PER LA GRAN PARTE DISARMATI SIGNIFICA BEN ARMATI
DI TONY CARTALUCCI
Land Destroyer
Quando i media di regime proclamano
che i manifestanti siriani sono “per la gran parte disarmati”,
stanno dicendo in modo orwelliano che sono davvero ben armati.
Los Angeles Times, La repressione in Siria
soffia sulle fiamme settarie:
“Nell’aver scatenato il potere militare contro i contestatori
arabi sunniti e curdi per la gran parte disarmati, il regime
di Assad, dominato dalla minoranza degli alawiti – un ramo degli sciiti
-, ha acuito le divisioni etniche e settarie della regione.”
The Australian, Assalto siriano dopo che
sono stati ‘massacrati’ dei soldati:
“Gli attivisti siriani dicono che più di 1.300 persone, per
la gran parte civili disarmati, sono morti nelle manifestazioni
ispirate dalle rivolte popolari in tutto il Medio Oriente e nel Nord
Africa.”
BBC, La crisi in Siria: un report
delle NU la repressione delle proteste:
“L’uso dei proiettili contro i civili per la gran parte disarmati
ha ucciso circa 1.100 persone, come riporta il resoconto.”
MSNBC, Assad in Siria toglie l’incarico
al governatore di Hama nel tentativo di calmare i dimostranti: “I gruppi a tutela dei diritti civili
in Siria hanno detto che sono state uccise più di 1.400 persone, manifestanti
per la gran parte disarmati, dalla metà di marzo.”
The Washington Post, La battaglia sul confine
libanese illustra ulteriori implicazioni della rivolta siriana: “I profughi hanno offerto dettagli nella
complessità della battaglia in corso per il controllo della Siria tra
il regime di Assad e il movimento di protesta popolare largamente senza
leader e per la gran parte disarmato.”
Queste ammissioni, per quanto riportate
in modo ambiguo, indicano che i protestanti siriani sono tanto armati
quanto sostenuti, finanziati e addestrati dal governo degli Stati Uniti.
Più di recente, un
report di Sky News ha chiaramente affermato
che un assalto dell’esercito siriano a Hamah “ha prontamente
avuto la risposta di uomini dell’opposizione armati con le mitragliatrici
che hanno fatto fuoco sulle stazioni di polizia.” Con questo approccio,
i difensori delle rivolte in corso diranno, come hanno già fatto per
la Libia, che questi contestatori si stanno semplicemente difendendo
da un governo genocida. Tuttavia, la storia di violenza nell’opposizione
siriana è un fatto ben documentato, così come le aspirazioni degli
Stati Uniti sono quelle di seminare una simile rivolta in nome di un
egoistico “cambio di regime”.
L’opposizione siriana: la Fratellanza
Musulmana e i gruppi etnici
La Fratellanza Musulmana alla fine
degli anni ’70 e nei primi ’80 ha tentato di avviare insurrezione
armate su larga scala contro il governo siriano. Il punto più alto delle loro
distruzioni e dei loro assassini (pagina 3)
fu raggiunto in un attacco a una classe di cadetti dell’artiglieria,
in cui ne uccisero trentadue. Nel 1982, la Fratellanza fu messa nell’angolo
nella loro roccaforte di Hamah e annientata mentre la propria dirigenza
fuggiva dal pese. La leadership della Fratellanza è di stanza,
e non è una sorpresa, a Londra da dove è ancora una volta occupata
nel coordinare le rivolte in Siria con il pieno sostegno dei media
occidentali.
Da notare anche la menzione dei rivoltosi
curdi, da tempo usati dagli
Stati Uniti e dai suoi alleati per molestare le varie nazioni in cui
vive questo popolo senza stato vive. Le popolazioni curde si trovano
al convergere dei confini tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Citando la Brookings Institution
(pag. 19 of PDF) nel loro
documento “Quale
Strada per la Persia?”
ci viene offerta un’idea su come i curdi, insieme a altri gruppi etnici,
vengono usati per seminare il caos in Siria con l’obbiettivo dichiarato
di destabilizzare e rovesciare il governo, non per la democrazie, ma
per gli interessi regionale degli Stati Uniti. Anche se questo report
tratta i modo specifico l’Iran, le attuali rivolte in Siria sono come
fotocopiate.
“Anche se lo scopo ultimo
è quello di rimuovere il regime, lavorare con l’opposizione
interna potrebbe anche costituire una forma di pressione coercitiva
sul regime iraniano, dando così agli Stati Uniti maggiore potere di
influenza. L’Iran sotto lo Shah, ad esempio, appoggiò
un’insurrezione curda in Iraq e contribuì
a rendere i ribelli più potenti. Lo Shah poi improvvisamente vendette
i curdi in cambio delle concessioni irachene riguardo il confine tra
Iran e Iraq. In teoria, gli Stati Uniti potrebbero una forza di pressione
minacciando il regime con l’instabilità
o persino con il suo rovesciamento e, dopo aver fatto questo, usare
quest’influenza per obbligarlo a concessioni su altri aspetti, come
il programma nucleare iraniano o per il supporto dei militanti in Iraq.”
