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blankDI GIANLUCA FREDA
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L’attacco della resistenza irachena alla base americana di Camp Falcon

La sera del 10 ottobre del 2006, gruppi armati della resistenza irakena colpivano la base americana di Camp Falcon, la più grande base americana in Iraq, 13 chilometri a sud della Zona Verde di Baghdad. La base venne rasa completamente al suolo, con un’immensa esplosione di cui avevo a suo tempo presentato il filmato (lo ripropongo qui sotto). Al momento dell’attacco, nella base si trovavano circa tremila persone, quasi tutte di nazionalità americana, tra soldati, ufficiali e personale addetto a varie mansioni. Gli incendi generati dall’esplosione continuarono a divampare per giorni e giorni. Le autorità del Ministero della Difesa americano si affrettarono a dichiarare che non c’erano state vittime, che nella base c’erano solo un centinaio di persone (a sorvegliare equipaggiamento militare del valore di miliardi e miliardi di dollari!) e che nella base c’erano stati solo un paio di feriti lievi.

La verità, come non è difficile immaginare, è molto diversa.Nell’attacco alla base Falcon la macchina militare americana perse buona parte del suo equipaggiamento militare e dei suoi veicoli da trasporto, fra i quali sei elicotteri Apache e un numero imprecisato di Humvee (le jeep blindate dell’esercito). E’ anche per questo che la situazione irakena è oggi completamente fuori controllo e che le notizie (non ufficiali) che vengono dalla Zona Verde parlano di “conquistatori” assediati nel loro stesso fortilizio, quotidianamente bersagliati da colpi d’artiglieria ai quali non hanno alcuna possibilità di reagire.

Contrariamente alle ridicole affermazioni delle autorità americane, il giorno successivo all’esplosione si contarono almeno 319 vittime dell’attacco, anche se il numero effettivo delle perdite non è mai stato reso noto. A questo indirizzo potete trovare un elenco delle vittime accertate (certamente molto inferiori alla cifra reale). La lista è stata redatta grazie ai registri dell’ospedale militare americano di al-Habbaniyah, che si trova 70 km. a ovest di Baghdad. Il personale dell’ospedale riferì di aver iniziato a ricevere personale militare americano deceduto o ferito nelle ore immediatamente successive all’esplosione. I giornali americani e occidentali si sono guardati bene dal dare risalto a questa vicenda, che è di fatto passata quasi totalmente sotto silenzio. Alcune foto satellitari dei resti della base (che già a suo tempo avevo pubblicato) vennero diffuse dall’agenzia russa Novosti Press. Si trovano con una semplice ricerca su internet e danno un’idea abbastanza precisa del disastro. Di questa catastrofe militare americana il cittadino occidentale che non possieda una connessione internet e non sia abituato a procurarsi l’informazione dalle fonti alternative (solitamente in lingua inglese) non ha avuto alcuna notizia. Se si pensa che le truppe americane vennero ritirate dalla Somalia in seguito all’abbattimento di un solo elicottero BlackHawk, non è difficile immaginare quali sarebbero potuti essere gli effetti sulla presenza militare americana in Medio Oriente se la notizia di questo macello fosse arrivata all’opinione pubblica. Fortunatamente (per il Pentagono) i media hanno compiuto ancora una volta il loro dovere, che è quello di nascondere e manipolare le notizie vere e scomode, sostituendole con tonnellate di scemenze senza importanza che mantengono distratto l’uomo della strada, sostituendo la realtà con un universo virtuale in cui il citrullo disinformato può bearsi e continuare a compiere il suo dovere di schiavo-consumatore.

Il disastro della Base Falcon spiega anche alcuni “strani” sviluppi della politica americana dell’ultimo anno, per esempio le inspiegabili “dimissioni” di Donald Rumsfeld. E’ vero che Rumsfeld aveva gestito la guerra in Iraq nel peggiore dei modi, che era un inetto sanguinario e ignorante, che la sua presenza nell’amministrazione americana rischiava di offrire all’opposizione democratica un facile strumento propagandistico per guadagnare consensi alle elezioni. Ma la presenza di personaggi squallidi e incapaci nell’amministrazione USA non era certo limitata a Rumsfeld e ciò non è mai stato fonte di preoccupazione per il potere d’oltreoceano. Senza contare che Rumsfeld, per quanto indegno, avrebbe saputo difendersi benissimo da qualunque accusa con la stessa faccia di bronzo che lui e i suoi compagni di massacri avevano mostrato in altre occasioni. Il vero motivo delle dimissioni di Rumsfeld fu probabilmente quello di offrire ai generali americani, già infuriati per l’incapacità del governo USA, un capro espiatorio per il disastro di Camp Falcon. Disastro ignoto al lettore citrullo del New York Times o del Corriere della Sera, ma fin troppo conosciuto dagli alti ufficiali dell’esercito, umiliati e sconfitti dal tragico mix di incapacità dei vertici politici e di abilità strategica della troppo sottovalutata resistenza irakena.

Qui sotto traduco la testimonianza che la solita fonte interna alla Green Zone (che pubblica regolarmente i propri reportage nella rubrica Green Zone Folies, presso www.tbrnews.org ) diede a suo tempo dell’esplosione di Camp Falcon, a cui ebbe modo di assistere dal palco d’onore della sua postazione sita a pochi chilometri di distanza.

“Baghdad, 12 ottobre 2006,

Martedì scorso ero nella mia stanza a scrivere una lettera a un amico. Sapevo che sarebbe stata censurata, perciò cercavo di essere il meno preciso possibile riguardo le condizioni in cui si vive quaggiù.

Intorno alle 23.00 ci fu un’immensa esplosione a sud della Zona Verde, seguita, a intervalli, da altre esplosioni molto forti, che furono in totale circa trenta o quaranta e andarono avanti per tutta la notte. Salii sul tetto e vidi una grande fontana di fiamme, ondate di fumo e detriti incandescenti che schizzavano in aria come fuochi d’artificio del quattro di luglio.

Il personale correva per tutto l’edificio, con gli occhi sbarrati dal terrore, domandandosi se la nostra base sarebbe stata colpita subito dopo. Normalmente, sentire esplosioni lontane che provengono da varie zone di Baghdad è per noi routine quotidiana. Succede ogni volta che un nuovo convoglio salta in aria a causa delle bombe degli insorti. Ma questa volta il rumore fu molto più forte e durò molto più a lungo di qualunque altra cosa che avessi mai udito.

Fu impossibile dormire con tutte quelle esplosioni e al mattino mi feci la barba e andai nel mio ufficio. Tra parentesi: sono fortunato ad avere una stanza le cui finestre non siano rivolte verso Baghdad. Gli insorti hanno fucili da cecchino, di solito americani, calibro 50, situati in edifici da cui si può controllare la zona da lontano; più di una volta, membri del personale che si stavano radendo davanti alla finestra del bagno si sono ritrovati col cervello spiaccicato sui muri dopo che il cecchino li aveva presi di mira. Il suono degli spari arriva dopo e mai, neppure una volta, gli uomini della nostra sicurezza sono riusciti a individuare le postazioni dei cecchini.

In ufficio ho appreso che la Base Falcon di Operazioni Avanzate, una delle belle idee dei nostri ufficiali anziani con la testa nelle nuvole per piazzare postazioni fortificate in vari luoghi (come ad as-Saqr, capitale della provincia di Al Anbaar), era stata colpita da un’azione nemica, si era incendiata ed era poi improvvisamente esplosa a causa del surriscaldarsi delle tonnellate di munizioni in essa immagazzinate.

Camp Falcon si trova a Sukkaniya, nel quartiere meridionale di Baghdad chiamato ad-Durah. La “Base Falcon di Operazioni Avanzate” era la più recente e la più altamente fortificata delle nostre postazioni.

C’era il forte rischio che attentatori suicidi di Ramadi cercassero di attaccare la Falcon con veicoli carichi di esplosivo, perciò intorno alla base erano state disposte pesanti barriere di cemento, studiate proprio per prevenire simili attacchi. Ciò non ha scoraggiato i membri della Resistenza, che hanno sparato contro la Falcon lo stesso tipo di proiettili di mortaio che sparano in continuazione contro il cosiddetto “super sicuro” quartier generale della Zona Verde. La Falcon era ache il più grande arsenale di armi del Quartier Generale Americano a sud di Baghdad ed era dunque un bersaglio molto appetibile. In quest’occasione, come abbiamo poi sentito dire (ma gli ufficiali negano!), la Resistenza ha usato razzi Grad e Katyusha invece dei soliti proiettili di mortaio e i risultati sono stati immediati, duraturi e assolutamente devastanti.

