DI SARA ROSENBERG
Insurgente.org
La scrittrice Sara Rosenberg
riflette dalla Spagna sull’assassinio di Gheddafi.
1. Le parole e le immagini
Un uomo viene picchiato mentre un gruppo
rumoroso lo circonda registrando con il telefono cellulare la sua atroce
agonia e i rantoli del torturato appeso alla grata di quella che sembra
essere una finestra.
È stata la prima immagine che ho potuto
vedere di coloro che venivano definiti “ribelli” libici nel
marzo del 2011. Un’immagine che ha spiegato senza alcun dubbio chi fossero.Era
barbarie e non ribellione. Ed è un’immagine che disgraziatamente non
ho potuto cancellare.La parola ribelle in quel momento viveva
tra le parole rubate e denigrate dai media.
Quale ribelle potrebbe provare soddisfazione
dalla tortura, mi chiedevo. Chi erano questi ribelli con i telefoni
cellulari, che riuniti festeggiano il dolore di un essere umano. Non
c’era dubbio.
Non c’erano ancora molte informazioni
sul CNT, ma una sezione della “sinistra” scese in piazza con
fameliche manifestazioni, gridando “Né con la NATO, né con Gheddafi”,
vale a dire preferisco stare a casa perché non voglio compromettere
la mia posizione confortevole di cittadino di una potenza imperiale,
non voglio smettere di far parte di questa civilizzazione colonizzatrice,
eurocentrica e pirata come è sempre stata. E, non parlandone, mi pongo
tra i critici dei regimi “non perfetti” senza analizzare i
processi ma solo le rivoluzioni astratte, la natura dei governanti piuttosto
che le forme di governo, e sostengo silenziosamente con la mia complicità
gli affari finanziari e militari della NATO.
Peccato. La cosiddetta “Sinistra
Europea”, salvo onorabili casi che tutti conosciamo – il
PCE, Red Roja, PCPE (sinistra radicale spagnola) – fece una piroetta
macabra e scoprì che Gheddafi non era il rivoluzionario ideale di cui
avevano bisogno per poter aprir bocca contro il genocidio di un popolo
e appoggiarono così la NATO con un discorso di estrema sinistra che
poteva commuovere solo il più puro tra i puri, quelli che non sono
in grado di comprendere le contraddizioni di ogni processo; questo mi
ha portato a fare affidamento alle vecchie teorie marxiste per capire
che cosa stava accadendo: il vissuto determina la coscienza. Ed era
successo ancora una volta.
Sì, nella Spagna otanista (ndt: aggettivo
relativo alla OTAN, NATO in castigliano) – il computer mi corregge sempre
e mette onanista – il discorso perverso della purezza e della moralità
ha inondato i dibattiti politici, con il vecchio trucco del sentimentalismo.
Peccato. Comprensibile, perché si difende ancora quest’astratto “Stato
del benessere democratico”, che è come l’asino con la carota davanti,
che dipende dal saccheggio imperiale (Repsol, Sacyr, Endesa, Telefonica,
eccetera) dei popoli del mondo che non hanno lo “stato sociale
europeo”, non vogliono “la democrazia all’Europea”
e lottano per la propria sovranità e la democrazia diretta, partecipativa
e socialista.
Dimenticandosi delle più elementari
regole scientifiche – o almeno dell’analisi razionale della politica
-, hanno condiviso la costruzione del mostro Gheddafi, necessaria per
rimanere in silenzio di fronte alle atrocità che la NATO e i suoi mercenari
locali, molti dei quali addestrati a Guantanamo, stavano commettendo
in nome della “ribellione”.
Il copione è stato eseguito passo
dopo passo. E ogni volta che i media utilizzano i “ribelli”,
parola da loro coniata dal primo giorno, mi viene il vomito. E torna
ancora l’immagine di partenza di un uomo torturato, mentre altri lo
registrano e distruggono il suo corpo a calci. Che tempi questi, direbbe
mia nonna, una sopravvissuta ai pogrom zaristi.
È vero, la guerra è crudele, si uccide
e si muore. Ma la tortura in diretta e l’allegria per questa tortura
ha creato una distanza incolmabile tra la parola che i media
utilizzavano con insistenza e ciò che si vedeva a occhio nudo.
La parola ribellione è bella.
Difficile da mettere in pratica, difficile da mantenere, difficile da
capire e da accettare come caratteristica tipicamente umana , porta
della conoscenza e della vita che si sceglie. Ribellarsi contro questo
capitalismo marcio è l’unica cosa che qualsiasi persona onesta può
e deve fare.