In un altro punto del report
viene ammesso che l’assistenza dello Shah ai curdi include
anche il sostegno degli USA (Pagina
121, Pagina 134 del PDF).
Inoltre, questo documento menziona come i curdi, insieme ad altri gruppi
etnici, possono essere influenzati per creare ribellioni violente. Il
suggerimento contenuto nel seguente passaggio ricalca la crisi presente
in Siria alla lettera.
“Ad esempio, gli Stati Uniti
potrebbero optare per lavorare principalmente con i vari gruppi etnici
insoddisfatte in Iran (curdi, beluci, arabi, e così
via) che hanno combattuto il regime in varie occasioni dall’avvento
della rivoluzione. Una coalizione di movimenti etnici di opposizione,
meglio ancora se uniti ai dissidenti persiani, potrebbero creare una
seria minaccia alla stabilità del regime. Inoltre, le rivolte che i
gruppi possono fomentare potrebbero indebolire il regime all’interno.
Come minimo, il regime dovrebbe destinare risorse per reprimere le ribellioni.
Come massimo risultato, la rivolta potrebbe screditare il regime
col passare del tempo, indebolendo la sua posizione di fronte ai propri
rivali.”
Grazie alla Fratellanza Musulmana siriana
di stanza a Londra e a
una miriade di altri “gruppi per i diritti umani” pilotati
come l’”Osservatorio
Siriano per i Diritti Umani”
– che forniscono una copertura retorica per il caos violento e
diviso per etnie presente nelle strade della Siria con l’entusiastico
supporto degli stessi autori di “Quale Strada per la Persia?”-
, non c’è alcun dubbio che i piani del Brookings sono diventati operativi
in Siria.
Il Financial
Times ha citato Martin
Indyk, uno dei co-autori di “Quale Strada per la Persia?”:
“È sempre stato così, ma ora è palese che Assad è in combutta
con gli iraniani e che sta schiacciando il suo stesso popolo. Ora gli
Stati Uniti non hanno niente da perdere e tutto da guadagnare affermando
chiaramente che siamo dalla parte del popolo siriano.” Indyk non sta
solamente piegando la Siria ai frutti del suo nefasto lavoro, ma sta
anche cercando di tirare dentro l’Iran – l’oggetto della sua principale
ossessione – in questa conflagrazione progettata dagli Stati Uniti.
L’altro degenerato autore di “Quale
Strada per la Persia?”, Bruce Riedel, ha scritto una sua analisi nel giugno
del 2011 dei vari possibili
aspetti siriani, sia sul piano militare che etnico, che avrebbero provocare
la fine del regime di Assad, un’analisi che potrebbe essere facilmente
usata come aggiunta al suo lavoro precedente sulla sovversione provocata
dagli Stati Uniti dell’Iran. Qui afferma che “se l’esercito
si fraziona tra alawiti e sunniti, la rivoluzione trionferà. Potrebbe
verificarsi un bagno di sangue, visto che decenni di dio portano a rappresaglie
settarie.”
Considerando l’analisi di Riedel,
diventa allora chiaro perché i media di regime riportano con
tanto entusiasmo racconti come quello che riguarda un presento disertore
dell’esercito siriano Darwish
Mohammed Fidou la cui storia
giustifica opportunamente ogni aspetto delle fiammate di violenza così
come incoraggia altri soldati a disertare. La storia di Fidou vuole
asserire che gli agenti uccisi della sicurezza siriana siano dovuti
a alcune unità dell’esercito che avevano disertato e che i contestatori
avessero con loro solo rami di ulivo. Racconti simili, sullo stesso
livello delle bugie già verificate su Gheddafi che stava scappando
dalla Libia, vengono pubblicate nel tentativo di fomentare il caos e
di incoraggiare sia l’opposizione che possibili disertori.
E anche se questo è già
abbastanza convincente, con un documento nel 2009 di un think tank
che descrive esplicitamente lo stesso tipo di destabilizzazione che
vediamo scatenarsi in Siria, c’è un’ulteriore fatto che prova oltre
ogni dubbio che l’odierna rivolta in Siria sia in effetti il prodotto
dell’intromissione degli USA e non certo della sollevazione spontanea
e indigena, come dai media viene riportata in modo tutt’altro
che ingenuo.
