LE CAUSE MONETARIE DELLA CRISI DELL'IMMIGRAZIONE

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blankDI RICHARD C. COOK
Global Research

Il “Washington Consensus” ha distrutto le loro economie

Non c’è nulla di misterioso nella crisi dell’immigrazione che colpisce gli USA, o nella presenza di dodici milioni – e forse più – di stranieri irregolari, o nel fatto che molti di più ne stiano arrivando proprio nel quartiere a fianco al tuo. Vengono negli Stati Uniti perché sono esseri umani che hanno bisogno di mangiare. Ne hanno bisogno perché vogliono vivere. Non hanno di che mangiare nei loro Paesi perché lì non c’è lavoro. E non c’è lavoro perché le politiche monetarie del “Washington Consensus” hanno distrutto le loro economie. E questo per avvantaggiare quei finanzieri che stanno dietro al Washington Consensus, inclusi coloro che in quegli stessi Paesi hanno il ruolo di partner nel dirigere i programmi di prestito che hanno causato danni così ingenti.

Cosa può esserci dunque di più appropriato per i burocrati e politici di Washington che hanno approvato tali politiche, che vedere quegli immigrati – a cui hanno rovinato la vita – rivolgere loro un cenno di saluto, mentre sono intenti a falciare i loro prati, potare gli arbusti e riparare le loro case?
Per non parlare di coloro che chiedono a gran voce servizi sociali ed amnistie, che marciano per strada nei cortei, che vogliono portare i propri familiari con sé, che potrebbero iniziare ad affermare che gli USA sono davvero il loro paese, e alcuni dei quali riempiono i carceri degli Stati al confine. Poi ci sono quelli che ogni anno mandano a casa miliardi di dollari per sorreggere le economie così orribilmente povere dei loro sfortunati paesi d’origine. Quando lavoravo al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti girava una barzelletta:

domanda: “Cosa disse Davy Crockett quando si affacciò da Fort Alamo?”

risposta: “Da dove è venuta fuori tutta quella gente che cura i prati?”

Non è per niente una barzelletta, soprattutto se si pensa a quanto gli immigrati clandestini che lavorano a salari bassi colpiscano il sostentamento di tanti cittadini americani. O quando si considera la sofferenza dei clandestini per le loro famiglie disperse, nel nascondersi alla legge, senza aver accesso alla sanità, maltrattati dai criminali che li trasportano attraverso le frontiere, o nel vivere ogni giorno ai margini se non in condizioni disumane.

Il Washington Consensus è quella serie di condizioni monetarie ed economiche imposte ai paesi in via di sviluppo dal FMI attraverso i “Programmi di aggiustamento strutturale” (PAS), insieme a disposizioni simili imposte dalla Banca Mondiale e da altre agenzie politiche ed economiche occidentali come condizioni per ottenere prestiti.

I PAS fanno parte di una più ampia agenda economica neo-liberista, chiamata da giornali come il Washington Post “riforme di libero mercato”, in maniera piuttosto eufemistica. In realtà sono il prezzo pagato dai paesi per i prestiti ricevuti da banchieri internazionali che controllano i prestiti su larga scala ai propri governi. Questi programmi hanno profonde radici storiche. Il FMI e la Banca Mondiale risalgono agli accordi di Bretton Woods alla fine della II GM.

Mentre gli accordi miravano a stabilizzare il sistema monetario mondiale e di fatto rendevano il dollaro la moneta mondiale di riserva, essi avevano l’implicito intento di assicurare agli USA un bilancio commerciale positivo per mantenere l’economia di piena occupazione generata dalla II GM. Era previsto che tutte le nazioni del mondo facessero parte di questo sistema. Quando l’URSS rifiutò di partecipare, facendo avere così la precedenza ad obiettivi statunitensi, dichiarammo l’inizio della Guerra Fredda.

I PAS prevedono la privatizzazione di risorse e aziende pubbliche, la rimozione delle barriere agli investimenti delle società multinazionali, la vendita dei patrimoni di stato, l’eliminazione di ogni controllo dei prezzi e sussidi dal mercato dei beni di consumo, la riduzione delle business tax ed il licenziamento dei dipendenti pubblici.

Poi ci sono gli accordi di libero scambio come il NAFTA, che ha distrutto le aziende agricole a conduzione familiare in Messico. Le condizioni includono anche la trasformazione delle economie locali verso la produzione di beni d’esportazione, l’allontanamento dall’agricoltura locale autosufficiente e dalla piccola impresa. Ciò solitamente si traduce in esodi di massa da aree rurali a tuguri urbani, causa povertà, disoccupazione e criminalità.

Questi programmi finanziari avvantaggiano le ben istruite elite locali, che lavorano per le agenzie occidentali e le società internazionali, ma al tempo stesso causano una stratificazione profonda e permanente tra le classi sociali. Il risultato è stato lo stesso in ogni parte del mondo, soprattutto nei Paesi dell’America Latina, in Africa, nel sud dell’Asia e nell’Europa dell’Est. Ovunque, il tenore di vita della maggioranza della popolazione locale è basso.

Si sta diffondendo una crisi globale, mentre l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) denuncia che la disoccupazione nel mondo non è mai stata così alta. I paesi in via di sviluppo sono esposti allo sfruttamento, principalmente perché non hanno sistemi monetari indipendenti. La maggior parte di essi usa il dollaro come moneta di riserva, il che alimenta il sistema di “riserva frazionaria” operato da rami di banche che hanno i propri quartieri generali negli Stati Uniti, in Canada, Europa e Giappone. I paesi del posto pagano un alto prezzo per questo servizio, non soltanto perché pagano i tassi di interesse di mercato ma anche perché i profitti lasciano il paese verso centri finanziari dislocati altrove.

Anche pignoramenti e bancarotte fanno sì che le proprietà migrino al di fuori del paese d’origine. Ma il cambiamento in atto è vigoroso. Il Venezuela, ad esempio, si è ritirato dal FMI e dal WTO e programma di farcela con mezzi propri utilizzando i ricavi del petrolio. Altri paesi dell’America Latina iniziano a lavorare con il Venezuela, così come con Russia e Cina, alla ricerca di fonti di finanziamento alternative. La Cina sta rimpiazzando il FMI in alcuni Stati africani, fornendo prestiti senza condizioni ed usando i dollari ottenuti nel commercio con gli USA.


[Un cartello in una zona al confine tra USA e Messico dove avvengono spesso tentativi di ingresso non consentito]

È probabile che il Washington Consensus andrà scomparendo mentre il resto del mondo cresce e si rende conto che i vincitori della II GM non potranno mantenere per sempre tutti gli altri sotto il loro controllo. La domanda è se gli USA tramonteranno tentando di controllare il resto del mondo con la forza, come stanno facendo in Medio Oriente, o se troveranno un modo di adattarsi alle nuove realtà e vivere in pace nel ruolo di partner di altri popoli e nazioni.

Una cosa è certa: l’unico modo per impedire che l’onda di immigrati clandestini sommerga gli USA, il Canada e l’Europa, è che essi aiutino i loro fratelli meno fortunati a diventare benestanti. Questo significa abbandonare il Washington Consensus e le pretese dei finanzieri occidentali di dominare (quasi) totalmente le risorse mondiali. Significa, soprattutto, aiutare i paesi in via di sviluppo ad istituire sistemi monetari che possano liberare la produttività della propria gente, dei propri minerali e della propria terra.

Il problema è che gli USA e altri paesi industrializzati per primi non hanno sistemi monetari democratici. Loro stessi soffrono il baratro di ingenti somme di debiti impossibili da pagare, dovuti al sistema di riserva frazionaria che avvantaggia le elite finanziarie a discapito dei propri popoli. In effetti, il cittadino medio dei paesi più ricchi diventa ogni giorno più povero e da un punto di vista economico somiglia sempre più a quegli immigrati che minacciano il suo posto di lavoro.

Avvolta attorno al deteriorarsi delle economie nazionali cariche di debiti, c’è la bolla finanziaria globale che, come sa ogni analista responsabile, prima o poi dovrà sgonfiarsi. La risposta non è il cosiddetto “atterraggio morbido”, che in realtà è solo un crack finanziario mondiale “controllato” che potrebbe durare un decennio o più, con i ricchi in posizione di vantaggio nel riciclare e proteggere le proprie risorse. Piuttosto, l’autore ha scritto una serie di recenti relazioni basate su oltre venti anni di studi con il Tesoro degli Stati Uniti e il movimento per la riforma monetaria. Questo programma spiega come gli USA possono creare un nuovo sistema monetario utilizzando i loro principi costituzionali, che tratterebbero il credito come un servizio pubblico piuttosto che come il privato campo da gioco di chi controlla la moneta.

Gli stessi principi potrebbero essere applicati anche dai paesi in via di sviluppo. Una volta adottati, le nazioni potrebbero costruire economie locali sane e produttive, basate sulla massimizzazione dell’autosufficienza e partecipi di un sistema di commercio regionale e mondiale che avvantaggi tutti. Non ci sarebbe più alcun motivo per milioni di persone di rischiare la propria vita, la salute ed il benessere scappando dalla propria terra a causa della povertà che vi trovano. Non c’è davvero altra soluzione.

Richard C. Cook è l’autore di “Challenger Revealed: An Insider’s Account of How the Reagan Administration Caused the Greatest Tragedy of the Space Age”. Analista federale in pensione, la sua carriera include ruoli presso U.S. Civil Service Commission, Food and Drug Administration, Carter White House e NASA, seguite da ventuno anni al Dipartimento del Tesoro USA. Adesso è scrittore e consulente da Washington DC, ha collaborato alla stesura della riforma monetaria per l’American Monetary Institute. Il suo libro sulla riforma monetaria “We hold these truths”, sarà pubblicato prossimamente nel corso dell’anno. Il suo sito internet è www.richardcook.com. I suoi articoli sulla riforma monetaria sono stati pubblicati su Global Research, Dissident Voice, the Arizona Free Press, e altri. Inoltre collabora abitualmente con Global Research.

Fonte: http://www.globalresearch.ca
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02.06.2007br>

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di LUCA PAOLO VIRGILO

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