L'ERESIA DEL PRIMO ORDINE: SIAMO I 'TERZI SCIMPANZ'

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blankDI JASON MILLER
Thomas Paine’s Corner

Su questo puntino, mucchietti di carbonio impuro e acqua, dalla struttura complicata, con proprietà fisiche e chimiche alquanto inusuali, si trascinano per qualche anno, fino a quando si dissolvono nuovamente negli elementi di cui sono composti”.
Bertrand Russell (1872-1970) da “Sogni e fatti”

La caratterizzazione nichilistica dell’homo sapiens operata da Russell inietta un po’ di senso delle proporzioni là dove ce n’è un gran bisogno, in un mondo in cui la nostra specie di primati intellettualmente evoluti soffre collettivamente di mania di grandezza. In “Sogni e fatti”, Russell mette ulteriormente in salvo il nostro complesso di Dio con il promemoria, potentemente capace di istillare umiltà, che il nostro sistema sociale non è altro che “una particella infinitesimale” e la Terra un mero “puntino microscopico”. In effetti, egli applica un balsamo lenitivo sul nostro ego ferito osservando che, “Nessun uomo potrà raggiungere la grandezza di cui è capace fino a quando non permetterà a se stesso di vedere la propria piccolezza”, ma la decimazione che infligge al nostro protervo senso di importanza rimane intatta.

Illustrazione: Bleeding Earth (‘Terra sanguinante’), di Psy-XX
Pur non soffrendo di inveterato odio verso me stesso e pur non essendo un misantropo alienato che si è isolato dal resto dell’umanità, scrivo questa breve geremiade come una decostruzione della nostra specie. E non ho intenzione di diluire le mie critiche esaltando le virtù, reali o immaginarie, dell’homo sapiens. Pollyanna è scappata di casa. Se siete troppo profondamente immersi nella nostra cultura narcisistica per dedicare un attimo del vostro tempo all’osservazione di un’immagine collettiva dell’umanità molto più esecrabile e ripugnante di quella di Dorian Gray, smettete di leggere e correte a tutta velocità alla volta della televisione. Potreste essere fortunati e arrivare in tempo per l’ultima bravata di Paris Hilton.

Il mio obiettivo, qui, è aggredire i parapetti del narcisismo, assalire i bastioni dello specismo e attaccare quella fortezza sempre più vulnerabile del nostro ego denominata antropocentrismo. Secoli fa Galileo insisteva nel dire che il Sole non ruotasse intorno alla Terra. Oggi c’è un crescente movimento di persone, tra cui ci sono anch’io, che sono altrettanto insistenti nel dire che l’universo non ruota attorno agli esseri umani.

Quale Dio sceglierebbe QUESTA specie?

In definitiva, anche lasciando da parte la prospettiva universale di Russell, che vede gli esseri umani come “mucchietti di carbonio impuro e acqua”, nell’ambito e nel contesto della Terra e dei suoi abitanti, abbiamo un’opinione decisamente distorta e infondatamente elevata della nostra significatività e della nostra importanza. Mentre ci vediamo collettivamente come la “specie prescelta da Dio”, non siamo nulla più che primati dotati di intelletto evoluto e capacità comunicative complesse. Eppure, sebbene i miti antropocentrizzanti che ci informano delle nostre “qualità divine” siano gli stessi che ci ricordano chiaramente le nostre fragilità umane (ovvero Adamo ed Eva e il peccato originale) e pur condividendo il 96% del nostro DNA con gli scimpanzé, nel complesso, comunque, come collettività arriviamo alla conclusione di essere superiori a tutti gli altri animali. Parallelamente all’atteggiamento mentale, ampiamente vituperato, da “razza padrona” diffuso da von List, Schopenhauer e dai propagandisti nazisti, la maggior parte dell’umanità abbraccia tenacemente l’ugualmente ripugnante idea di essere la “specie padrona”.