La rivolta siriana
è finanziata dagli Stati Uniti
La Siria è in lista per il cambio
di regime sin
dal prima del 1991. nel
2002, l’allora Segretario di Stato John Bolton aggiunse la Siria al sempre
più numeroso “Asse del Male.”
Sarebbe stato rivelato in un secondo momento che le minacce di Bolton
contro la Siria non erano altro che un sostegno e un finanziamento segreto
per i gruppi di opposizione in Siria che hanno riguardato sia l’amministrazione
Bush che quella di Obama.
articolo della CNN dell’aprile del 2011,
in cui il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, affermò:
“Non stiamo lavorando per mettere in difficoltà il governo [siriano].
Quello che cerchiamo di fare in Siria, attraverso il nostro sostegno
alla società civile, è costruire quel tipo di istituzioni democratiche
che cerchiamo di promuovere in tutto il mondo. Quello che è differente,
io credo, in questa situazione è che l’opposizione siriana percepisce
questo tipo di assistenza come una minaccia per il controllo sul popolo
siriano.”
Le affermazioni di Toner giunsero dopo
che il
Washington Post pubblicò i cablogrammi che
indicavano come gli USA avessero finanziato i gruppi di opposizione
in Siria da almeno ili 2005 e la cosa continua anche in questo momento.
report di aprile dell’AFP,
Michael Posner, l’assistente per i Diritti Umani e il Lavoro del Segretario
di Stato, ha affermato che il “governo degli Stati Uniti ha stanziato
50 milioni di dollari negli ultimi due anni per sviluppare nuove tecnologie
per aiutare gli attivisti a proteggersi dall’arresto e dai processi
dei governi autoritari.” L’articolo ha poi spiegato che “sessioni
di addestramento organizzate dagli USA per 5.000 attivisti in varie
parti del mondo. Una sessione tenuto nel Medio Oriente di circa sei
settimane ha riunito attivisti dalla Tunisia, dall’Egitto, dalla Siria
e dal Libano che sono tornati nei rispettivi paesi con lo scopo di addestrare
i propri colleghi.” Posner ha anche aggiunto che “sono tornati
e c’è stato un effetto onda.” L’effetto onda naturalmente
è la “Primavera Araba” e, nel caso siriano, l’impeto per
le odierne rivolte che minacciano di scardinare la nazione e di invitare l’intervento
straniero.
Conclusione
Anche se questo non assolve Assad dalla
corruzione e dagli abusi che ci potrebbero essere nel suo governo, evidenzia
il fatto che il caos che sta lentamente consumando questa nazione strategica
del Medio Oriente non è il risultato di un risveglio politico spontaneo
e indigeno ma piuttosto il risultato di un complotto attentamente studiato,
ben finanziato e meticolosamente organizzato dall’estero, preso alla
lettera dalle pagine di “Quale Strada per la Persia?” della
Brookings Institution che perseguono l’egemonia globale e non
la democrazia. Come ben suggerisce il documento del Brookings in tutte
le sue pagine, per i vari gruppi etnici che, raggirati, prendono armi,
finanziamenti e incoraggiamento dagli Stati Uniti per sollevarsi contro
i nemici occidentali del passato, sarà il tradimento e il totale annientamento,
e non certo la democrazia o la libertà, che rimarranno in agguato.
Quindi, l’obbiettivo finale della
rivolta siriana non è la democrazia o la libertà in modo assoluto.
È solo una componente di un’iniziativa più larga, incredibilmente
ambiziosa e forse persino disperata per poter soggiogare l’Africa
del Nord e il Medio Oriente sotto un’oligarchia globale centrata su
Wall Street e su Londra. Col controllo di queste regioni ci si posiziona a fianco
della Cina che emerge e della Russia che sta tentando di farlo ancora. La pilotata
“Primavera Araba”
è accompagnata da sforzi concertati per promuovere rivolte simili anche nel
sud-est asiatico sulla
porta di casa della Cina così come nella periferia russa, particolarmente in Bielorussia.
La Siria, come qualsiasi altra nazione
sulla Terra che vuole davvero progredire verso un futuro, soluzioni,
programmi e movimenti più brillanti, deve
concentrarsi sulle cose concrete,
e non sulle soluzione politiche. Incendiare le centrali della polizia,
sventolare cartelli, cantare e rovesciare i governi non mette un tetto
sulla testa delle persone o cibo nello stomaco. Coltivare i campi, cercare
il progresso delle tecniche, imparare a commerciare, migliorare l’educazione
pratica, aumentare l’autosufficienza e contemporaneamente diminuire la dipendenza
dalle corrotte multinazionali monopoliste
e dai governi ci può riuscire.
Fonte: http://landdestroyer.blogspot.com/2011/08/truth-behind-syrias-unrest.html
02.08.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE