L'ASSE ROMA – TEHERAN

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DI GIULIO MEOTTI
The Wall Street Journal

Quando si tratta di
placare la Repubblica Islamica, nessun’altra nazione
occidentale si china in
giù quanto l’Italia.

Tra
l’indignazione internazionale sulle brutalità del
regime iraniano al
proprio popolo, il Ministro degli Esteri Italiano Franco
Frattini, ammonisce
l’Europa: ” Non si devono chiudere i ponti con
l’Iran che è una figura
chiave nella regione”. Affinché si respinga ogni
azione militare per
fermare il programma dell’armamento nucleare di
Teheran, Frattini ha esortato
l’Occidente ad “evitare quelle sanzioni che
colpiscono l’orgoglio nazionale degli
iraniani”.

Quel che può
sembrare un ingenuo appello per una più riuscita
diplomazia, può essere facilmente interpretato come un
invito a salvaguardare
gli interessi lucrativi delle imprese.Per
comprendere le preoccupazioni di Frattini sull’orgoglio
nazionale iraniano
si deve sapere che dopo la Germania – dove queste false
polemiche contro le
sanzioni economiche hanno grande successo – l’Italia è
il più importante
partner commerciale Europeo dell’Iran.

La lista
delle circa 1000 compagnie italiane attive in Iran include
nomi
del calibro di Eni – il gigante energetico è il più
grande partner commerciale
Europeo dell’Iran, secondo la Camera di Commercio
italo-iraniana – nonché FIAT,
Ansaldo, Maine Tecnimont, Danieli e Duferco.

Le compagnie
italiane non si occupano solo dei settori civili o
energetici (la Maine Tecnimont ha
appena
concluso un affare di 200 milioni di euro per le forniture
di gas in Iran) ma
riforniscono il regime militare, hanno contribuito al
satellite dell’Iran e
forse anche al programma delle armi nucleari.

Prendiamo il
caso della Carlo Gavazzi Space. Questa compagnia italiana
ha contribuito con l’Iran per il suo programma di
satelliti Meshab per le
telecomunicazioni. “I satelliti per le
telecomunicazioni” possono essere
facilmente deviati per scopi militari e usati, per esempio,
come satelliti spia
o più minacciosamente, per favorire la localizzazione di
attacchi nucleari.

Nonostante
questo rischio, il progetto Mesbah ha avuto il sostegno
politico di Roma, come La Stampa ha riportato in questi
giorni. L’ambasciatore
italiano a Teheran di allora, Riccardo Sessa, era presente
alla cerimonia della
firma dell’affare nel 2003, secondo l’agenzia
ANSA.

Secondo i
termini dell’accordo, la Carlo Gavazzi Space, non solo
vende
il prodotto finito, ma anche il
trasferimento di tecnologie e know-how.

In una
relazione del progetto Meshab, pubblicata su internet nel
2005,
L. Zucconi, dirigente della Carlo Gavazzi Space, spiega che
la sua compagnia “ha lavorato in stretta
cooperazione con l’
ITRC (Iran Communications Research Center)/IROST (Iranian
Reseach Organization
for Science and Tecnology) nella progettazione, nello
sviluppo e nella
produzione del sistema MESBAH…il Modello di Volo è stato
prodotto in parte in
Italia e in parte in Iran, con il piano della suddivisione
del lavoro definito
con ITRC/IROST…Il satellite Mesbah sarà controllato da
una Ground Station
situata a Teheran, gestita dal personale dell’
ITRC/IROST.
I
1000 terminali usati per il sistema verranno
prodotti dalle industrie iraniane”.

“Avendo iniziato il progetto Mesbah, la
Repubblica Islamica dell’Iran ha acquisito strutture e capacità spaziale, facendo
dell’Iran
un nuovo protagonista della comunità spaziale pronto ad
affrontare nuovi e
impegnativi progetti.” Carlo Gavazzi Space “guarda avanti
ad una futura cooperazione”.

Due mesi fa,
il Generale Mahdi Farahi, dirigente dell’Industria
Iraniana
Aereospaziale, disse che la Carlo Gavazzi Space vorrebbe
contribuire al lancio
nello spazio del modello successivo, il Mesbah-2. La
compagnia italiana ha però
smentito.

Chiedendogli
dei loro affari iraniani, il direttore generale della Carlo
Gavazzi Space, Roberto Aceti, mercoledì mi disse che la
sua azienda si fida
delle “informazioni Iraniane a proposito
dell’utilizzo finale del nostro satellite” ,
scartando ogni possibilità di
un uso militare del loro “hardware”.