La realtà è che il ramo dell’albero evolutivo rappresentato dall’homo sapiens aveva le potenzialità di produrre il più succulento e nutriente dei frutti, capace di nutrire la Terra e perpetuare la sua capacità di sostenere quella merce preziosa che è la vita. Eppure, ad un certo punto, qualcosa è andato orribilmente storto. Le mele dell’umanità sono diventate troppo mature e la loro polpa infestata dai vermi si è avvizzita ed è marcita trasformandosi in una massa vischiosa e ripugnante simile a muco. Noi della specie homo sapiens abbiamo tradito la grande promessa insita nel nostro potente intelletto e siamo diventati, molto tempo fa, un enorme handicap invece che un patrimonio prezioso per la Terra e i suoi altri abitanti.

Di sicuro non esiste alcuna argomentazione razionale per contrastare l’asserzione che gli animali umani siano capaci di numerose gesta intellettuali, estetiche e tecnologiche, altamente complesse e stupefacenti. Eppure trasformiamo la nostra intelligenza in un tale feticcio da minimizzare o scartare del tutto le sorprendenti capacità di altri animali.

È vero che i lupi non useranno mai il calcolo infinitesimale per determinare i tassi di variazione o il volume di un solido. I babbuini non comporranno mai sonetti shakespeariani né elaborate coreografie. E i delfini non costruiranno mai veicoli leggeri, aerodinamici e dotati di motore a reazione che permettano loro di volare. Comunque, senza l’assistenza della tecnologia, gli umani non potrebbero volare come pipistrelli e uccelli, né usare l’ecolocalizzazione come i delfini, né rilevare i campi elettrici emessi da altri esseri come gli squali, né usare il campo elettrico della Terra per navigare come fanno gli uccelli, né fiutare uno specifico granello di sabbia sulla spiaggia come fanno i cani, né comunicare a distanza di due miglia come gli elefanti.

Nello schema culturale della supremazia umana, caratterizzato da autocompiacimento e autovenerazione, svalutiamo gli animali non umani e non teniamo in conto le loro capacità superiori alle nostre. È un’eresia del primo ordine suggerire che persino un cane, che pure è il migliore amico dell’uomo, possa esistere in quanto essere senziente egualmente rispettato e sollevarsi oltre lo status di proprietà, a prescindere da quanto sentimentali si possa diventare quando si tratta dei “propri” animali da compagnia. Perché? Perché se gli animali non umani cessassero di essere legalmente e moralmente (secondo la cultura dominante) soggetti al nostro perverso desiderio di soggiogare, dominare, alienare e sfruttare quasi ogni altro essere sul pianeta, i mezzi bacati mediante cui abbiamo organizzato la nostra esistenza, spesso denominati “civiltà”, collasserebbero in favore di un’alternativa radicale.

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Robotizzateli

Se smettessimo di negare che gli animali non umani meritano esistenze prive di catene e sfruttamento quanto noi, per non parlare della nostra mancanza di considerazione nei confronti della loro facoltà di sentire, invalideremmo le razionalizzazioni che placano il senso di colpa quando li macelliamo e ne mangiamo le carni putrescenti, quando li riduciamo ad entità simili a macchine usate per la produzione massificata di latte e uova, quando li freddiamo per “sport” (si immagini un duello in cui a solo uno dei contendenti sia permesso essere armato), quando effettuiamo barbari esperimenti di laboratorio in stile Mengele, quando impieghiamo miriadi di tattiche di tortura fisica e psicologica per addestrarli ad esibirsi per noi, quando li “schieriamo” come controfigure di soldati nemici in test crudeli e assassini eseguiti dai militari, e molto altro.

Piuttosto che riconoscere il corpus crescente di conoscenze che dimostrano che nel comprendere la complessità delle vite emotive, intellettuali e sociali degli altri animali stiamo appena graffiando la superficie, per la cultura dominante dello specismo e dell’antropocentrismo, è molto più conveniente – e di fatto essenziale – definire gli animali non umani come i complessi automi organici descritti da Cartesio. I “robot” non pensano, non provano emozioni assortite, né socializzano con altri robot. Quindi non possono soffrire e non può esservi obiezione morale al loro sfruttamento. Questa è la “logica”.

