DI LEONID SAVIN
Strategic Culture Foundation
AuroraSito
L’embargo petrolifero dell’UE che
ha recentemente colpito l’Iran e le minacce espresse dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali di future ulteriori sanzioni contro il paese, hanno portato gli osservatori a concludere che infine un conflitto armato tra l’Iran e l’Occidente diventa imminente.
Il primo scenario potenziale nel contesto è che l’attuale situazione di stallo poi degenererebbe in una guerra. Le forze degli USA nell’area del Golfo attualmente contano 40.000 effettivi, oltre 90.000 sono schierati in Afghanistan, appena ad est
dell’Iran, e molte migliaia di truppe di supporto sono dispiegate in diversi paesi asiatici. Aggiungendo ciò a un notevole potenziale militare che comunque non può fornire quello che serve per tenere sotto controllo tutto, se le ostilità armate dovessero scoppiare. Per esempio, Colin H. Kahl sostiene in un recente articolo su Foreign Affairs che, anche se “non c’è alcun dubbio che Washington vincerà in senso strettamente operativo” (1), gli Stati Uniti avrebbero dovuto prendere in considerazione una vasta gamma di problemi pertinenti.r>
Al momento, mantenere lo status quo non è nell’interesse degli Stati Uniti, ritiene Stratfor, un’agenzia di intelligence globale statunitense: “Se al-Assad sopravvive e se la situazione in Iraq procede come ha proceduto, allora l’Iran sta creando una realtà che definirà la regione. Gli Stati Uniti non hanno una coalizione ampia ed efficace, e certamente non una che si possa radunare in caso di guerra. Hanno solo Israele… “(2) Se il conflitto con l’Iran prende la forma di una lunga campagna di bombardamenti e si presenta come un prologo all’occupazione del paese, gli Stati Uniti avranno bisogno di rafforzare la loro posizione nelle regioni adiacenti, il che significa che Washington cercherà di trascinare le repubbliche caucasiche (Georgia, Azerbaijan) e quelle dell’Asia centrale nella sua orbita politica, e quindi stringendo la “stretta dell’anaconda” intorno alla Russia.
Uno scenario alternativo merita attenzione. Le sanzioni UE farebbero sicuramente male a molte economie europee – in particolare, Grecia, Italia e Spagna – di rimbalzo. Infatti, il capo della diplomazia spagnola, José Manuel García-Margallo, ha descritto senza mezzi termini la decisione delle sanzioni come un sacrificio (3). Per quanto riguarda l’Iran, il blocco petrolifero può causare al suo bilancio annuale una contrazione di 15-20 miliardi di dollari, che in genere non dovrebbe essere critica ma, come le elezioni parlamentari del paese e le elezioni presidenziali del 2013 che si stanno avvicinando, l’Occidente attivamente puntella l’opposizione interna, da cui dei focolai di disordini in Iran potrebbero probabilmente derivarne.
Teheran ha già messo in chiaro che farebbe seri sforzi per trovare acquirenti alle sue esportazioni di petrolio altrove. Cina e India, rispettivamente numero uno e numero tre dei clienti dell’Iran, hanno momentaneamente spazzato via l’idea delle sanzioni USA. Il Giappone ha garantito il supporto a Washington sulla questione, ma non avvierà alcun tipo di piano specifico per ridurre i volumi di petrolio che importa dall’Iran. Il Giappone, tra l’altro, è stato duramente colpito nel 1973 quando Wall Street ha provocato una crisi petrolifera e le garanzie degli Stati Uniti si dimostrarono vuote. Di conseguenza, ci si può aspettare che Tokyo approcci le sanzioni suggerite da Washington con la massima cautela e chieda agli Stati Uniti garanzie inequivocabili che la Casa Bianca non sarà in grado di fornire. In questo momento, gli Stati Uniti stanno corteggiando la Corea del Sud con l’obiettivo di farle tagliare le importazioni di petrolio dall’Iran.
L’opposizione crescente ai piani che preparano lo scenario militare di Cina, Russia, e India sembra mantenere la promessa di una alleanza di paesi che cercano di domare l’egemonia e l’unilateralismo furioso degli Stati Uniti. Gli analisti di Stratfor hanno puntato sul fatto che il tempo non è dalla parte degli Stati Uniti, considerando che i paesi BRIC hanno qualche opportunità di influenzare la situazione nella zona del potenziale conflitto, con il lancio di manovre congiunte anti-terrorismo e anti-pirateria nel Mare Arabico e nel Golfo Persico. Ecc.
Indurre il cambiamento di regime in Iran, l’obiettivo finale di Washington, ha ancora un pretesto. Gli Stati Uniti hanno da tempo adocchiato varie fazioni in Iran, nella speranza di sfruttare le rivalità nazionali esistenti nel paese, impiegando parallelamente la tecnica consolidata delle rivoluzioni colorate, come il sostegno al Movimento Verde o la creazione di una ambasciata virtuale per l’Iran. Richard Sanders, un critico della politica estera degli Stati Uniti, ha rilevato che, almeno dall’invasione del Messico alla fine del secolo XIX, gli Stati Uniti hanno sempre invocato il meccanismo degli incidenti come pretesto per la guerra, compilando varie giustificazioni per i suoi interventi militari (4).
L’arci-conservatore statunitense Patrick J. Buchanan ha evocato, nel suo articolo di opinione intitolato “Did FDR Provoke Pearl Harbor?”, una visione abbastanza comune secondo cui circoli finanziari statunitensi hanno deliberatamente provocato l’attacco di Pearl Harbor per trascinare gli Stati Uniti in una guerra lontana, con l’obiettivo di assicurarsi il primato mondiale dell’impero del dollaro (5). La lezione da trarre dalla storia della guerra del Vietnam, e cioè del golfo del Tonchino, in cui l’USS Maddox entrò nelle acque territoriali del Vietnam e aprì il fuoco sui natanti della sua marina militare, è che il conflitto iniziale venne similmente provocato dalla comunità dell’intelligence USA, e il risultato fu che il Congresso
degli USA autorizzò LBJ a impegnarsi militarmente in Vietnam (a proposito, nessuna reazione fece seguito, nel giugno del 1967, quando gli israeliani attaccarono la USS Liberty, uccidendo 34 persone e ferendone 172). I concetti moralmente caricati di interventi umanitari e guerra al terrore furono giustamente invocati anche per legittimare le aggressioni ingiustificabili contro la Jugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan.
Parlando degli sviluppi in corso nel Golfo Persico, la scelta di Washington di pretesti per un’aggressione comprende almeno tre opzioni, vale
a dire (1) il dossier nucleare dell’Iran, (2) una escalation progettata
nello Stretto di Hormuz, (3) accuse che l’Iran sostenga il terrorismo
internazionale. L’obiettivo degli Stati Uniti dietro la pressione
sull’Iran per il suo programma nucleare – spingere tutto il mondo
ad accettare le regole del gioco di Washington – non è mai stato
veramente nascosto. Il discorso abbondantemente allarmista ha lo scopo
di distogliere l’attenzione dalla semplice verità che la costruzione
di un arsenale nucleare con l’aiuto di tecnologie nucleari civili,
è assolutamente impossibile, ma Matthew H. Kroenig del Council on Foreign
Relations di recente è andato sul punto avvertendo che l’Iran un
giorno passerà le sue tecnologie nucleari al Venezuela (6). La motivazione
deve essere quella di, in qualche modo, raggruppare tutti i critici
della politica estera degli Stati Uniti.
Lo Stretto di Hormuz, che è il collo di bottiglia marittimo del Golfo Persico, è considerato l’epicentro della imminente nuova guerra. Serve come via per le forniture di petrolio da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar,
Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, ed è quindi strettamente monitorato
da tutte le parti suscettibili di entrare in conflitto. Secondo il dipartimento
dell’energia degli Stati Uniti, nel 2011 il transito del petrolio
attraverso lo Stretto di Hormuz ammontava a 17 miliardi di barili, ovvero
circa il 20% del totale mondiale (7). I prezzi del petrolio dovrebbero
aumentare del 50% se succedesse qualcosa di inquietante nello Stretto
di Hormuz (8).
Passando attraverso lo Stretto di Hormuz, si naviga attraverso le acque
territoriali di Iran e Oman. L’Iran concede a titolo di cortesia
il diritto di navigare attraverso le sue acque sulla base del trattato
delle Nazioni Unite sul trasporto merci marittimo. Ciò deve essere
inteso in relazione alle dichiarazioni ricorrenti di Washington relative
alla Stretto di Hormuz, che a questo proposito gli Stati Uniti e Iran
hanno lo stesso peso giuridico, come i paesi che hanno scritto ma non
ratificato il trattato, e quindi gli Stati Uniti non hanno alcun diritto
morale di riferirsi al diritto internazionale. L’amministrazione
iraniana ha sottolineato recentemente, dopo consultazioni con gli organi
legislativi nazionali, che Teheran sarebbe forse oggetto di una revisione
della normativa in base al quale sono ammesse navi straniere nelle acque
territoriali iraniane (9).