Un altro
esempio è l’IVECO, succursale della FIAT. La truckmaker, fin dai primi anni 90, ha
consegnato in Iran migliaia di veicoli, e sul suo sito web
si vanta della linea
di assemblaggio joint-venture in Iran.

Il problema
è che alcuni di questi camion, come mostrato nella foto a
qui vicino [accanto al titolo N.d.r.], possono essere anche usati per il trasporto dei
missili iraniani.

I membri
dell’Opposizione Iraniana dicono che questi camion vengono
usati anche per altri scopi sinistri: le pubbliche
impiccagioni degli
omosessuali e dissidenti. Io ho visto una foto che mostra
queste esecuzioni su
un camion IVECO, durante una mostra a Roma nell’ottobre
2007, organizzata dalla
più grande organizzazione italiana contro la pena di morte,
“Nessuno tocchi
Caino”.

Maurizio
Pignata, direttore dell’ufficio stampa dell’IVECO,
mercoledì mi
assicurò che i loro veicoli, come quello nella foto con il
missile a Teheran, “sono venduti per scopi
civili”. Aggiunse
tuttavia che la compagnia “non può sapere gli ulteriori utilizzi dei
suoi
camion. La fotografia del carro con il missile mostra un
veicolo IVECO
convertito per scopi differenti. In Cina usano i nostri
camion per le pubbliche
esecuzioni dei prigionieri. Quindi noi non possiamo sapere
se i nostri veicoli
vengono usati in Iran per scopi militari o
repressivi”.

Anche la Guardia Rivoluzionaria – il
cui ruolo è quello di
proteggere il regime e formare i terroristi – beneficia
dell’ingegneria
italiana. Le forze di sicurezza paramilitari acquistarono i
progetti del
pattugliatore “Levriero” della compagnia italiana FB
Design nel 1998.

Quando i media italiani riportarono
questo e altri affari
che questa compagnia concluse con gli Iraniani, il
fondatore e proprietario
della FB Design, Fabio Buzzi, fu sorprendentemente franco:
“E’ vero, non è un
mistero, ho venduto barche e tecnologie agli iraniani”,
disse all’ANSA nel
2008. “Noi vendiamo regolarmente progetti e tecnologie ai
servizi segreti
iraniani”, ammise. Buzzi disse poi nella stessa
intervista che interruppe gli
affari con gli iraniani solo dopo che dei funzionari degli
USA lo
interrogarono, nel 2005 sulle forniture alla Guardia
Rivoluzionaria”.

Citando fonti del Pentagono, Emanuele
Ottolenghi scrisse nel
suo libro del 2009, “Under a Mushroom Cloud: Europe, Iran
and the Bomb”, che la
copia iraniana del Levriero dell’FB Design faceva parte
della flotta della
Guardia Rivoluzionaria e sembrava intenzionato a provocare
uno scontro con tre
navi da guerra statunitensi, due anni fa. Nel gennaio del
2008, nello stretto
di Hormuz, queste barche si avvicinarono pericolosamente ai
vascelli americani,
minacciandoli via radio.

Gli italiani potrebbero avere, anche
se inconsapevolmente,
contribuito a proteggere il programma nucleare dell’Iran.
Un portavoce della
Sali la settimana scorsa mi disse che l’impresa stava
lavorando a diversi
progetti di tunnel da costruire in Iran, dal valore di
oltre 220 milioni di
euro, inclusa la metropolitana di Teheran e la galleria
idraulica nel Nasud e nel
Kerman.

Il sito web della compagnia dice che
una delle trattative si
è appena conclusa, inclusa anche la vendita di
attrezzature e assistenza
tecnica alla compagnia iraniana Ghaem, una ditta delle
Guardie Rivoluzionarie,
secondo il Tesoro degli Stati Uniti.

Il know-how tecnico e i macchinari per
la costruzione dei
tunnel sono ovviamente risorse fondamentali per gli sforzi
del regime per
nascondere gli impianti nucleari.

“I rapporti dei servizi segreti
hanno più volte suggerito
che gran parte del programma nucleare clandestino si sta
attuando sotto terra,
nei bunker che sono accessibili attraverso i tunnel –
tunnel che solo con la
tecnologia come quella fornita dalla
[società tedesca] Wirth e Seli si
possono costruire”, un rapporto del 2008 del Centro Studi
Strategici israeliano
Begin-Sadat..

Quando gli chiesi dei suoi affari
iraniani, il presidente
della Seli, Remo Grandori , mi disse mercoledì che “le
nostre macchine e le
nostre abilità non vengono usate per scopi militari,
altrimenti non avremmo
avuto l’autorizzazione dal Ministro degli Esteri
Italiano”. Poi lo pressai un po’
e riconobbe che “i tunnel Seli
sono come
larghe miniere. L’Iran può di certo usare quei tunnel
per nasconderci le armi,
ma non sono a conoscenza di questo”.

