LIBIA: IL DISPREZZO E LA MALAFEDE

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DI MOHKTAR SAHKRI
Mondialisation.ca

La guerra di Libia non è la guerra

di Spagna. E i ribelli, barbuti e armati di fucili mitragliatori, lanciamissili

e mortai installati sui pick-up, non sono degli idealisti che

aspirano alla Libertà e alla Democrazia. Questi concetti, evocati davanti

alle telecamere, li interessano solo nella misura in cui possono permettere

l’instaurazione di uno Stato teocratico basato sulla Shari’a,

mentre la risoluzione 1973 è soltanto un’altra ipocrisia occidentale.

Votata con la pretesa di proteggere la popolazione civile, essa è,

in effetti, al soldo degli interessi delle ex potenze coloniali, le

quali utilizzano la NATO per imporre il loro volere al popolo libico

attraverso il terrore degli “attacchi aerei” e per provare a cacciare

Gheddafi e sostituirlo con un governo fantoccio al loro servizio.
Il lupo, recita il proverbio, perde il pelo, ma non il vizio. E il colonialismo pure: se sulla carta sembra morto, in realtà è vivo e vegeto. Nicolas Sarkozy, Presidente della Repubblica francese, ce lo ha appena ricordato realizzandone una fiera e gloriosa dimostrazione per mezzo di un intervento armato in Libia, paese il cui sottosuolo è oggetto di insospettate bramosie, in quanto ospita i più importanti giacimenti petroliferi del continente africano.

Fingendo di aver perso il treno della ”Primavera Araba” quando in verità, armando Ben Ali, si preparava a comprometterne la partenza, si è alla fine tuffato negli abissi della storia tornando ai tempi dei vari Raymond Poincaré, Lloyd George e Balfour, all’epoca delle trame dei franco-britannici che portarono all’accordo ”Sikes-Picot”, il quale permise loro di spartirsi i resti dell’impero ottomano o, in altri termini, il mondo arabo, e sottometterne gli abitanti al loro volere e condannarli a vivere in ginocchio o a morire.
E, illuminato da un Bernard Henri Lévy che dal canto suo si è messo a fare il Lawrence d’Arabia al soldo del sionismo e d’Israele, ha subito deciso di ordire insieme al Primo Ministro britannico, David Cameron, un losco progetto per giustificare la guerra in cui avrebbe trascinato la Francia.
E senza esitare un solo istante, visto che lo desiderava sin dai tempi
in cui Jacques Chirac aveva rifiutato di allearsi a George Bush e Tony
Blair per mandare a morire dei soldati francesi in Iraq per una causa
sbagliata.

Certo, il progetto sbandierato sembrerebbe tra i più nobili e lodevoli; in effetti, chi troverebbe da ridire
sulla difesa degli oppressi? Tuttavia, a meno di essere costretti a
difendersi, il ricorso alla guerra è sempre la scelta peggiore per porre fine a una controversia; questo da un lato. Dall’altro, è il mezzo meno adatto per tentare di risolvere una questione umanitaria.

E quindi, nel caso specifico, si vergogni chi nasconde sotto il velo di un falso umanesimo i veri motivi che l’hanno spinto.

Perché bisogna proprio dirlo a voce alta: liberare i Libici da Gheddafi è soltanto un pretesto utile a risalire la china verso una rielezione a Presidente della Repubblica irrimediabilmente compromessa, tentando d’illudere i francesi che ci si apprestava a combattere per la libertà al fine di “restituire alla Francia il suo ruolo di grande potenza”. Inoltre, “portare la democrazia” in Libia facendone sprofondare il popolo nell’apocalisse a colpi di bombe e missili all’uranio impoverito (chirurgici, è il caso di ricordarlo!) non è la più orribile e mostruosa delle ipocrisie?

Il caos infernale in cui è sprofondato l’Iraq, che gli iracheni subiscono
orribilmente ogni giorno sulla loro pelle, non è l’esempio più consono
per screditare queste buone intenzioni trasportate da un fiume in piena
di infami bugie, incessantemente smentite da delle incongruenze lampanti?

