DI CONN HALLINAN
Counterpunch
“Al di sotto del tuono delle profondità più oscure
Ben lontano nelle profondità marine
Il Kraken giace…”
Alfred Tennyson
Nella mitologia nordica, il Kraken era una bestia enorme che giaceva in attesa di navi che coraggiosamente solcavano il poco conosciuto Atlantico del Nord, e si sollevava dalle “profondità” per stringere i suoi potenti tentacoli attorno agli incauti o agli audaci, trascinandoli a fondo con sé nella propria tana. Viste le economie dal Baltico alla Spagna e dall’Irlanda all’Austria semidistrutta, la metafora del Kraken potrebbe essere la più appropriata per descrivere una crisi di cui la prima vittima fu l’Islanda.
La saga della caduta dell’Islanda, da un paese che Reuters definì “uno dei paesi più ricchi al mondo in relazione alla ricchezza pro capite” fino al crollo decisivo, è una favola che inizia negli anni 80 quando Ronald Reagan e Margaret Thatcher mandarono in frantumi tutti gli equilibri ed i controlli governativi e finanziari, privatizzando ogni cosa che non fosse ben ancorata al suolo, e fecero sì che l’economia mondiale si trasformasse in un enorme schema di Ponzi con delle promesse di benessere che avrebbero addirittura fatto arrossire Las Vegas.Saltellando nel mare dei grandi rischi di truffa per quel che riguardava il denaro, in cui galleggiava la bolla degli immobili, la minuscola Islanda – dove la maggior parte dell’economia era rappresentata dall’esportazione di merluzzi- si trasformò in gigante finanziario in cui le banche avevano un valore 900 volte superiore rispetto al prodotto interno lordo dell’isola. Gli abitanti dell’isola compravano immobili a New York, importavano auto costose e adescavano gli ex compatrioti tornati a spendere il loro denaro nei casinò.
Tutta questa tracotanza provocò il Kraken.
Il mese scorso gli islandesi erano in morosità per i prestiti per le auto, la disoccupazione stava vertiginosamente aumentando, e il paese era sotto ipoteca col Fondo Monetario Internazionale, la cui formula standard per erogare i prestiti prevede la distruzione dell’educazione, l’assistenza sanitaria ed i programmi di previdenza sociale. L’uomo più ricco d’Islanda, Asgeir Johannesson – che durante gli ultimi cinque anni si era distinto come un fuorilegge – diede il via a una catena di supermercati il cui simbolo era un maiale strabico, il che suggerisce che gli dèi Nord potrebbero essere sì vendicativi, ma sicuramente non mancano di senso dell’umorismo.
L’Islanda fu solo la prima vittima, un hors d’oeuvre per la bestia. Ce ne sono molte altre. I primi a precipitare nella crisi furono i piccoli paesi alla periferia – la Lettonia, l’ Estonia e l’Irlanda – ma presto anche i Leviatani caddero nei tentacoli del Kraken.
L’industria di esportazione della Germania, il cuore della sua potente economia, è precipitata fino al 21%. Il tasso di crescita della Francia è stimata ad un misero 2%. Quello di disoccupazione in Spagna è del 14%, del 22% nel sud fortemente colpito da questa avversità. Il prodotto industriale svedese è in ribasso del 22.9 %. L’Ucraina, un’industria gigante con 46 milioni di persone, ha visto la sue economia restringersi fino al 6%. 16,5 miliardi di dollari di prestiti da parte del Fondo Monetario Internazionale mantengono temporaneamente solvente il paese, ma i suoi debiti esteri ammontano da soli a 105 miliardi di dollari.
L’Inghilterra – in cui la Thatcher e Tony Blair si dividono la colpevolezza per aver risvegliato il Kraken per primi – è un caso disperato. L’economia va restringendosi fino al 3%, e più di 2 milioni di persone sono senza lavoro. E come conseguenza dei programmi di previdenza sociale fortemente restrittivi dei Tories e del Labor elaborati negli ultimi 25 anni, un disoccupato riceve soltanto 85 dollari a settimana. Il risultato di tutto ciò è che, in Inghilterra ogni sette minuti, una persona perde la sua casa.
Sul piano virtuale, nessun paese è rimasto illeso, sebbene la crisi abbia colpito in modo più catastrofico l’Ungheria, la Lettonia e l’Austria, che hanno accettato il mito secondo cui l’economia fosse una cornucopia senza fine.
Le banche austriache danno prestiti a palate nell’Est Europa, fino al 60% di essi in valuta estera. Quando la crisi è arrivata, paesi come l’Ungheria e la Lettonia, dovettero cercare di restituire i prestiti in costosissimi euro, franchi svizzeri e dollari, mentre le loro valute colavano a picco. L’Austria si trova ora ad avere debiti per 371 miliardi di dollari, grosso modo uguale al suo prodotto interno lordo annuale. La disoccupazione è schizzata al 23,7 %.
I membri più recenti dell’Unione Europea (EU), tra cui la maggior parte dei paesi che facevano formalmente parte del blocco sovietico, presto scoprirono che, quando la faccenda si faceva complicata, ognuno pensava per sé.
Quando l’Ungheria chiese ai colleghi dell’EU un aiuto per uscire dalla crisi (bailout )[1], fu quasi buttata fuori. Inoltre, il gruppo dei 27 membri dell’Unione sembra meno interessato a combattere il Kraken che a salvare sé stessi, pronti ad attaccarsi l’un l’altro alla minima caduta della valuta.