Grandori aveva anche intuizioni
interessanti nel sostegno di
Roma per le aziende italiane che cercavano dei contratti
con gli iraniani. “L’ambasciata
italiana a Teheran ci fa da intermediario per gli affari,
ci aiuta a riempire l’ampio
divario di attrezzature creato dalle restrizioni degli
Stati Uniti. C’è
inevitabilmente un ruolo politico nei nostri affari”.

Nonostante le sanzioni internazionali
contro l’Iran, le
esportazioni italiane verso la Repubblica Islamica sono
aumentate nel 2008 del 17%
con 2.17 miliardi di euro secondo l’Ufficio Statistico
Italiano. Nello stesso
anno, il commercio globale è aumentato anch’esso del 17%
con 7 miliardi di
euro, rappresentando così più di un quarto del totale
degli scambi dell’UE con
l’Iran. Negli ultimi tre anni l’Italia è stato il
partner commerciale europeo
N°1 dell’Iran.

“L’Iran e l’Italia sono stati
grandi rivali e due grande
potenze nei tempi antichi, ma nel mondo contemporaneo sono
grandi partners”, la
Camera di Commercio italo-iraniana proclama con orgoglio
sul suo sito web.

Creata nel 1999 in seguito a un
accordo di cooperazione
italo-iraniano firmato tre anni prima dal precedente Primo
Ministro Romano
Prodi, la Camera di Commercio italo-iraniana oggi è la
più grande delle camere
bilaterali in Italia.

Trai suoi membri principali non ci
sono solo imprenditori,
ma anche funzionari di alto rango del governo di entrambi
le parti, tra cui
Cesare Ragaglini, ambasciatore italiano alle Nazioni
Unite, Alberto Bradanini,
ambasciatore italiano a Teheran, Amedeo Teti, direttore
delle politiche
commerciali presso il Ministero per lo Sviluppo Economico,
e Fereidoun Haghbin,
ambasciatore iraniano a Roma, che serve come presidente
onorario del consiglio.

Il complesso politico-industriale
italo-iraniano fu messo in
piena mostra durante una parata militare a Teheran nel
2008, in cui lo slogan “Israele
deve essere cancellata dalla carta geografica” fu
scritto sui missili
Shihab-3, che possono raggiungere lo stato ebraico.

A differenza di altri paesi
dell’Unione Europea che hanno
evitato di mandare emissari in questo raduno dell’odio,
Vittorio Maria Boccia,
addetto militare dell’Italia a Teheran, era seduto giusto
in mezzo tra gli
Ayatollah e i generali iraniani. Un altro diplomatico
occidentale che ha
assistito allo spettacolo è stato un collega del signor
Boccia. Lo chiamano l’asse
Roma-Berlino-Teheran.

Il robusto legame tra l’Italia e
l’Iran ha infastidito anche
l’amministrazione Obama. Alla domanda sui rapporti di
Roma con Teheran, David
Thorne, l’ambasciatore statunitense a Roma, ha detto ai
giornalisti – dopo che
ha assunto l’incarico di ambasciatore due mesi fa – che
“ci sono alcune
posizioni dell’Italia in politica estera che continuano a
preoccuparci”.

La politica di Roma verso l’Iran,
tuttavia, continua a
seguire un antico proverbio romano. “Pecunia non olet”,
o “i soldi non hanno
odore”. Quando gli si chiede dei suoi affari con
l’Iran, l’amministratore
delegato dell’ ENI, Paolo Scaroni ha detto alla rivista
Forbes nel 2007: “Ho
intenzione di rispettare le leggi italiane ma non quelle
americane. Il petrolio
non si trova in Svizzera”.

L’Italia è come le due facce del
Dio romano Giano.
Retoricamente, Roma fa parte del fronte occidentale contro
il regime iraniano.
Berlusconi ha anche definito Ahmadinejad “Hitler”. Ma
quando si tratta di
tradurre questa retorica in politica estera, gli interessi
dei business vincono
su tutto il resto.

Il mese prossimo, Berlusconi, che
afferma di essere un
grande amico dello stato ebraico, parlerà al parlamento
israeliano.

Potrebbe essere una buona occasione
per lui di dimostrare la
sua amicizia annunciando finalmente dure sanzioni
economiche contro l’Iran.

Titolo originale: “The Rome-Tehran Axis

Fonte: http://online.wsj.com/
Link
14.01.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICHELE IOVINELLA

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