DI RICHARD HEINBERG
Energybulletin.net
La geopolitica post-crescita
Mentre le nazioni competono per i vantaggi
sulle monete, stanno anche dando un’occhiata alle risorse in diminuzione
del pianeta – combustibili fossili, minerali, terreni agricoli e acqua.
Le guerre per le risorse sono state combattute fin dall’alba della
storia, ma oggi la competizione sta entrando in una nuova fase.
Le nazioni hanno bisogno di una sempre
maggiore disponibilità di energia e di materiali per produrre
una crescita dell’economia ma, come abbiamo visto, i costi della fornitura
di nuovi incrementi dell’energia e delle materie prime sono in aumento.
In molti casi tutto quello che si ottiene sono risorse di bassa qualità
che hanno altri costi di estrazione. In qualche circostanza, assicurarsi
l’accesso a queste risorse necessita anche di spesa per la sicurezza
militare. Nel frattempo la lotta per il controllo delle risorse sta
riallineando il bilanciamento dei poteri in tutto il mondo.
Gli Stati Uniti, essendo la super-potenza
globale, hanno più da perdere da un rimescolamento delle alleanze
e dal flusso delle risorse. I leader della nazione continueranno
a giocare con le stesse regole del XX secolo: sono ancora ossessionati
con la Dottrina Carter e sono concentrati sul considerare il petrolio
come la preda più ambita (una situazione creata in larga parte dalla
continua e assillante dipendenza del paese dalle importazioni di petrolio,
causata a sua volta da una serie di miopi decisioni politiche da far
risalire almeno agli anni ‘70). La guerra in corso in Afghanistan
esemplifica l’inerzia degli Stati Uniti: la gran parte degli esperti
concordano sul fatto che c’è ben poco da guadagnare dal conflitto,
ma il ritiro delle forze è politicamente irrealizzabile.
Gli Stati Uniti mantengono una rete
estesa a tutto il globo di oltre 800 basi che, se all’inizio rappresentavano
una certa garanzia di sicurezza per i regimi di tutto il mondo, ora
riescono solo a provocare risentimento tra le popolazioni locali. Questa
enorme macchina militare richiede un vasto sistema di approvvigionamento
che ha la sua origine nei produttori di armi americani che, a loro volta,
dipendono dal fiume di denaro, sempre più impetuoso, che scorre dal
Tesoro. Infatti, il passivo di bilancio della nazione deriva in larga
parte dalla determinazione prioritaria, che costa un trilione di dollari
l’anno, di continuare a espandere il suo complesso militare-industriale.
E nonostante le spese gargantuesche
rivolte agli armamenti ad alto contenuto tecnologico, le sue forze armate
sembrano essere arrivate al limite dopo aver schierato 200.000 militari
e un numero ancora maggiore di personale di supporto in Iraq e in Afghanistan,
con un apparato della distribuzione sempre più vulnerabile e costoso
da mantenere.
In breve, gli Stati Uniti rimangono
una nazione enormemente potente sul piano militare, con migliaia di
armi nucleari in aggiunta alle ineguagliabili forze convenzionali, ma
che soffrono di un declino della propria flessibilità strategica.
L’Unione Europea, tradizionalmente
alleata con gli USA, sta indicando le proprie proprietà in modo
indipendente, in parte a causa dell’aumentata dipendenza energetica
dalla Russia e in parte a causa di rivalità economiche e di conflitti
sulle monete con l’America. L’economia tedesca è una delle poche
a essere riemerse dalla crisi del 2008 relativamente illesa, ma il paese
deve affrontare il problema di aver salvato più volte i propri vicini.
L’odierna crisi seriale del debito pubblico in Europea potrebbe danneggiare
l’economia della Germania e mettere in dubbio la solidità a lungo
termine dell’euro e dell’Unione Europea stessa [1].
Il Regno Unito è solamente un’ombra
della sua antica potenza imperiale, con un livello di debito insostenibile,
il finanziamento per il settore militare in calo e una produzione di
petrolio in caduta libera. La sua politica esterna è per larga parte
dettata da Washington, anche se sempre più britannici stanno manifestando
scontento per questo stato di cose.
La Cina è la potenza in crescita
del XXI secolo secondo il parere di molti esperti geopolitici, con forze
armate in crescita e molti contanti per ottenere l’accesso alle risorse
(petrolio, carbone, minerali e terreni agricoli) in tutto il pianeta.
E mentre sta ancora allestendo una forza navale di primo livello, che
alla fine potrebbe rivaleggiare con quella statunitense, Pechino soffre
(come abbiamo già visto) di una debolezza politica ed economica interna
che potrebbe consentirgli di rimanere al centro del palcoscenico mondiale
per un periodo molto breve.
Il Giappone, con la terza economia
più grande al mondo, è preoccupato dalla Cina e sempre più
incerto del suo protettore, gli Stati Uniti. Il paese sta cercando di
ricostruire le sue forze armate per essere in grado di difendere i suoi
interessi in modo indipendente. Le dispute con la Cina sui giacimenti
di petrolio e di gas nel Mar Cinese Orientale andranno a peggiorare,
proprio quando il Giappone non ha quasi più disponibilità interna
di combustibili fossili e ha bisogno di assicurarsi l’accesso alle
forniture.
La Russia è la casamatta delle
risorse ma è anche politicamente corrotta e rimane economicamente
bloccata. Con una forza militare residuale ancora a disposizione, compete
con Cina e Stati Uniti per il controllo delle ricchezze minerali ed
energetiche del Caspio e dell’Asia Centrale tramite alleanza con le
ex nazioni sovietiche. Sta anche cercando di intavolare trattative con
la Cina per contrastare gli interessi statunitensi, ma ultimamente Pechino
sembra essere un rivale tanto quanto Washington. Mosca usa le sue esportazioni
di gas come moneta di scambio per esercitare l’influenza sull’Europa.
