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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 7 giorni

LA TORTA CHE SI STRINGE: LA GEOPOLITICA POST-CRESCITA

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A cura di supervice
Il 30 Giugno 2011
54 Views

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DI RICHARD HEINBERG
Energybulletin.net

La geopolitica post-crescita

Mentre le nazioni competono per i vantaggi

sulle monete, stanno anche dando un’occhiata alle risorse in diminuzione

del pianeta – combustibili fossili, minerali, terreni agricoli e acqua.

Le guerre per le risorse sono state combattute fin dall’alba della

storia, ma oggi la competizione sta entrando in una nuova fase.

Le nazioni hanno bisogno di una sempre

maggiore disponibilità di energia e di materiali per produrre

una crescita dell’economia ma, come abbiamo visto, i costi della fornitura

di nuovi incrementi dell’energia e delle materie prime sono in aumento.

In molti casi tutto quello che si ottiene sono risorse di bassa qualità

che hanno altri costi di estrazione. In qualche circostanza, assicurarsi

l’accesso a queste risorse necessita anche di spesa per la sicurezza

militare. Nel frattempo la lotta per il controllo delle risorse sta

riallineando il bilanciamento dei poteri in tutto il mondo.

Gli Stati Uniti, essendo la super-potenza

globale, hanno più da perdere da un rimescolamento delle alleanze

e dal flusso delle risorse. I leader della nazione continueranno

a giocare con le stesse regole del XX secolo: sono ancora ossessionati

con la Dottrina Carter e sono concentrati sul considerare il petrolio

come la preda più ambita (una situazione creata in larga parte dalla

continua e assillante dipendenza del paese dalle importazioni di petrolio,

causata a sua volta da una serie di miopi decisioni politiche da far

risalire almeno agli anni ‘70). La guerra in corso in Afghanistan

esemplifica l’inerzia degli Stati Uniti: la gran parte degli esperti

concordano sul fatto che c’è ben poco da guadagnare dal conflitto,

ma il ritiro delle forze è politicamente irrealizzabile.

Gli Stati Uniti mantengono una rete

estesa a tutto il globo di oltre 800 basi che, se all’inizio rappresentavano

una certa garanzia di sicurezza per i regimi di tutto il mondo, ora

riescono solo a provocare risentimento tra le popolazioni locali. Questa

enorme macchina militare richiede un vasto sistema di approvvigionamento

che ha la sua origine nei produttori di armi americani che, a loro volta,

dipendono dal fiume di denaro, sempre più impetuoso, che scorre dal

Tesoro. Infatti, il passivo di bilancio della nazione deriva in larga

parte dalla determinazione prioritaria, che costa un trilione di dollari

l’anno, di continuare a espandere il suo complesso militare-industriale.

E nonostante le spese gargantuesche

rivolte agli armamenti ad alto contenuto tecnologico, le sue forze armate

sembrano essere arrivate al limite dopo aver schierato 200.000 militari

e un numero ancora maggiore di personale di supporto in Iraq e in Afghanistan,

con un apparato della distribuzione sempre più vulnerabile e costoso

da mantenere.

In breve, gli Stati Uniti rimangono

una nazione enormemente potente sul piano militare, con migliaia di

armi nucleari in aggiunta alle ineguagliabili forze convenzionali, ma

che soffrono di un declino della propria flessibilità strategica.

L’Unione Europea, tradizionalmente

alleata con gli USA, sta indicando le proprie proprietà in modo

indipendente, in parte a causa dell’aumentata dipendenza energetica

dalla Russia e in parte a causa di rivalità economiche e di conflitti

sulle monete con l’America. L’economia tedesca è una delle poche

a essere riemerse dalla crisi del 2008 relativamente illesa, ma il paese

deve affrontare il problema di aver salvato più volte i propri vicini.

L’odierna crisi seriale del debito pubblico in Europea potrebbe danneggiare

l’economia della Germania e mettere in dubbio la solidità a lungo

termine dell’euro e dell’Unione Europea stessa [1].

Il Regno Unito è solamente un’ombra

della sua antica potenza imperiale, con un livello di debito insostenibile,

il finanziamento per il settore militare in calo e una produzione di

petrolio in caduta libera. La sua politica esterna è per larga parte

dettata da Washington, anche se sempre più britannici stanno manifestando

scontento per questo stato di cose.

La Cina è la potenza in crescita

del XXI secolo secondo il parere di molti esperti geopolitici, con forze

armate in crescita e molti contanti per ottenere l’accesso alle risorse

(petrolio, carbone, minerali e terreni agricoli) in tutto il pianeta.

E mentre sta ancora allestendo una forza navale di primo livello, che

alla fine potrebbe rivaleggiare con quella statunitense, Pechino soffre

(come abbiamo già visto) di una debolezza politica ed economica interna

che potrebbe consentirgli di rimanere al centro del palcoscenico mondiale

per un periodo molto breve.

Il Giappone, con la terza economia

più grande al mondo, è preoccupato dalla Cina e sempre più

incerto del suo protettore, gli Stati Uniti. Il paese sta cercando di

ricostruire le sue forze armate per essere in grado di difendere i suoi

interessi in modo indipendente. Le dispute con la Cina sui giacimenti

di petrolio e di gas nel Mar Cinese Orientale andranno a peggiorare,

proprio quando il Giappone non ha quasi più disponibilità interna

di combustibili fossili e ha bisogno di assicurarsi l’accesso alle

forniture.