A quale costo?

Eppure, sebbene molti appartenenti alla specie homo sapiens si preoccupino poco o per nulla delle implicazioni morali dell’olocausto che stiamo infliggendo agli altri animali o dello stupro ai danni della Terra, la sottomissione degli animali non umani e della natura al nostro volere sta producendo un violento contraccolpo che incide su tutti noi.

In “Averting the China Sindrome” (‘Evitare la sindrome cinese’) ,
che ho scritto assieme a Steve Best, abbiamo riassunto l’inferno che abbiamo creato per noi stessi, gli altri animali e la Terra:

“In appena 10mila anni, un millisecondo in termini geologici, la civiltà dell’homo sapiens , incarnata dal paradigma disgustosamente rapace dell’antropocentrismo e del capitalismo specista occidentale, è riuscita a spingere il pianeta sull’orlo del collasso ecologico. Siccità, violenti uragani, scioglimento delle calotte artiche, orsi polari che affogano, sempre più frequenti carestie, rivolte per il cibo, ridotte riserve di acqua potabile, specie di piante e animali che scompaiono ad un ritmo allarmante, e una moltitudine di altri eventi spaventosi si stanno dispiegando più velocemente di quanto gli scienziati possano documentare. Scienziati da tutto il mondo lanciano segnali di avvertimento sul rapido restringimento della ‘finestra di opportunità’ per evitare un cambiamento climatico a livelli catastrofici, e lo scienziato NASA James Hansen ha avvisato il neoeletto presidente Obama che ha ‘quattro anni per salvare la Terra’ attraverso un cambiamento radicale delle politiche energetiche statunitensi o dovrà affrontare il reale potenziale del collasso ecologico nel momento in cui si arriverà ad un punto cruciale di capovolgimento”.

Specchio, specchio delle mie brame. Quale è la più brutta specie del reame?

La nostra puerile convinzione collettiva di essere superiori agli altri animali, convinzione che molti appartenenti alla specie homo sapiens difenderebbero con le unghie e con i denti, è sia una forma di delirio, sia un segno della nostra profonda insicurezza psicologica. Alcuni provano piacere persino nell’illusione di essere “in cima alla catena alimentare”, non rendendosi conto del fatto che noi esistiamo all’interno di una rete alimentare e che sia le attività sia la sovrappopolazione umane stanno estendendo tale rete fino al limite e oltre.

La triste realtà è che siamo 6 miliardi e mezzo di primati egocentici, autodistruttivi e rapaci (i “terzi scimpanzé, in realtà” come asserito da Jared Diamond) che si agitano frenetici ed orgiastici, acquistando e consumando quantità e varietà quasi infinite di giocattoli, gadget, dispositivi, gingilli, carabattole, abiti, automobili, yacht, case, aeroplani e molto altro ancora, al punto che se si cercasse di comprendere tutto ci si troverebbe con la testa che gira come una roulette a Las Vegas; abbuffandosi di ogni genere di “cibo” coltivato in stabilimenti, trasformato, industrializzato e geneticamente modificato; creando innumerevoli tonnellate di maleodoranti “rifiuti solidi” stipati così stretti in discariche grandi come canyon che non si decomporranno per decine di migliaia di anni; riversando, percolando o stillando milioni e milioni di galloni di fanghiglia, liquami, rifiuti tossici e sostanze chimiche pericolose in ruscelli, fiumi, laghi, oceani e falde acquifere; abbattendo foreste pluviali e millenarie con la furiosa rapidità di un Paul Bunyan, il leggendario gigante tagliaboschi, in pieno attacco psicotico da metanfetamina; intraprendendo guerre perpetue e, quindi, contaminando e annientando vasti campionari terrestri e devastando miriadi di ecosistemi; succhiando via grandi quantità di resti liquefatti di dinosauri per alimentare la nostra dipendenza da luccicanti scatole metalliche inquinanti su ruote e dall’agricoltura industriale, un male che stupra il pianeta e ha permesso alla popolazione dei terzi scimpanzé di crescere in modo esponenziale; mantenendo vasti arsenali di armi nucleari che potrebbero annientare in qualsiasi momento centinaia di milioni di umani e altri animali, e far piombare la Terra in un tetro inverno nucleare, e molto altro. Documentare tutte le attività scandalosamente sconsiderate, egoistiche e distruttive dell’homo sapiens richiederebbe un libro così voluminoso che per pubblicarlo sarebbe necessaria una considerevole fetta di una delle foreste millenarie già in corso di rapida sparizione.

