DI MICHAEL HUDSON
Counterpunch.org
Il rifiuto dell’Islanda di essere vessata finanziariamente è un modello per Grecia e Irlanda?
Lo scorso mese l’Islanda ha votato contro l’accettazione delle richieste britanniche e olandesi che avrebbero rimborsato le agenzie di assicurazione bancarie nazionali per aver “salvato” i propri correntisti di Icesave. È stata la seconda votazione contro quest’accordo (con un coefficiente di 3 a 2) e la convinzione degli islandesi di rimanere membri dell’eurozona è scesa al 30 per cento. Il comune sentire è che i politici europei sono intervenuti in soccorso dei banchieri e non degli interessi della società, cosa che gli islandesi pensavano fosse la strada da seguire, come già stabilito nel 1957 con la formazione della Comunità Economica Europea.
Permettendo a Gran Bretagna e Paesi Bassi di mettere a pecora l’Islanda per pagare gli errori di Gordon
Brown e dei suoi colleghi olandesi, l’Europa ha messo in dubbio l’adesione dell’Islanda a causa dell’imposizione dell’austerità finanziaria
e della povertà alla popolazione, tutto questo per farle pagare soldi che legalmente non doveva a nessuno. Il problema è quello di trovare un tribunale imparziale che voglia applicare le leggi esistenti per attribuire le responsabilità a chi effettivamente le ha.
La ragione per cui l’UE ha combattuto così duramente per far prendere al governo islandese la responsabilità dei debiti di Icesave è quello che i creditori chiamano “contagio”. L’Irlanda e la Grecia devono affrontare un ammontare del debito sempre più elevato. La “troika” dei creditori europei – la Banca Centrale Europea (BCE), la Commissione Europea e il FMI – ritiene che la cancellazione del debito e la tassazione progressiva per proteggere le economie interne sia una malattia contagiosa.
Come la Grecia, l’Irlanda ha chiesto
un allentamento del debito per far sì che il governo non fosse obbligato
a tagliare la spesa nel corso di una recessione sempre più acuta. “La
stampa irlandese ha riportato che i funzionari dell’UE “hanno perso
la testa” quando i negoziatori irlandesi hanno chiesto di allargare
la condivisione del peso del debito. La Banca Centrale Europea teme
che una mossa del genere possa provocare un contagio nei mercati del
debito dell’Europa meridionale”, così ha scritto un giornalista, avvertendo che le conseguenze dello sconsiderato incameramento del debito pubblico nel bilancio dello Stato possa minacciare di far fallire l’economia.
L’Europa – in verità, le banche
tedesche e olandesi– si è rifiutata di lasciare che i governi diminuissero
progressivamente i debiti che si erano accollati (eccetto che per minori
e meno politicamente influenti correntisti): “I commenti sono usciti
subito dopo che le autorità dell’UE hanno imposto i tagli alle richieste
degli investitori in Irlanda, rendendo questa una condizione obbligata
per la concessione del pacchetto di prestiti pari a 85 miliardi di euro.
Dublino ha imposto l’80 per cento di tagli ai creditori subordinati
di Anglo Irish Bank ma non intende fare questo con i creditori
privilegiati, che sono considerati intoccabili.” (Ambrose Evans-Pritchard,
Daily Telegraph)
Per portare vantaggi all’Europa
– almeno ai suoi banchieri – c’è un principio da seguire: i governi
devono guidare le proprie economie a beneficio delle banche e dei possessori delle obbligazioni. Dovrebbe “salvare” almeno i creditori
privilegiati delle banche che falliscono (si tratta dei più grossi
investitori istituzionali e degli speculatori) e pagare questi debiti,
pubblici e privati, vendendo le aziende e aumentando le imposte che
colpiscono il lavoro. Per mettere in pareggio i propri bilanci devono tagliere i programmi di spesa, diminuire il numero dei dipendenti pubblici, gli stipendi e aumentare le tariffe dei servizi pubblici, dalla sanità all’educazione.
Il programma di austerità (il
“salvataggio finanziario”) è arrivato a un punto critico proprio un anno fa quando nel maggio del 2010 fu proposto alla Grecia un pacchetto di salvataggio per 110 miliardi di euro. Insoddisfatta della lentezza con cui si era mossa per sfregiare la propria economia, la BCE ha suggerito
alla Grecia di iniziare a privatizzare un valore di 50 miliardi di euro
entro il 2015. Le prime svendite dovevano essere quelle delle più importanti infrastrutture turistiche e quelle delle presenze del governo nel monopolio delle scommesse (OPAP), del settore postale, dei porti di Atene e di Salonicco, della Compagnia di Fornitura dei servizi di Fognatura e Acqua Potabile di Salonicco e del monopolio dei telefoni. Jean-Claude Juncker, Primo Ministro del Lussemburgo e direttore del gruppo dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, ha avvertito che, solo nel caso in cui la Grecia acconsenta alla vendita dei suoi beni (“per consolidare il suo bilancio”), l’UE acconsentirà ad allungare le scadenze dei prestiti concessi per “salvarla” dal default.
Il problema è che la privatizzazione
e la tassazione regressiva alza il costo della vita e quello per fare
gli affari. Tutto ciò rende l’economia meno competitiva e di
conseguenza meno solvibile nel pagare i debiti che stanno accumulando
gli interessi, portando così nella direzione di un default
ancora più marcato.
La risposta da manuale della finanza,
quella di chiedere continuamente dazio, è una condotta predatoria.
I paesi del Terzo Mondo hanno già pagato sulla loro pelle, con
una progressione partita dagli anni ’70, le conseguenze distruttive
dei programmi di austerity del FMI. L’Europa sta adesso ripetendo
lo stesso schema.
Il potere finanziario vuole fare quello
che le conquiste militari hanno ottenuto nel passato. Nel pretendere
di rendere le economie più “competitive”, il vero obbiettivo è
sotto gli occhi di tutti: racimolare abbastanza denaro per far sì che
i possessori delle obbligazioni (e quindi, gli elettori) non siano obbligati
ad affrontare il fatto che molti debiti non siano rimborsabili a meno
che non si renda l’economia totalmente dipendente dal debito, da una
regressione dell’imposizione fiscale e dal peso delle privatizzazione
dei beni pubblici per essere competitivi. I tagli alla spesa e la regressione
dell’imposizione fiscale assottigliano nel lungo termine il capitale
per gli investimenti e la produttività. Queste economie sono guidate
come le aziende che sono rilevate dagli speculatori dei leverage del
debito, che tagliano e esternalizzano la forza lavoro per ottenere fondi
sufficienti per pagare i propri creditori, che arraffano il possibile
e poi scappano. La componente tattica di questo attacco finanziario
non è più lo schieramento aperto delle forze come avveniva in passato,
ma qualcosa di meno impegnativo perché le sue vittime si sottomettono
volontariamente.
Ma ora le vittime designate della finanza
predatoria stanno vendendo cara la pelle. Ma gli attaccanti non stanno
perdendo uomini e eserciti, ma sono i bilanci ad essere messi in pericolo,
e di conseguenza le loro reti di solvibilità. Quando i sindacati greci
– specialmente nelle imprese pubbliche che sono state privatizzate -,
il Partito Socialista al governo e altri partiti minori hanno rigettato
questi sacrifici, i funzionari dell’Eurozona hanno richiesto che il
progetto finanziario venisse posto in essere da tutti i partiti politici
per fissare “un accordo di tutto lo schieramento per una qualsiasi
ipotesi di salvataggio.” In altre parole, la Grecia deve rispondere
all’ondata di scioperi e di proteste di piazza con la sospensione
dell’attività dei partiti e della democrazia economica. “Il governo
e l’opposizione devono dichiarare congiuntamente che si impegnano
nel rispetto degli accordi di riforma con l’UE”, ha spiegato il
signor Juncker a Der Spiegel.
Criticando il ritardo del Primo Ministro,
George Papandreou, nella vendita dei beni dello Stato, i leader
finanziari europei hanno proposto l’istituzione di un’agenzia nazionale
per le privatizzazioni che agisca da intermediario per trasferire gli
incassi derivati da queste vendite ai creditori stranieri e per diminuire
il debito pubblico, e di impegnare i propri beni per essere come collaterali
nel caso di un default dei pagamenti verso i possessori dei titoli
di Stato. Nel suggerire che il governo “stili un’agenda per privatizzare
i beni pubblici sulla riga della Treuhandanstalt tedesca che ha
venduto le imprese della Germania Est negli anni ‘90”, il signor
Juncker ha pensato che “la Grecia potrebbe ottenere dalle privatizzazioni
più dei 50 miliardi di euro stimati” (Evans-Pritchard).