Nel frattempo, solo una piccola parte delle entrate del paese vanno
a beneficio della popolazione. Il vantaggio della cittadinanza russa
in tutto questo può essere nel fatto che sono già passati di recente
nel mezzo di un collasso economico e quindi saranno relativamente ben
preparati per affrontarne un altro.
Anche se paesi come Venezuela, Bolivia,
Ecuador e Nicaragua rigettano la politica estera americana, gli Stati
Uniti continuano a esercitare un’enorme influenza sui paesi ricchi
di risorse dell’America Latina tramite le corporations nord-americane,
che in qualche caso esercitano un’influenza schiacciante sulle economie
di intere nazioni. In ogni caso, la Cina sta stipulando una serie di
contratti per l’accesso all’energia e alle risorse minerali in tutta
la regione, dato il cambiamento graduale nella scelta delle sue aree
d’interesse.
L’Africa è il luogo che ha visto
una rapida crescita degli investimenti degli Stati Uniti nei progetti
di estrazione di petrolio e di minerali (come si evince dall’istituzione
nel 2009 di Africom, un centro di comando militare strategico sullo
stesso piano di Centcom, Eucom, Northcom, Pacom e Southcom), ma è anche
l’obbiettivo delle iniziative cinesi ed europee per l’acquisizione
delle risorse. I conflitti per delega tra queste potenze potrebbero
intensificarsi negli anni a venire, in ogni caso con grosso danno per
la popolazione africana [2].
Il Medio Oriente ha ancora grandi ricchezze
petrolifere (anche se le riserve sono state sostanzialmente sovrastimate
a causa delle rivalità interne all’OPEC), ma è caratterizzato da
un’estrema disuguaglianza economica, da un alto tasso di incremento
della popolazione, dall’instabilità politica e dalla necessità di
importare tutto quello che non sia energia (compresi cibo e acqua).
Le rivoluzioni e le proteste in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein e Yemen
all’inizio del 2011 sono state interpretate da molti osservatori come
un segnale dell’incapacità della gente comune che vive nei regimi
del Medio Oriente di tollerare i forti incrementi dei prezzi dei generi
alimentari, dell’acqua e dell’energia nel contesto di regimi politici
autocratici [3]. Mentre le condizioni economiche peggiorano,
un numero sempre più alto di nazioni, comprese quelle al di fuori del
Medio Oriente, potrà diventare politicamente instabile; le conseguenze
ultime sono ignote al momento, ma potrebbero essere devastanti.
Come la Cina, l’Arabia Saudita sta
acquistando appezzamenti di terreno in Australia, Nuova Zelanda e le
nazioni sotto il controllo degli Stati Uniti come Iraq e Iran necessitano
di tecnologia avanzata con cui mantenere un’industria petrolifera
che sta adesso operando su giacimenti che sono sempre più piccoli,
di più difficile accesso e con un prodotto più costoso, e sia le compagnie
cinesi che quelle statunitensi sono sempre pronte a fornirla.
Gli oceani profondi e l’Artico saranno
aree di un sempre maggiore interesse per le risorse, fino a che le nazioni
più ricche del mondo riusciranno a aumentare progressivamente gli sforzi
per competere e per estrarre materiali ritenuti strategici da questi
ambienti estremi [4]. Comunque, sia le manovre militare che le
iniziative ingegneristiche per le estrazioni avranno un margine d’utilità
sempre inferiore, perché i costi saliranno e i compensi caleranno.
Sfortunatamente, gli incrementi di
costo e i ritorni sempre più flebili che verranno dai conflitti
per le risorse non possono garantire un mondo pacifico. La storia suggerisce
che se le nazioni sono sempre più disperate per mantenere le loro posizioni
di forza e di preminenza, possono prendere iniziative che non rispondono
alla razionalità.
Di nuovo, non ci potrà essere
nessuna crisi se riusciremmo a fronteggiare tutto a mente fredda. Ma
il sistema globale sta perdendo stabilità. Le condizioni economiche
e geopolitiche odierne sembrano dar supporto alle previsioni non tanto
di una crescita dell’economia, della democrazia e della pace, ma di
un aumento della volatilità e di una sempre maggiore mobilitazione
militare, giustificata dalle parole d’ordine della sicurezza.
Note:
1. Ambrose Evans-Pritchard, “The Eurozone is in Bad Need
of an Undertaker,” The
Telegraph, 12 dicembre 2010.
2. Michael Klare, Rising Powers,
Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (New York: Henry
Holt, 2008), capitolo 6.
3. Vicken Cheterian,“The Arab Crisis: Food, Energy,
Water, Justice,” Energy
Bulletin, postato il 26 gennaio 2011.
4. Brice Pedroletti, “Cina Seeks to Mine Deep Sea
Riches,” The Guardian,
7 dicembre 2010.
Fonte: http://www.energybulletin.net/stories/2011-06-17/shrinking-pie-post-growth-geopolitics
16.06.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
Quest’articolo è la parte 6 del Capitolo 5 del nuovo libro di Richard Heinberg, ”The End of Growth”, che verrà pubblicato da New Society Publishers nell’agosto del 2011. Questo capitolo, “Shrinking Pie: Competition and Relative
Growth in a Finite World” guarda in profondità alle prospettive di un ulteriore sviluppo in un ambiente sempre più stressato dal prelievo.
I precedenti capitoli
sono qui.
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