Ma il grado di distorsione dell’immagine
dell’uomo ucciso dal gruppo “ribelle” rovinava la parola e
mi faceva ricordare quelle di Rosa Luxemburg: “O socialismo
o barbarie“, come se avesse anticipato il suo omicidio, come
se sapesse quanto erano fredde le acque del fiume dove sarebbe stato
gettato il suo cadavere.
Il socialismo, un’altra parola purtroppo
rubata e che dobbiamo necessariamente recuperare. Perché ciò che è
qui chiamato socialismo è neoliberismo e neocolonialismo, barbarie.
Chiediamo spiegazioni sull’enorme spesa militare spagnola per le guerre
neocoloniali, per l’espansione delle basi militari, per il sostegno
incondizionato per le malefatte della NATO, mentre tutti i nostri diritti
di base sono e saranno tagliati ulteriormente.
L’immagine di un uomo impiccato, picchiato,
scuoiato, era l’annuncio di quello che avrebbero fatto al popolo libico
e oggi è successo con l’assassinio del colonnello Gheddafi. Nessuno
si è stancato di mostrare l’immagine pornografica del suo volto insanguinato,
per diffondere il terrore, il terrorismo degli stati membri della mafia
militare finanziaria denominata NATO.
Purtroppo, nemmeno nelle assemblee
del 15M (Movimento degli Indignados) è stato possibile concordare
una condanna dei bombardamenti della NATO, né una condanna del genocidio
del popolo libico. È qualcosa su cui stiamo continuando a lavorare,
informare, discutere, per cercare di creare un movimento internazionale
di solidarietà che possa liberarsi dalle bugie dei media e dalla
manipolazione costante.
2. Guardando a sud
In Argentina la dittatura ci ha rubato,
tra le tante cose importanti, la parola “processo”. A volte le persone
ancora la usano al posto della parola “dittatura”, perché i militari
chiamavano il colpo di stato militare un “processo di Riorganizzazione
Nazionale“.
Al di là delle anime nobili che
si dedicano a purificare le contraddizioni proprie del processo rivoluzionario
in nome di una rivoluzione così pura da paralizzarsi nel cassetto della
scrivania, la storia continua con i suoi chiaroscuri, a un ritmo lento
ma sicuro, con cambiamenti concreti in America Latina e nel mondo.
Perché i processi di liberazione
e di indipendenza sono contraddittori, difficili, pieni di colpi di
scena, luci e ombre e anche errori, ma non si può dimenticare che è
da tutto ciò che viene la sua ricchezza, l’esperienza per rimodellare,
correggere e andare avanti nella lotta contro l’imperialismo. Perché
nessuna rivoluzione si fa in un giorno ed è un processo permanente.
E le rivoluzioni, o i processi di riforma
sociale che si svolgono nei paesi della nostra America, richiedono il
saper guardare e il voler vedere.
Ci sono processi evidenti e ovviamente
molte contraddizioni perché, a eccezione di Cuba, in tutti i paesi
dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe), il potere economico
è ancora conteso da vecchie oligarchie che resistono all’intervento
dello stato nazionale o multinazionale e cercano il sostegno dei vecchi
alleati imperialisti. Non è una cosa insolita, considerando il copione
recitato in Libia e in procinto di essere applicato in Siria (si spera
di no) che, contro la nazionalizzazione delle risorse naturali e strategiche,
dà vita ai “gruppi ribelli” finanziati dalle grandi multinazionali
in nome della “democrazia”, cercando di destabilizzare i governi
eletti e rieletti dalla maggioranza. È facile distruggere, ma è difficile
costruire un sogno marziano di libertà e giustizia per tutti.
Ma il cammino intrapreso è irreversibile
perché i paesi che sono stati devastati dall’imperialismo, dove il
genocidio è stato una pratica comune, hanno imparato e hanno una memoria
attiva .La gente ha iniziato il proprio processo (parola felicemente
recuperata) di indipendenza. Siamo sulla buona strada per un’organizzazione
sempre più politica. C’è una giustizia distributiva che garantisce
educazione, salute, alloggio e lavoro alle masse popolari da secoli
sfruttate ed emarginate. Questa politica di riforme e di giustizia sociale
è ancora possibile grazie alla nazionalizzazione di settori economici
strategici, attraverso la creazione di un grande fronte latino-americano
di difesa contro le incursioni costanti e le politiche militari dell’impero
americano e europeo grazie alla creazione di un banco latino americano
e , in fine , grazie al percorso intrapreso per l’unità continentale,
per la quale, prima di noi, hanno combattuto Bolivar, San Martin e Martí.
E questo grande fronte latino-americano,
che è in uno stato di consolidamento, verrà attaccato più volte
dagli stessi interessi che hanno massacrato il popolo libico, con la
complicità terribile di molti intellettuali che non hanno alzato la
propria voce di condanna, e che per questo hanno assecondato.