I banchieri europei stanno puntando
lo sguardo sulle vendite di circa 400 miliardi di dollari di asset
della Grecia, sufficienti per azzerare i debiti del governo. Se i pagamenti
non verranno effettuati, la BCE ha minacciato di non accettare le obbligazioni
del governo greco come garanzie. Questo impedirebbe alle banche greche
di continuare nella propria attività, distruggendo il sistema finanziario
e paralizzando l’economia. Questa minaccia è stata fatta per approvare
“democraticamente” le privatizzazioni, seguite poi dalla disgregazione
dell’unità sindacale e dall’abbassamento dei salari (“svalutazione
interna”). “Jan Kees de Jager, il ministro delle Finanze olandese,
ha proposto che tutti gli ulteriori prestiti alla Grecia debbono essere
concessi con accordi sui collaterali, per mezzo dei quali le nazioni
europee prestatrici possono rilevare gli asset
della Grecia nel caso di un default.” (Peter Spiegel, Financial
Times).
Il problema è che il default
è in fondo inevitabile per il fatto che il governo è stato messo in
un angolo a causa delle deregolamentazioni del settore bancario e per
i tagli alle tasse di proprietà e alla progressività del sistema fiscale.
Il default diventerà sempre più pressante anche nel caso in
cui la BCE stacchi la spina.
La BCE impedisce ai governi di finanziare
la propria spesa
L’introduzione dell’euro nel 1999
ha esplicitamente vietato alla BCE e alle banche centrali di finanziare
i deficit interni. Questo significa che nessuna nazione ha una banca
centrale che sia in grado di fare quello per cui sono state create le
analoghe banche di Gran Bretagna e degli Stati Uniti: monetizzare il
credito alle banche. Il settore pubblico è ormai dipendente dalle banche
commerciali e dai possessori delle obbligazioni. Per questi ultimi si
tratta di una manna, perché si sono annullati tre secoli di tentativi
per creare un’economia finanziariamente ed economicamente mista con
la privatizzazione del monopolio della creazione della moneta. Gli investimenti
di capitale nei monopoli di Stato sono ora venduti agli speculatori:
nel credito, il vincitore è quello che promette di pagare la maggior
parte degli interessi ai banchieri per assorbire la “tassa all’ingresso”
(“rendita finanziaria”) nel sistema.
La politica è diventata finanziarizzata
mentre le economie sono state privatizzate. La strategia finale era
quella di togliere la progettualità dell’economia dalle mani
dei rappresentanti eletti delle democrazie per centralizzarle in quelle
dei manager della finanza. Ciò che Benito Mussolini definiva
“corporativismo” negli anni ’20 (per dargli una definizione educata)
è stato ora raggiunto dalle più grande banche e istituzioni finanziarie
europee, con l’eufemismo dell’“economia del libero mercato”.
Il linguaggio si adatta per riflettere
la trasformazione politica ed economica (la resa?) in atto. L’”indipendenza”
delle banche centrali è stata dipinta come un “segno della democrazia”,
non come una vittoria delle oligarchie finanziarie. Il compito della
retorica è quello di sviare l’attenzione dal fatto che l’obbiettivo
del settore finanziario non è quello di rendere “liberi” i mercati
ma quello di affidarne il controllo nelle mani dei dirigenti della finanza,
la cui logica è quella di soggiogare l’economia all’austerità
e persino alla recessione, di svendere le aziende e i terreni pubblici,
di far tollerare l’emigrazione e di ridurre il tenore di vita mentre
si realizza una sempre maggiore concentrazione della ricchezza nella
vetta della piramide economica. L’idea è quella di tagliare il numero
dei dipendenti pubblici e gli stipendi dei settore pubblico, per poi
abbassare anche le richieste del settore privato, mentre si tagliano
i servizi sociali.
La contraddizione interna (come direbbero
i marxisti) è che la massa del peso degli interessi deve sempre
crescere, interessi che vengono poi reinvestiti per ottenerne altri.
Questa è la “magia” o il “miracolo” degli interessi composti.