Madrid ha intrapreso una campagna denominata “compra spagnolo”, Londra infervora gli animi con lo slogan “Lavori britannici per lavoratori della Gran Bretagna”, ed il presidente francese esorta i produttori di auto nazionali ad investire in patria, e non chissà dove in Europa. Quando l’acqua raggiunge il cassero, i liberi mercati vacillano.
L’amministrazione Obama sta spingendo gli europei ad alzare la posta in gioco utilizzando molto più denaro per un “bailout”, ma i membri dell’ EU si stanno tirando indietro. “Non pensiamo di aver bisogno di redigere nuovi pacchetti di stimolo, e sono sostenuta in ciò dall’industria tedesca” ha detto il cancelliere Angela Merkel al “Financial Times”.
Gli europei, d’altro canto, chiedono che gli americani accettino una regolazione globale della finanza, dato che molti nell’EU attribuiscono alla mancanza della suddetta le cause della crisi attuale. Ben lontana da tutto ciò, Washington resiste.
“La crisi economica globale sta incessantemente mostrando i difetti ed i limiti dell’EU” afferma l’ultimo ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer.
“Senza politiche economiche e finanziarie comuni la coesione dell’unione monetaria europea – nonché la sua vera e propria esistenza – saranno in un pericolo senza precedenti”.
La combinazione di bisticci all’interno del panorama europeo – alcuni dei quali provocati da un panico ormai fuori moda – e le differenze di idee con gli americani sulla questione della regolazione, sta a significare che oltre a pompare denaro nel Fondo Monetario Internazionale, ben poco può uscire dall’incontro ormai prossimo del gruppo del G20 previsto per il 2 Aprile a Londra.
Il G20 è composto da stati sviluppati e stati emergenti.
Le situazioni sono molte negative in Europa, ma almeno la regione ha delle reti di salvataggio per la gente, reti che includono nella maggior parte dei casi cure mediche gratuite, basso costo dell’educazione, e servizi alla comunità che addolciranno gli aspetti più duri della crisi. Non si può dire lo stesso per gli Stati Uniti.
Coloro che risentiranno in maniera più pesante di questa crisi saranno sicuramente le centinaia di milioni di persone in luoghi come Africa o Sud Asia che guadagnano con difficoltà un’esistenza marginale sopravvivendo con uno o due euro al giorno, e che non non hanno alcuna colpa per la crisi di proporzione mondiale. Il Kraken non infierirà poco su di loro.
Secondo il membro dell’UNESCO Kevin Watkins “Con il rallentamento della crescita generale previsto per il 2009, stimiamo che le entrate medie dei 391 milioni di africani che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno saranno colpite del 20%. Quando converti l’effetto sulla crescita economica in costi umani, il quadro diventa molto torvo. Le valutazioni più accurate sottolineano inoltre che la mortalità infantile crescerà tra i 200 mila e i 400 mila morti in più all’anno.
Nemmeno i poveri o quelli che in questa condizione si ritrovano da poco sono destinati a stare tranquilli. Una manifestazione in Islanda contò 7 mila individui, l’equivalente di 7 milioni in marcia negli Stati Uniti d’America. Il raduno in Irlanda di manifestanti ne contava 120 mila – poco più del 3% della popolazione totale – ed i lavoratori della “Waterford Crystal” assunsero il controllo dello stabilimento. Simili manifestazioni si sono svolte anche in Russia, Lettonia, Ucraina, Francia e Grecia. Man mano che la crisi si fa più profonda, aumenta la rabbia di coloro che sono coscienti di soccombere sotto il suo peso.
Nel libro di fantascienza del 1950 scritto da John Wyindham, “Il Kraken si sveglia “ (The Kraken wakes), gli alieni, eleggendo il mare a loro rifugio, paralizzano il mondo. Ma i governi, impegnati nella guerra fredda, si mostrano più interessati a combattersi l’un l’altro piuttosto che a fronteggiare l’invasione. Alla fine il “Kraken” viene distrutto quando i poveri abitanti di un villaggio di pesca, superando le proprie paure, assaltano le creature armati di piedi di porco e scuri. Il loro esempio si diffuse e l’invasione venne definitivamente sconfitta.
I dimostranti da soli non supereranno mai la crisi, ma esigono che il comportamento dei governi sia a loro favore, e non a favore della Goldman Sachs e dell’AIG. Certo, le banche devono essere salvaguardate, ma il modo più efficiente per realizzare tutto ciò è nazionalizzarle, e farlo in modo che le persone con i piedi di porco e le scuri abbiano potere decisionale in merito a come vengono spesi i loro soldi.
Secondo l’Asian Developmente Bank, la recessione costerà al pianeta 50 trilioni [migliaia di miliardi n.d.r.] di dollari. Tutto ciò è qualcosa che nessuno potrebbe immaginarsi neppure nell’incubo più terrificante.
Il G20 – in particolare i Tedeschi e i Cinesi – dovranno ingoiare il rospo e rinforzare il bailout.
Dovranno inoltre reintegrare i controlli ed i bilanci del credito, del capitale e delle banche, sistematicamente aboliti nel corso degli anni. E dovranno assicurarsi che anche i più vulerabili siano protetti.
Se l’avidità, l’egoismo e la timidezza trionfano, il Kraken sarà in attesa.
NOTA DEL TRADUTTORE
[1] Il “bailout” è il prestito di capitali ad un mercato che sta fallendo per salvarlo dalla bancarotta, dall’insolvenza, dalla totale liquidazione e dalla rovina. (tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Bailout ).
Titolo originale: “Europe in Crisis”
Fonte: http://www.counterpunch.org
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25.03.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ADERLAIS