Perché dobbiamo dirlo, ripeterlo e urlarlo: per i valorosi paladini
della libertà dell’Occidente, che ancora una volta si sono schierati
all’unisono con Sarkozy e Cameron, appartenenti alla stessa cricca
che aveva seguito Bush e Blair, la pelle dei ribelli di Benghazi vale poco più di quella di un cane morto perché offre loro la possibilità di farsi sentire e consolidare i loro desideri di supremazia e dominio.

Perché non ci si deve sbagliare: in Occidente il razzismo anti-arabo non è né morto né sepolto. E son tanti i paladini della libertà che continuano ad affilare le armi per partire ”a caccia di negri” e che, alla prima occasione, si coalizzano per la crociata. Basta guardare la televisione per sentire l’astio presente nei loro discorsi, dove l’ignoranza, la superbia e il disprezzo fanno a gara per sfociare nell’infamia e la generalizzazione, facendo trionfare la stigmatizzazione e la disinformazione con l’obiettivo di nascondere le ingiustizie in corso.
Abbiamo forse mai visto questi valorosi paladini della libertà versare una lacrima o dispiacersi almeno un poco per le centinaia di migliaia di iracheni massacrati dai vari Bush e soci, o per le migliaia di palestinesi sterminati da Israele nel silenzio letale e fatalmente complice dell’Occidente?

La strumentalizzazione e la manipolazione sono chiare e lampanti: nessuno di questi valorosi paladini della libertà è andato a guardare un po’ meglio e, in ogni caso senza il prisma della malafede, ciò che accade in Libia. Certo, anche i libici sono stati trasportati dal vento della contestazione araba che soffiava alle loro frontiere e che ha spazzato via dal trono su cui erano saldamente seduti da più di trent’anni i due tiranni di Tunisi e del Cairo,
che mai avevano risposto alle seppur minime aspirazioni di popolazioni
colpite da un infame destino.
Tuttavia, il vento che si è alzato in Libia non soffiava misera, perché dagli anni ’70 la Libia è una delle cinquanta nazioni più ricche della terra, i cui PIL e Indice di Sviluppo Umano sono i più alti dell’Africa. E, bisogna ricordarlo, da quarant’anni i libici hanno lasciato i lavori più pesanti e peggio retribuiti agli immigrati provenienti dagli altri paesi arabi, dall’Africa sub-sahariana o dal Bangladesh.

Inoltre, a differenza di ciò che è accaduto in Tunisia e in Egitto, dopo una rapida protesta con delle origini diverse di quella che ha travolto i due paesi vicini, nelle piazze di Tripoli e di altre città si sono riversate decine di migliaia di libici, uomini e donne di tutte le età, per manifestare il loro
sostegno al ”Colonnello”, esprimergli affetto e solidarietà esibendo i ritratti con la sua effigie e sventolando la bandiera verde della Jamahiriya.

È in Cirenaica, e principalmente a Bengasi, che le manifestazioni scatenatesi il 13 febbraio, ovvero sia una settimana prima di Tripoli, si sono trasformate in scontri armati e guerriglia urbana. Quindi la Libia sembra essersi trovata improvvisamente tagliata a metà da delle bande anomale formate esclusivamente da uomini, molti dei quali barbuti, che davanti alle telecamere urlavano il loro odio per Gheddafi e invocavano Allah brandendo come simbolo della libertà il vessillo dell’era monarchica e delle armi da guerra rubate negli arsenali.

Questi strani rivoluzionari, che sembrano usciti dal nulla, sono in realtà per la maggior parte dei vecchi oppositori del regime che aspettavano il momento propizio per rilanciare la rivolta islamica avviata negli anni ’90 e che Gheddafi aveva soffocato dopo esser scampato a un tentativo d’omicidio.
Si tratta infatti di salafiti che nel frattempo si sono affiliati all’AQIM e che facevano parte di diversi gruppi come i Partigiani di Allah o i Martiri dell’Islam ai quali si erano uniti alcuni militari ribelli. Molti di loro erano andati a combattere nelle fila dei talebani in Afghanistan o in Iraq. Che dei giovani libici amanti della democrazia e della libertà li abbiano raggiunti è solo un’altra di quelle aberrazioni della storia, una di quelle alleanze contro natura per cui i diversi nemici di uno stesso tiranno si ritrovano a condividere le stesse idee e gli stessi obbiettivi.