Il problema è che il pagamento degli interessi sposta il denaro al
di fuori del flusso circolare tra la produzione e il consumo. La legge di Say dice che le somme versate dai produttori (ai
dipendenti o ai fornitori di beni materiali) devono essere spesi, in
aggregato, per comprare quello che il lavoro o il capitale tangibile
produce. Altrimenti c’è una saturazione del mercato e gli affari
si riducono, con la rete del debito del settore finanziario che fa la
parte del leone.
Il sistema finanziario si intromette
in questo flusso circolare. Le quote spese per pagare i creditori non
vengono impiegate nei beni e nei servizi; sono reinvestite in nuovi
prestiti, o in azioni e obbligazioni (che sono beni finanziari o diritti
di proprietà a carico dell’economia) o per aumentare la “scommessa”
(il “toto-capitalismo” dei derivati), il carry trade internazionale (ossia l’arbitraggio tra i tassi di cambio e i tassi d’interesse)
e altre pratiche finanziarie che sono indipendenti dall’economia della
produzione e del consumo. Così, mentre gli asset
finanziari accumulano interessi – sostenuti dalla nuova creazione
di credito dalle tastiere dei computer delle banche commerciali e delle
banche centrali– il rastrellamento finanziario dall’economia “reale”
aumenta.
L’idea di rimborsare i debiti senza
tener conto dei costi sociali si affida su modelli matematici complessi
come quelli usati dai fisici per progettare i reattori nucleari. Ma
hanno comunque dei vizi di forma abbastanza semplici da essere compresi
anche da uno studente di matematica delle superiori: si dà per scontato
che le economie possano sostenere i debiti che crescono esponenzialmente
a un tasso più alto di quanto aumentino la produzione o le esportazioni.
Solo ignorando la capacità di pagare – creando un surplus economico
che va oltre il punto di equilibrio – si può credere il leverage del debito possa produrre abbastanza profitti
“di bilancio” finanziari per pagare le banche, i fondi pensioni
e altre istituzioni finanziarie che riciclano i propri interessi in
nuovi prestiti. Ci si attende che l’ingegneria finanziaria faccia
da guida alla società post-industriale per fare i soldi dai soldi (o
piuttosto dal credito) alzando continuamente i prezzi dei beni immobiliari,
delle azioni e delle obbligazioni.
Sembra molto più semplice rispetto
all’ottenere profitti da investimenti tangibili per produrre e commerciare
beni e servizi, perché le banche possono innescare un’inflazione
delle quotazioni degli asset
con la semplice creazione elettronica del credito dalle tastiere dei
propri computer. Fino al 2008 molte famiglie in tutto il mondo hanno
visto crescere il prezzo delle proprie case molto più di quanto avrebbero
mai guadagnato in una vita di lavoro. Tutto ciò taglia fuori il complesso
ciclo M-C-M (usare il capitale per produrre beni
da vendere con un profitto) in un ciclo M-M (comprare immobili o beni
già realizzati, o azioni e obbligazioni già emesse, e aspettare che
le banche centrali spingano in alto i prezzi abbassando i tassi d’interesse
e detassando i capitali per permettere agli investitori facoltosi di
aumentare la loro richiesta di garanzie finanziarie o di assicurazioni
sulle proprietà).
Il problema è che il credito
corrisponde a un debito, e i debiti vanno pagati con gli interessi.
E quando un’economia paga gli interessi, meno denaro rimane per essere
speso in beni e servizi. E così il mercato si stringe e le vendite
calano, i profitti precipitano e ci sono meno soldi per pagare interessi
e dividendi. La disoccupazione si diffonde, gli affitti diminuiscono,
i mutuatari non sono in grado di pagare le rate e il settore immobiliare
deve affrontare la discesa dei prezzi.
Quando i prezzi dei beni vanno in picchiata,
i debiti rimangono ancora al loro posto. Quando le bolle dell’economia
diventano un incubo, i politici portano le (spesso fraudolente) perdite
delle banche private nelle pagine del bilancio dello Stato. Tutto ciò
sta dividendo i politici e minaccia la frantumazione dell’Eurozona.
Lo scioglimento dell’Eurozona?
Ai paesi del Terzo Mondo, dagli anni
’60 fino agli anni ’90, fu suggerito di svalutare la propria moneta
per ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori, per poi provocare
importazioni di cibo, della benzina e di altri beni di consumo. Ma i
membri dell’Eurozona sono imprigionati dall’euro, avendo solo l’opzione
della “svalutazione interna”, l’abbassamento degli stipendi per
indirizzare i pagamenti verso i creditori che sono in cima alla piramide
economica europea.