L’installazione è ora ricolma di macerie fumanti e, ancora il giorno successivo, il fuoco continuava a divampare. Benché sia molto difficile fare stime precise, l’inventario dei beni della Falcon indica che il danno economico è stato certamente superiore al miliardo di dollari.

Questo per ciò che riguarda la perdita di beni. La perdita di vite è stata molto peggiore.

Oltre 300 soldati americani, tra cui membri dell’Esercito Americano e dei Marines, agenti della CIA, traduttori e contractor sono stati uccisi o feriti nell’immediatezza dell’attacco o sono morti subito dopo durante il viaggio verso l’ospedale o all’interno dell’ospedale stesso; più di 125 persone sono state gravemente ferite e richiedono cure speciali; altre 39 persone hanno riportato ferite minori. Secondo alcune testimonianze, frammenti di corpi carbonizzati e assolutamente irriconoscibili sono sparsi per tutti gli otto isolati della base.

122 membri delle forze armate irakene sono stati uccisi e 90 membri delle stesse, gravemente feriti, sono stati anch’essi evacuati verso l’ospedale militare americano di al-Habbaniyah, sito 70 km. a ovest di Baghdad. Il personale medico di al-Habbaniyah ha inizialmente dichiarato che l’ospedale militare che si trova all’interno della vicina base aerea occupata dagli americani aveva iniziato a ricevere persone morte e ferite. L’ospedale militare di al-Habbaniyah, il più grande dell’Iraq occupato, è stato aperto il 12 maggio di quest’anno in conseguenza del crescente (ma decurtato) numero delle vittime americane.

All’inizio, tre grandi aerei militari da trasporto, con le insegne della Croce Rossa sotto le ali e sulla fusoliera, sono atterrati nella base e le vittime sono state scaricate e inviate all’ospedale della base di al-Habbaniyah. A livello ufficiale, com’era prevedibile, abbiamo rilasciato un fiume di “comunicati ufficiali” in cui si diceva che c’era “solo qualche persona ferita e nessuna vittima”. Altrettanto prevedibilmente i nostri uomini hanno reagito in modo isterico, scagliando selvaggiamente bombe e razzi a casaccio su varie zone di Baghdad, uccidendo 120 civili irakeni e ferendone un numero imprecisato, appiccando incendi che continuavano a divampare il mattino seguente. Secondo voci insistenti, un container di proiettili d’artiglieria, che avrebbe dovuto contenere tra l’altro una specie di gas nervino (da usare contro le roccaforti dei militanti irakeni… le ombre di Hussein!) si sarebbe rivelato fasullo. Si trattava in realtà di semplice gas lacrimogeno, grazie a Dio, o a quest’ora saremmo tutti morti!

Ormai dovrebbe essere ovvio che le cifre relative alle vittime militari in Iraq e Afghanistan sono pesantemente sottostimate. Ad esempio, tre giorni fa c’era qui un giovane ufficiale che ha parlato con molti di noi. E’ assegnato alla base aerea da cui i corpi dei caduti vengono inviati a Dover, nel Maryland. Stando a ciò che ci ha detto, il mese scorso egli ha supervisionato il carico di oltre 170 feretri militari, ma stranamente le cifre ufficiali del Ministero della Difesa riportano solo una frazione di questo numero. Naturalmente egli non è al corrente di nomi, solo di numeri, e magari qualche alto ufficiale o qualche furfante della Halliburton sta inviando droga o fanciulle minorenni negli Stati Uniti nascondendole nei feretri, però quell’uomo non aveva motivo di mentire. Sarà interessante vedere se il sito del Ministero della Difesa pubblicherà il numero dei morti dell’incidente alla Base Falcon. Il tempo ci darà le risposte, ma loro no di certo. [E infatti né i nomi, né il numero esatto delle vittime della Base Falcon sono stati mai pubblicati sul sito del MdD americano, NdT]”

Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
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21.12.2007

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