La Russia è la casamatta delle

risorse ma è anche politicamente corrotta e rimane economicamente

bloccata. Con una forza militare residuale ancora a disposizione, compete

con Cina e Stati Uniti per il controllo delle ricchezze minerali ed

energetiche del Caspio e dell’Asia Centrale tramite alleanza con le

ex nazioni sovietiche. Sta anche cercando di intavolare trattative con

la Cina per contrastare gli interessi statunitensi, ma ultimamente Pechino

sembra essere un rivale tanto quanto Washington. Mosca usa le sue esportazioni

di gas come moneta di scambio per esercitare l’influenza sull’Europa.

Nel frattempo, solo una piccola parte delle entrate del paese vanno

a beneficio della popolazione. Il vantaggio della cittadinanza russa

in tutto questo può essere nel fatto che sono già passati di recente

nel mezzo di un collasso economico e quindi saranno relativamente ben

preparati per affrontarne un altro.

Anche se paesi come Venezuela, Bolivia,

Ecuador e Nicaragua rigettano la politica estera americana, gli Stati

Uniti continuano a esercitare un’enorme influenza sui paesi ricchi

di risorse dell’America Latina tramite le corporations nord-americane,

che in qualche caso esercitano un’influenza schiacciante sulle economie

di intere nazioni. In ogni caso, la Cina sta stipulando una serie di

contratti per l’accesso all’energia e alle risorse minerali in tutta

la regione, dato il cambiamento graduale nella scelta delle sue aree

d’interesse.

L’Africa è il luogo che ha visto

una rapida crescita degli investimenti degli Stati Uniti nei progetti

di estrazione di petrolio e di minerali (come si evince dall’istituzione

nel 2009 di Africom, un centro di comando militare strategico sullo

stesso piano di Centcom, Eucom, Northcom, Pacom e Southcom), ma è anche

l’obbiettivo delle iniziative cinesi ed europee per l’acquisizione

delle risorse. I conflitti per delega tra queste potenze potrebbero

intensificarsi negli anni a venire, in ogni caso con grosso danno per

la popolazione africana [2].

Il Medio Oriente ha ancora grandi ricchezze

petrolifere (anche se le riserve sono state sostanzialmente sovrastimate

a causa delle rivalità interne all’OPEC), ma è caratterizzato da

un’estrema disuguaglianza economica, da un alto tasso di incremento

della popolazione, dall’instabilità politica e dalla necessità di

importare tutto quello che non sia energia (compresi cibo e acqua).

Le rivoluzioni e le proteste in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein e Yemen

all’inizio del 2011 sono state interpretate da molti osservatori come

un segnale dell’incapacità della gente comune che vive nei regimi

del Medio Oriente di tollerare i forti incrementi dei prezzi dei generi

alimentari, dell’acqua e dell’energia nel contesto di regimi politici

autocratici [3]. Mentre le condizioni economiche peggiorano,

un numero sempre più alto di nazioni, comprese quelle al di fuori del

Medio Oriente, potrà diventare politicamente instabile; le conseguenze

ultime sono ignote al momento, ma potrebbero essere devastanti.

Come la Cina, l’Arabia Saudita sta

acquistando appezzamenti di terreno in Australia, Nuova Zelanda e le

nazioni sotto il controllo degli Stati Uniti come Iraq e Iran necessitano

di tecnologia avanzata con cui mantenere un’industria petrolifera

che sta adesso operando su giacimenti che sono sempre più piccoli,

di più difficile accesso e con un prodotto più costoso, e sia le compagnie

cinesi che quelle statunitensi sono sempre pronte a fornirla.

Gli oceani profondi e l’Artico saranno

aree di un sempre maggiore interesse per le risorse, fino a che le nazioni

più ricche del mondo riusciranno a aumentare progressivamente gli sforzi

per competere e per estrarre materiali ritenuti strategici da questi

ambienti estremi [4]. Comunque, sia le manovre militare che le

iniziative ingegneristiche per le estrazioni avranno un margine d’utilità

sempre inferiore, perché i costi saliranno e i compensi caleranno.

Sfortunatamente, gli incrementi di

costo e i ritorni sempre più flebili che verranno dai conflitti

per le risorse non possono garantire un mondo pacifico. La storia suggerisce

che se le nazioni sono sempre più disperate per mantenere le loro posizioni

di forza e di preminenza, possono prendere iniziative che non rispondono

alla razionalità.

Di nuovo, non ci potrà essere

nessuna crisi se riusciremmo a fronteggiare tutto a mente fredda. Ma

il sistema globale sta perdendo stabilità. Le condizioni economiche

e geopolitiche odierne sembrano dar supporto alle previsioni non tanto

di una crescita dell’economia, della democrazia e della pace, ma di

un aumento della volatilità e di una sempre maggiore mobilitazione

militare, giustificata dalle parole d’ordine della sicurezza.

****************************************

Note:

1. Ambrose Evans-Pritchard, “The Eurozone is in Bad Need

of an Undertaker,” The

Telegraph, 12 dicembre 2010.

2. Michael Klare, Rising Powers,

Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (New York: Henry

Holt, 2008), capitolo 6.

3. Vicken Cheterian,“The Arab Crisis: Food, Energy,

Water, Justice,” Energy

Bulletin, postato il 26 gennaio 2011.

4. Brice Pedroletti, “Cina Seeks to Mine Deep Sea

Riches,” The Guardian,

7 dicembre 2010.

************************************************

Fonte: http://www.energybulletin.net/stories/2011-06-17/shrinking-pie-post-growth-geopolitics

16.06.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE


Quest’articolo è la parte 6 del Capitolo 5 del nuovo libro di Richard Heinberg, ”The End of Growth, che verrà pubblicato da New Society Publishers nell’agosto del 2011. Questo capitolo, “Shrinking Pie: Competition and Relative
Growth in a Finite World” guarda in profondità alle prospettive di un ulteriore sviluppo in un ambiente sempre più stressato dal prelievo.

I precedenti capitoli

sono qui.
di risorse.

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