La Lettonia è spesso citata come
un modello di successo. Il suo governo ha tagliato la disoccupazione
e gli stipendi nel settore pubblico sono scesi del 30 per cento tra
il 2009 e il 2010. I salari del settore privato hanno seguito questo
declino. Tutto ciò è stato plaudito come una “storia di successo”
e come un’ “accettazione della realtà”. E ora il governo ha approvato
un “emendamento alla legge di bilancio” per attuare una tassazione fissa sul lavoro (circa il 59 per cento – ndt:
da varie fonti risulta essere il 25 -, con solo l’1 per cento di tassazione
sugli immobili). L’ex candidato neoliberista alla presidenza degli
USA, Steve Forbes, lo considera sicuramente un paradiso economico.
“Salvare l’euro” è un eufemismo
per il salvataggio da parte del governo del ceto finanziario, e con
esso viene salvata una dinamica del debito che è vicina alla sua fine,
indipendentemente da cosa verrà fatto do. Lo scopo è quello di preservare
il valore dei debiti di Germania, dei Paesi Bassi, della Francia e delle
istituzioni finanziarie (ora consorziate nei fondi predatori). Non ci
saranno tagli per loro. Il prezzo dovrà essere pagato dal lavoro e
dall’industria.
Le autorità di governo sono quelle
che hanno più da perdere. Mentre il demanio pubblico è suddiviso
e venduto per pagare i creditori, le politiche economiche sono state
tolte dalle mani delle persone democraticamente elette e messe nella
mani della BCE, della Commissione Europea e del FMI.
Il tasso di disoccupazione in Spagna
è del 20 per cento, appena più di quello dei paesi baltici,
ma è il doppio tra i neo-laureati. Ma, come sembra che abbia detto
William Nassau sr. dopo che gli era stato riferito che un milione di
irlandesi erano morti per la carestia delle patate: “Non è abbastanza!”
Ci potrà mai essere qualcosa
che sia abbastanza, un qualcosa che funzioni un po’ più a lungo del
breve termine? Quello che ora “aiuta la Grecia a rimanere solvibile”
consiste nell’evitare di tassare il valore (i ricchi non stanno pagando)
e nel far arretrare gli stipendi mentre si aumentano le imposte sul
reddito e il governo (i “contribuenti”, ossia i lavoratori) svendono
il territorio e le imprese pubbliche per “salvare” le banche straniere
e i possessori di obbligazioni mentre si abbatte la spesa sociale, i
sussidi alle industrie e gli investimenti in infrastrutture pubbliche.
Un mio coetaneo amico greco mi ha
detto che la sua pensione privata (di una compagnia informatica) era
stata tagliata dal governo. Quando suo figlio è andato a riscuotere
l’assegno di disoccupazione, era stato ridotto alla metà, perché
si pensa che i genitori abbiano comunque il denaro per aiutarlo. Il
prezzo della casa che hanno acquistato pochi anni fa è precipitato.
Mi hanno detto che non hanno intenzione di rimanere nell’euro più
di quanto abbiano dimostrato gli elettori danesi nel voto del mese scorso.
Gli scioperi proseguono. La rabbia
cresce. Quando il prossimo direttore del FMI, Christine Lagarde, era
ancora ministro del Commercio, suggerì che “la Francia doveva aggiornare
il suo metodo di lavoro. I sindacati e gli altri ministri erano riluttanti,
e così la signora è ritornata sui suoi passi, dicendo che aveva solo
espresso un’opinione personale.” Quest’opinione sta per diventare
una politica ufficiale, con il FMI che fa la parte del “poliziotto
buono” contro la BCE che fa “il poliziotto cattivo”.
Io credo che la gente debba comprendere
che le dinamiche in gioco rendono vani tutti questi tentativi. I creditori
sanno a che partita si sta giocando. Tutto quello che possono fare è
arraffare il più possibile, fino a quando sarà possibile, pagandosi
lauti bonus che non possono essere intercettati dai pubblici ministeri,
e correre nelle proprie collocazioni bancarie offshore.
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Fonte: http://counterpunch.org/hudson05272011.html
27.05.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE