Secondo una recente ricerca dell’università di Tel Aviv l’utilizzo della CRISPR, tecnica vincitrice del premio Nobel che comporta la scissione e la modifica del DNA per il trattamento di certe condizioni, comporta dei rischi dal momento che può danneggiare il genoma.
Questa tecnica (definita dal Comitato per il premio Nobel nel 2020 “rivoluzionaria perché in grado di guidare le scienze della vita verso una nuova epoca che porterà grandi benefici all’umanità”) scinde le sequenze di DNA in posizioni specifiche per eliminare segmenti indesiderati o riparare o introdurre segmenti benefici.
È stata sviluppata circa 10 anni fa e, al momento, è considerata fondamentale per curare alcune malattie genetiche degli adulti (successi sono stati ottenuti finora in malattie come l’emofilia, la talassemia e l’anemia falciforme), ma la ricerca in questo settore spazia dalle malattie genetiche, in particolar modo quelle rare (come la distrofia muscolare di Duchenne, la beta-talassemia e la fibrosi cistica), ai tumori, passando per le malattie neurologiche (Alzheimer e Parkinson), fino alle malattie infettive (HIV). L’utilizzo della CRISPR è inoltre in studio nel campo degli xenotrapianti, in particolare degli organi suini, per la terapia di malattie umane, ma è bene sapere che presenta anche dei rischi derivanti proprio dalla scissione poiché il DNA rotto non è sempre in grado di riprendersi. I ricercatori israeliani, infatti, scrivono: “Il metodo di modifica del genoma CRISPR è molto efficace ma non sempre sicuro. A volte i cromosomi scissi non si riprendono e la stabilità genomica è compromessa, il che a lungo termine potrebbe promuovere il cancro”.
In questo lavoro scientifico, che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Biotechnology, gli autori hanno ripetuto un esperimento già autorizzato in precedenza (nel 2020) presso l’Università della Pennsylvania in cui altri colleghi avevano applicato la tecnologia CRISPR ai linfociti T, globuli bianchi del sistema immunitario, e hanno potuto riscontrare che fino al 10 per cento delle cellule trattate, dunque una percentuale significativa, finisce col perdere materiale genetico. Proprio tale perdita, dichiarano, può provocare la destabilizzazione del genoma e, in seguito, il cancro.
Scrivono gli autori a riguardo: “Il genoma delle nostre cellule spesso si rompe per cause naturali, ma di solito è in grado di ripararsi da solo senza causare danni. Tuttavia, a volte, un determinato cromosoma non è in grado di riprendersi e grandi sezioni, o addirittura l’intero cromosoma, vengono perse, tali interruzioni cromosomiche possono destabilizzare il genoma e spesso lo vediamo nelle cellule tumorali. Pertanto, la terapia CRISPR in cui il DNA viene scisso intenzionalmente come mezzo per curare il cancro potrebbe, invece, in scenari estremi, promuovere tumori maligni”. Di conseguenza, pur riconoscendo i possibili risultati della tecnologia CRISPR, gli studiosi mettono in guardia contro i potenziali pericoli avvertendo che “occorre prestare maggiore attenzione quando si utilizzano questo genere di terapie” e propongono metodi alternativi meno rischiosi per procedure mediche specifiche raccomandando ulteriori ricerche “su due tipi di potenziali soluzioni: ridurre la produzione di cellule danneggiate o identificare le cellule danneggiate e rimuoverle prima che il materiale venga somministrato al paziente”.
È SEMPRE BENE quando vengono esaminati tutti gli aspetti, sia positivi che negativi, di nuovi farmaci/nuove cure e si cercano risposte. Le terapie geniche sono recenti e ne sappiamo ancora troppo poco nonostante ci siano già abbastanza studi sull’argomento, è il caso quindi che la comunità scientifica approfondisca bene e valuti nel dettaglio ogni volta gli eventuali benefici, ma anche e soprattutto tutti i reali limiti.
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VB