggio.

Come avevo descritto la situazione in un succinto commento pubblicato tre settimane fa:

L’esercito statunitense non è costruito né equipaggiato per un conflitto prolungato ad alta intensità. Né può fornire ad un esercito per procura ormai esaurito i mezzi per portare avanti un conflitto prolungato ad alta intensità.

La realtà incontrovertibile è che gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO non sono attualmente in grado di soddisfare le massicce richieste materiali della moderna guerra industriale, come aveva ben spiegato il tenente colonnello (in pensione) Alex Vershinin in questa fondamentale analisi del giugno 2022: Il ritorno della guerra industriale.

Eppure, nelle discussioni pubbliche su una possibile guerra si sentono sempre voci convinte affermare che, proprio come nella Seconda Guerra Mondiale, l’industria statunitense potrebbe rapidamente aumentare la produzione di armamenti di qualità superiore e in quantità spropositate.

Questo, in generale, alletta i pregiudizi degli eccezionalisti americani ed è una fantasia particolarmente seducente per i seguaci del culto #EmpireAtAllCosts che fanno propaganda per i loro sporchi guadagni presso gli innumerevoli “think tank” finanziati dall’industria degli armamenti a Washington e Londra.

Ma l’idea che un Impero in rapido declino possa resuscitare la banda dell’Arsenale della Democrazia per un ultimo tour d’addio è una vanità particolarmente delirante.

Infatti, nonostante il suo massiccio saccheggio delle finanze pubbliche, l’industria degli armamenti statunitense è, di fatto, una boutique di fascia alta e di dimensioni modeste.

Costruire la bestia perfetta

In modo ancora più significativo, in uno sviluppo che io e molti altri avevamo previsto da diversi anni (e di fronte al ridicolo quasi universale, aggiungerei) la serie apparentemente infinita di errori dell’Impero dovuti proprio all’arroganza ha rapidamente accelerato la formazione di quella che, senza dubbio, è la più potente alleanza militare/economica/geostrategica dei tempi moderni: l’asse tripartito di Russia, Cina e Iran.

Nella sua maldestra e miope mossa di ostacolare il tanto temuto riavvicinamento russo-tedesco – puntualizzato, alla fine di settembre del 2022, dal sabotaggio dei gasdotti Nordstream – l’Impero è riuscito sorprendentemente a passare dalla padella di una guerra per procura regionale contro la Russia alla brace di un conflitto globale che tutti e tre i suoi avversari, in costante rafforzamento, considerano ormai esistenziale.

A mio parere, questa è quasi certamente la serie di errori geopolitici più inspiegabile e portentosa della storia conosciuta.

Per il momento, i combattimenti rimarranno confinati in Ucraina. Ma l’intero aspetto di questa guerra è stato irreversibilmente modificato.

L’insicurezza ontologica va in guerra

Moeini discute poi con prolissità tendenziosa sulle costrizioni dell'”insicurezza ontologica” sotto la quale l’Impero e i suoi vassalli, per altro accuratamente indottrinati, si trovano ora ad operare a causa del fatto che la Russia ha agito in diretta violazione dei dettami dell'”ordine internazionale basato sulle regole.”

Adotta un’affettazione da “vero credente” (quasi da vero Hofferiano) quando caratterizza l’America come una “grande potenza ideologica.” In un’estasi manichea, afferma implicitamente che la grandezza dell’attuale ordine egemonico è un prodotto diretto dell'”umanitarismo e del democratismo” che egli immagina essere al suo centro.

Si lamenta del fatto che la “spinta all’escalation” derivi direttamente da una Russia imperdonabilmente aggressiva che ha interrotto il “senso unificato di ordine e continuità nel mondo.”

Conclude poi con questo notevole slancio retorico:

Mentre inizia il secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che il probabile risultato di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre,” ha detto questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di impegno da parte ucraina, questo dipende interamente dal fatto che la NATO possa continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare ad un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. A questo punto, prolungare la guerra nella ricerca ideologica di una vittoria totale è discutibile, sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia è indice di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero.

Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

È un riassunto mozzafiato delle trasgressioni analitiche di questa espressione archetipica dell’eccezionalismo imperiale americano.

Risponderò alle trasgressioni più degne di nota:

Il “probabile esito” di questa guerra non è lo “stallo.” Al contrario, lo scenario quasi certo è che la Russia annienti effettivamente la forza militare ibrida NATO/Ucraina, che cerca disperatamente di sopravvivere lungo l’attuale linea di contatto, per poi dettare nuovi confini coerenti con la concezione russa di una soddisfacente “profondità strategica.”