È inoltre importante soffermarsi sul fatto che gli imam che arruolano questi ribelli, nei sermoni durante i quali plasmano il loro pensiero, persistono nel ricordar loro che ”ogni compromesso con gli oppositori laici è impossibile” e che ”gli ideali democratici non possono coincidere con la società libica”.

Per ciò che riguarda i veri motivi
che abbiano spinto a schierarsi su delle posizioni di dissenso il Ministro
della Giustizia, Mustapha Mohamad Abdeljalil, e alcuni funzionari e
diplomatici che hanno approfittato di questa rivolta per tentare di
costituire un nuovo governo, nessuno fra quelli che in Occidente ha
dato loro credito ha ritenuto necessario eseguire un accertamento preventivo, anche se nessun altro paese, aldilà della Francia, si è spinto fin a riconoscere il loro Consiglio Nazionale di Transizione come unico
rappresentante del popolo libico, così come ha invece fatto in maniera
affrettata e disordinata Nicolas Sarkozy.

Ancor meno è stata provata o accertata la legittimità di questi individui, i quali non hanno tuttavia convinto molti tra i Ministri degli Esteri europei, suscitando i dubbi di alcuni e il rifiuto categorico del capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, di dare il sostegno a una rivolta i cui fautori sono, sotto l’aspetto del diritto internazionale, dei fuorilegge, così come ha precisato il suo omologo russo, Sergueï Lavrov.

Giusto qualcuno ha alzato la voce in Italia per dire che ”non sappiamo chi siano questi ribelli che vogliamo aiutare”. Sfortunatamente, i valorosi paladini occidentali della libertà non hanno adottato questa piccola prudenza che avrebbe potuto suggerire un po’ di buon senso. A tal punto che, in possesso di una risoluzione estorta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per mezzo di una ”strage di vittime innocenti a Bengasi”, così
sinistra e inquietante come lo fu la ”tossina botulinica irachena”, da un Alain Juppé così coraggioso, così valoroso e teatrale nelle parole e nei fatti da sembrare un Colin Powell intento a impugnare la fiala del pericolo letale, si sono precipitati in aiuto
ai ribelli, le cui grida d’odio lanciate all’indirizzo di Gheddafi son loro bastate per santificarli, cospargerli d’incenso e sancirli eroi della democrazia! In massa costoro pregano Allah perché indurisca i cuori di Sarkozy, Cameron e Obama e facciano piovere fuoco e fiamme
annientando così Gheddafi, il suo esercito e i milioni di libici che lo sostengono. In questo modo si ritroveranno in mano una Libia trasformata in un territorio devastato propizio nella ”strada araba” a una nuova escalation dell’odio anti-Occidente.

Perché le masse arabe non si faranno facilmente imbrogliare: si potrà pure cercare d’ingannarle invitando un gruppetto di arabi di stanza a Londra mostrando le loro facce a garanzia del sostegno più ovvio e concreto della Lega Araba, ma esse vedono riproporsi lo scenario iracheno e capiscono che i valorosi paladini occidentali della libertà vogliono soltanto cacciare la ”Guida” e sostituirla con un fantoccio in modo tale da tenere sotto controllo il suo paese e i suoi immensi giacimenti petroliferi.

E, con il precedente iracheno ben chiaro in testa, esse sono ineluttabilmente portate a credere che il colonialismo, grazie al ”diritto d’ingerenza” e alla ”guerra umanitaria”, abbia trovato una nuova via… senza nulla perdere in perfidia… Anzi.

Mokhtar Sakhri: Giornalista, scrittore e autore di diversi libri, tra cui “I demoni della fede” (saggio,
Kappa 1996); “La mort en récompense” (romanzo, l’Harmattan
2006); “L’injustice et la trahison – Israël, les Arabes et la Palestine” (saggio, Dualpha 2008).

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Fonte : http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=25281

15.06.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUCIO DALLAGIACOMA

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