“La partita Uomo contro Natura”

Comunque, essendo noi gli intelligenti piccoli primati bipedi che siamo, abbiamo eretto all’interno del mondo naturale un mondo artificiale che ci procura comodità e protezione e serve a proteggerci, almeno per ora, da molti dei danni inflitti alla Terra dalla nostra esistenza oscenamente orgiastica. Usiamo cemento, asfalto, malta, mattoni, acciaio, motori, computer e moltissimi altri materiali, sistemi di meccanizzazione e tecnologie per mantenere una barriera multistrato tra noi e il resto della natura, soddisfatti nella nozione di essere unici, speciali e superiori al punto che la Terra e gli altri abitanti sono semplici oggetti da usare ed abusare a nostra discrezione.

Le nostre case, i nostri uffici, le nostre scuole e le nostre automobili, in cui molti di noi trascorrono la maggior parte del proprio tempo, sono luoghi ermeticamente sigillati e climatizzati in modo da proteggerci dagli “effetti deleteri” dell’interazione diretta con la natura. Guidiamo e camminiamo principalmente su superfici pavimentate. Le nostre città gargantesche e le loro periferie in espansione incontrollata continuano a spuntare più veloci di funghi su una pila di compost in un granaio senza finestre, abbattendo quei fastidiosi alberi che ci bloccano la visuale sull’orizzonte; asfaltando prati trasandati e infestati da insetti; e riempiendo tutti quei terreni sprecati e privi di insediamenti umani di innumerevoli strade senza uscita costeggiate da pretenziose case McMansion costruite in serie, file e file di piccoli centri commerciali, due minimarket, un fastfood McDonald’s, uno Wendy’s e un Pizza Hut all’angolo di ogni strada appena lastricata. La DuPont ci ha promesso una vita migliore attraverso la chimica e ci ha dato una grande quantità di disinfettanti, pesticidi, funghicidi, erbicidi e svariate altre armi nella guerra per tenere a bada gli elementi selvaggi. La maggior parte di noi partecipa ad un’economia che impiega la divisione di lavoro e denaro alienandoci ulteriormente dal resto del pianeta. Mentre la tecnologia e le corporation, ossia i nostri principali mezzi di “difesa contro la natura”, avanzano e proliferano, ci separiamo sempre più dalla natura in una triste amplificazione del modo alienato in cui esistiamo sulla Terra.

La televisione (l’oppio dei popoli che Marx non avrebbe potuto prevedere) ci intrattiene, ci indottrina, ci desensibilizza e ci pacifica. Essa serve anche da principale fossato emotivo ed intellettuale attorno al nostro castello di artificialità. Sapendo di catturare l’attenzione e arrestare il pensiero di miliardi di noi per molte ore al giorno, sette giorni su sette, le corporation che determinano il contenuto della programmazione televisiva si avvantaggiano pienamente di questa opportunità per assicurarsi che il consumismo, il culto della ricchezza, il narcisismo e molte altre patologie (che sia i programmatori che i programmati sono stati addestrati a ritenere “normali”) continuino ad infettare la nostra psiche malata, potenziando quindi i propri profitti ed evitando che molti di noi vedano foss’anche di sfuggita il mondo che non è stato distorto dal labirinto di specchi deformanti che pervade la nostra coscienza.