L’idea che gli Stati Uniti e la NATO possano “continuare a sostenere all’infinito lo sforzo bellico di Kiev” è una presunzione delirante. Come ho scritto sopra e altrove:

L’esercito statunitense non è costruito né equipaggiato per un conflitto prolungato ad alta intensità. Né può fornire ad un esercito per procura ormai esaurito i mezzi per portare avanti un conflitto prolungato ad alta intensità.

L’aumento del grado di intervento degli Stati Uniti in questa guerra non è sconsiderato perché rischia di mettere i Russi in un vicolo cieco, da cui potrebbero uscire solo usando le armi nucleari, ma piuttosto perché, di fronte alle catastrofiche perdite della NATO sul terreno e nell’aria in un conflitto convenzionale, il governo degli Stati Uniti potrebbe trovarsi così disperatamente umiliato da cedere alle lusinghe del culto dell’Impero a tutti i costi e lanciarsi a testa alta nell’abisso nucleare.

Il persistente mito della debolezza russa

Moeini immagina che “Mosca abbia già pagato un prezzo elevato per le sue trasgressioni in Ucraina.”

Certo, la Russia ha subito delle perdite in questa guerra. Sommando tutte le principali componenti dello sforzo militare russo (regolari russi, milizia del Donbass, PMC di Wagner e reggimenti di volontari ceceni), è molto probabile che i Russi abbiano avuto venticinquemila morti e il doppio di feriti.

Dall’altro lato della bilancia, è ormai quasi certo che le Forze Armate ucraine abbiano subito oltre duecentomila morti e almeno il doppio di feriti non recuperabili al combattimento.

È l’Ucraina che ha pagato a caro prezzo le trasgressioni dell’Impero con il suo inutile tentativo di ferire mortalmente la Russia!

Utilizzando per un anno intero una risoluta strategia di “economia della forza” – sia in fase offensiva che difensiva – i Russi hanno ottenuto il rapporto di vittime più sproporzionato di qualsiasi altra grande guerra dei tempi moderni.

Contrariamente alle allucinazioni propagandistiche della stragrande maggioranza degli analisti militari occidentali – e di un numero sorprendentemente elevato di critici russi di Putin, del Cremlino e del Ministero della Difesa russo – rimango fermamente convinto che gli storici e professori delle scuole guerra del futuro considereranno l’ultimo anno di operazioni militari russe come la più impressionante campagna di combattimento urbano su larga scala mai vista. Sarà studiata con ammirazione per i secoli a venire.

Nel frattempo, nel teatro bellico rimangono ancora disimpegnati circa 500.000 effettivi russi – un misto di veterani di guerra e di riserve mobilitate. Sono stati abbondantemente equipaggiati con i migliori veicoli, blindati e non, e hanno un potenza di fuoco mai messa in campo da parte russa in questa guerra.

Oltre 700 aerei ad ala fissa e rotante sono dislocati a breve distanza dal fronte.

La produzione di armamenti russi ha dimostrato che tutti i think tank imperiali si sbagliavano. Hanno mobilitato la loro latente ma massiccia capacità produttiva in misura così impressionante che l’Occidente impiegherebbe almeno cinque anni, e più probabilmente un decennio, per “recuperare.”

La verità nuda e cruda è che gli Stati Uniti e la NATO, semplicemente, non possono vincere questa guerra e sicuramente non la vinceranno.

Il momento di maggior pericolo

Moeini conclude il suo trattato affermando che “a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via di fuga che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica,” il mondo si trova sull’orlo di un olocausto nucleare.

Egli teme, giustamente, una calamità nucleare, ma attribuisce erroneamente la fonte del rischio.

È l’Impero che, a questo punto, ha un disperato bisogno di un’uscita di sicurezza. I potentati imperiali si sono immaginati un mondo in cui fossero al comando dell’unica “grande potenza” del pianeta. Nel liquidare con disinvoltura la forza relativa delle potenze civilizzatrici da loro stessi trasformate in nemici mortali – Russia, Cina e Iran – hanno ora fatto cadere la civiltà occidentale in una crisi ontologica ed esistenziale di loro stessa creazione.

William Schryver

[*] Milton, Paradise Lost.

[**] Nel poema The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Coleridge, un albatros, considerato un segno di buona fortuna, segue una nave. Tuttavia, il marinaio protagonista dell’opera uccide l’albatro con una balestra, un atto che getta una meledizione sulla nave e le provoca terribili disavventure.
Fonte: imetatronink.substack.com
Link: https://imetatronink.substack.com/p/the-ontological-incoherence-of-american
24.02.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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