Le marine dovrebbero anche rispettare certe leggi internazionali, in particolare, quelle che definiscono la distanza minima da mantenere dalle navi di altri paesi. Si parlare costantemente nei media statunitensi di navi iraniane che rischiosamente si avvicinano alle navi statunitensi
ma, come notano gli osservatori, provocatori come i separatisti del
Belucistan iraniano, sponsorizzati dalla CIA, in alcuni casi potrebbe
essere usati per dei trucchi sotto mentite spoglie.
Le probabilità sono che una parte del piano dell’embargo petrolifero sia quello di fare incontrare all’Occidente problemi di approvvigionamento di petrolio e iniziare la costruzione di oleodotti in Arabia Saudita, Bahrein, Oman, Yemen, Qatar e Iraq, come percorsi alternativi per raggiungere le rive del Mar Arabico, Mar Rosso e Mar Mediterraneo. Alcuni di questi progetti, la pipeline Hashan-Fujairah per esempio, sono ad oggi in fase di attuazione. Se questa è l’idea, la spiegazione dietro la tendenza di Washington a convincere i suoi alleati a creare una infrastruttura “più sicura” è semplice. La geopolitica è una realtà ineludibile, che deve essere presa in considerazione, però, se i paesi della regione rimangono chiusi in una varietà di conflitti e, per ragioni geografiche Teheran sarà un giocatore chiave, anche se gli oleodotti vengono avviati.
Poiché la nuova strategia militare degli Stati Uniti implica la concentrazione su due regioni – il Grande Medio Oriente e il Sud Est Asiatico – la questione dello stretto di Hormuz sembra accoppiarsi a quella dello Stretto di Malacca, che offre il percorso più breve per la fornitura di petrolio dall’Oceano Indiano a Cina, Giappone, Corea del Sud e resto del Sud Est Asiatico. La disposizione implicita dei fattori nel processo decisionale dei paesi asiatici riguardo l’Iran.
Il precedente della “guerra al terrore” – una campagna durante la quale gli Stati Uniti occuparono sotto dubbi pretesti Iraq e Afghanistan, al costo di migliaia di vite – deve anche essere tenuto a mente. Tempo fa, la Casa Bianca ha sancito le attività sovversive contro varie parti dell’amministrazione iraniana, compresi i Guardiani della Rivoluzione Islamica. L’ex agente della CIA Philip Giraldi scrive che gli agenti statunitensi e israeliani sono stati attivi in Iran per un bel po’ di tempo e sono responsabili dell’epidemia del virus Stuxnet e per la serie di omicidi di fisici nucleari iraniani. I
gruppi in Iran che si sono allineati con i nemici del paese sono Mujahidin
del Popolo Iraniano, i separatisti del Belucistan del Jundallah, il cui leader Abdolmajid Rigi è stato arrestato nel febbraio del 2010 dalle forze di sicurezza iraniane e ha ammesso di aver collaborato con la CIA, e il curdo Vita Libera del Kurdistan (10).
In sostanza, una guerra contro l’Iran – a livello di guerra segreta – è in corso. Il problema che le parti in causa stanno cercando di risolvere è trovare un modo di prevalere senza entrare nella fase “calda” del conflitto.
Note:
(1) Colin H. Kahl, Not Time to Attack
Iran, Foreign
Affairs, 17 gennaio 2012.
(2) Iran,
the US and the Strait of Hormuz Crisis,
Stratford, 17 gennaio 2012.
(3) La
UE acuerda vetar las importaciones de petroleo de Iran, La Vanguardia, 23 gennaio 2012.
(4) Richard Sanders, How to Start a War: The
American Use of War Pretext Incidents,
Global Research, 9 gennaio 2012.
(5) Did FDR Provoke Pearl Harbor?
(6) Recent
Events in Iran and the Progress of Its Nuclear Program, 17 gennaio 2012.
(7) World Oil Transit Chokepoints, www.eia.gov
(8) Michael T. Klare, Danger Waters, 10 gennaio 2012.
(9) Mahdi Darius Nazemroaya, La Geo-Politica dello Stretto di Hormuz: Può la Marina degli Stati Uniti essere sconfitta dall’Iran nel Golfo Persico?, Global Research, 8 gennaio 2012.
(10) Philip Giraldi, Washington’s Secret
Wars, Antiwar.com,
8 dicembre 2011.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Articolo originale: The Conundrum of Iran
Fonte: L’enigma dell’Iran
27.01.2012