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Sì, siamo stati e siamo ancora piccoli scimpanzé monelli e non importa con quanta furia ci diamo da fare per nascondere sotto la carta da parati gli assassinii, i tumulti, la distruzione e la contaminazione che lasciamo sulla nostra scia, e non importa con quanta veemenza neghiamo la nostra colpevolezza per l’ecocidio, l’olocausto animale e l’onnicidio che incombono, la carta da parati inevitabilmente si affloscia e viene via, e i nostri dinieghi si assottigliano come lame di rasoio, portando allo scoperto l’insopportabile verità che una piccola specie scimmiesca del cazzo è sul punto di estinguere se stessa, milioni di altre specie e, cosa alquanto possibile, la capacità della Terra di sostenere la vita.

In qualche misura siamo tutti conniventi. E tutto questo incide su di noi, che lo ammettiamo o meno. Le nostre anime sono macchiate del rosso acceso dei fiumi di sangue dei macellati, dei fucilati, dei torturati, degli scuoiati, dei percossi e degli sbudellati; le nostre orecchie sono rese sorde dal chiasso cacofonico delle urla disperate degli indifesi che sopportano un’intera vita di agonia per soddisfare i nostri piaceri momentanei; i nostri nasi sono assaliti dal puzzo terrificante di legioni di cadaveri putrescenti, montagne di immondizia fetida, il fumo acre eruttato da miliardi di ciminiere e tubi di scappamento, e da tutti gli altri odori tossici e nauseanti della civiltà industriale; e la nostra psiche è forzata oltre il limite dall’intensa dissonanza cognitiva che nasce dal preservare l’autoillusione di essere essenzialmente buoni mentre partecipiamo al costante stupro di gruppo perpetrato ai danni della Terra e di quasi tutti gli altri abitanti del pianeta da parte della nostra truppa, forte di 6 miliardi e mezzo di “terzi scimpanzé”.

Quelle puttane aziendali che ancora smentiscono a gran voce che l’umanità stia uccidendo il pianeta possono raccogliersi sotto gli stendardi di demagoghi idioti come il senatore James Inhofe e dei compari dell’industria come David Martosko del Center for Consumer Freedom (‘Centro per la libertà dei consumatori’), i quali strombazzeranno le virtù della civiltà industriale fino alla fine del tempo, ma i loro sforzi per perpetuare la cultura del Thanatos in definitiva saranno contrastati in uno dei seguenti modi:

1. Quelli di noi che li contrastano prevarranno nella lunga lotta per la liberazione totale di umani, altri animali e la Terra.

2. Mentre infuria la battaglia e persiste il sistema delle corporation, Madre Natura debellerà la specie homo sapiens dalla Terra, proprio come il nostro sistema immunitario elimina i virus.

3. I veneratori del profitto, della proprietà e di se stessi prevarranno sui liberazionisti e la natura e sosterranno artificialmente la “vita” umana nel tecno-inferno distopico di un pianeta privo di acqua potabile, flora e fauna, prima di esaurire, finalmente, l’ultima delle loro risorse depredate, spirando con un uggiolio patetico, essendo riusciti a “realizzare” con successo l’onnicidio e l’ecocidio.

Quindi chiedete a voi stessi, o miei simili “terzi scimpanzé”, cos’è più importante? Il nostro ego e il nostro comfort, o la perpetuazione della vita sulla Terra?

Jason Miller è un implacabile anticapitalista, uno ‘straight edge’ vegano, un animalista liberazionista, e il responsabile dell’ufficio stampa del North American Animal Liberation Press Office (NAALPO). è inoltre redattore e fondatore del sito Thomas Paine’s Corner.

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Titolo originale: “Heresy of the First Order: We are the “Third Chimpanzees””

Fonte: http://thomaspainescorner.wordpress.com
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02.06.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN

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