Ma come è stato possibile cadere
in una situazione del genere? Come è possibile che coloro che hanno
la possibilità di essere ascoltati hanno detto solamente sciocchezze
e sono stati un’eco mostruoso della NATO?
Ci sono domande che dovremmo farci,
e ci sono domande che ci permetteranno di individuare chi è a favore
dell’indipendenza e contro l’imperialismo e chi non ci accompagnerà
in questa lotta, che sarà senza dubbio lunga e sanguinosa.
L’impero ha bisogno di governi docili,
Stati deboli, politici corrotti e obbedienti, confusione di idee, la
ripetizione del copione per “proteggere i civili ” con le
bombe all’uranio al fine di continuare a saccheggiare le risorse naturali
per le esigenze geostrategiche.
Nessun processo di cambiamento è
puro e lineare, naturalmente, e si sviluppa gradualmente un nuovo approccio
e un modo di intendere lo Stato e la giustizia sociale. E sono proprio
queste conquiste che dobbiamo difendere dalla strategia imperialista
che favorisce continuamente i colpi di stato, la destabilizzazione dei
governi eletti a larga maggioranza, la penetrazione e la corruzione
dei movimenti sociali, il finanziamento del terrorismo, gli embarghi,
l’intervento e le sanzioni infami ogni qualvolta un governo libero e
sovrano, come nel caso del Venezuela, decide di realizzare una propria
rivoluzione.
In questo periodo, in Bolivia sono
stati scelti col suffragio universale, con elezioni regolari e partecipate,
i giudici per formare la nuova magistratura della nazione. Un evento
rivoluzionario che pone fine alla piaga di uno dei poteri più corrotti
dal carattere vitalizio e di classe. Allo stesso tempo, c’è stata
la marcia degli indios amazzonici contro la costruzione dell’autostrada
diretta a La Paz. Ma i media, come sempre, mentono sulla proposta
costante di dialogo che il governo di Evo Morales richiede per risolvere
il conflitto. Quanto meno è curioso che questa marcia coincida con
un’elezione importante come quella di cui ho parlato, che toglie la
Magistratura dalle mani della vecchia oligarchia. I media hanno
cercato di creare un clima di violenza, campagne “ecologiste”
“a favore degli indigeni” progettate con rapidità. Bambini morti
che non sono mai esistiti. Tuttavia, se oggi esiste al mondo un governo
democratico aperto al dialogo, questo è il governo boliviano. E, nonostante
i tentativi dell’opposizione per destabilizzare il paese e creare conflitti,
il Presidente Morales ha parlato di nuovo con i nativi e ha raggiunto
un accordo.
E, se parlo della Bolivia come di un
modello di dialogo politico orizzontale e democratico, è anche per
ricordare che l’ALBA ha proposto con chiarezza e forza il dialogo tra
i settori in conflitto in Libia prima del bombardamento della NATO.
Che poi il colonnello Gheddafi aveva proposto varie volte per evitare
la guerra. Ma l’opposizione in Libia, i “ribelli” armati e
finanziati dalla NATO, stava seguendo il copione del terrore, il copione
della guerra imperialista , il copione della distruzione e della divisione
del paese. Basta leggere come l’Europa “democratica” intende
discutere gli accordi per questa divisione .Basta ascoltare le parole
di Sarkozy, che pretende che chi più ha investito nella distruzione
debba avere una fetta più grossa della torta. Oppure Obama che celebra
le virtù dei droni e dei suoi partner europei che hanno fatto bene
il lavoro sporco. Quali democrazie possono esportare questi signori
e come osano parlare a nome della democrazia, quando le città di Stati
Uniti ed Europa sono piene di gente del popolo che chiede a gran voce
un cambiamento e una vera democrazia che non sia la dittatura dei mercati
che loro rappresentano? Basta aggiungere che anche l’ALBA ha proposto
una soluzione pacifica, negoziata alla situazione infuocata in Siria.
E neppure l’opposizione siriana ha accettato un dialogo, ma con il testo
già scritto, chiede l’aiuto alle potenze europee per rovesciare il
governo.
Scrivo sotto l’influenza del dolore
per i morti di queste guerre che si sarebbero potute evitare. Ma la
guerra è un affare terribile di questo sistema perverso. Con l’assassinio
del colonnello Gheddafi, hanno distrutto i principi più elementari
della decenza e del diritto internazionale. E i popoli, quelli realmente
ribelli, un giorno giudicheranno i mercanti genocidi della NATO.
Fonte: Las palabras y las imágenes
23.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VINCENZO LAPORTA