La terra promessa e il nostro patrimonio culturale

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Oramai la propaganda trasuda da qualsiasi cosa i media trasmettano, dai telegiornali, ai telefilm, alla pubblicità dei dentifrici, per non parlare dei talk show. Tanto che non si avverte più nemmeno l’incoerenza più stridente.

Recentemente si è parlato in TV dell’assassinio di una giornalista di Al Jazeera e degli scontri, perfino ai funerali, tra l’esercito israeliano e i “palestinesi” (cittadini israeliani? cittadini dei territori? di Gaza? della Palestina? come bisogna chiamarli? io la chiamerei guerra civile). Comunque sia, il periodico, interminabile ripetersi di questi scontri con morti e feriti, fa venire in mente alcune considerazioni, per esempio:

secondo l’ideologia obbligatoria ufficiale noialtri italiani dobbiamo accettare di buon grado e con animo grato che il paese venga progressivamente invaso da un’immigrazione di massa africana e medio orientale, cioè, in prospettiva, che da qui a pochi anni (un paio di generazioni? tre?), questo paese non esista più come un’Italia abitata da gente di cultura e tradizione italiana, ma divenga un luogo anonimo a popolazione mista (fate conto Detroit), forse a prevalenza culturale islamica, con tutti i mutamenti di costume che ne conseguono, senza più un’identità che la diversifichi dal Belgio o dalla Svezia, che a loro volta saranno nelle stesse condizioni. Proprio come l’ideologia obbligatoria ufficiale, che qualifica come “fascista” e “razzista” chiunque abbia dubbi in proposito, auspica e impone a tutta l’Europa.

D’altra parte Israele è curiosamente esentato da tutto ciò. Israele può (e deve), rimanere uno stato ebraico, cioè abitato da persone di sangue puro (e, presumibilmente, superiore, certamente eletto), confinando quelli che sangue puro non hanno, in apposite aeree recintate con alti muri di cemento, formalmente extraterritoriali, sul tipo delle riserve indiane americane o aborigene in Australia, affinché il sangue puro e la cultura ebraica continuino ad avere la maggioranza e Israele rimanga tale. Da notare che l’intera operazione ha base “etnica”, cioè razziale, e nessuno pare notare la contraddizione patente con l’ideologia obbligatoria ufficiale considera il razzismo il crimine peggiore immaginabile (dopo le barzellette sugli omosessuali), tanto da cambiare persino la lingua per sottolineare il dogma: emblematicamente, negro è diventato nero senza che peraltro “negro” abbia mai avuto in italiano una connotazione negativa o comunque più negativa di “nero”: niente altro che l’ennesima scimmiottatura degli anglosassoni.

Il tutto è reso ancora più fantasticamente incoerente dal fatto che Israele non esiste da duemila anni, come ai media piace far credere agli sciocchi, ma dal non lontano 1948: prima di allora quelle terre non erano disabitate, ma appartenevano proprio a quella gente ora rinchiusa nei recinti e che non può più rientrarci, altrimenti inquina il sangue puro o almeno la cultura pura. Perciò la televisione ci insegna che Israele, per difendere la propria sacra esistenza come stato nazionale, può e deve (sia pure a malincuore, perché è occidentale e democratico e civile), deportare, uccidere e fare la guerra. Solo per difendere la propria esistenza, beninteso.

Noi italiani, invece, che non occupiamo terre rubate ad altri nel 1948, ma stiamo in questo luogo da tanto tempo che non sono più neppure conoscibili coloro ai quali le abbiamo eventualmente sottratte, dobbiamo non di meno accettare ed anzi plaudire, alla prospettiva di una dissoluzione nazionale e culturale a breve termine, senza alcuna difesa o opposizione, anzi, stando bene attenti, a casa nostra, a non discriminare a nostro vantaggio, a non fare presepi che gli altri potrebbero ritenere offensivi per le loro tradizioni. Perché allora una macelleria halal non dovrebbe essere offensiva per la mia cultura? Io non conto? Loro contano? Chi lo decide? Gianni Letta? Victoria Nuland? Il ministro Speranza? Il Mago Zurlì?

Perché, ci si chiede, gli israeliani, che quelle terre le hanno occupate da una generazione, e si ritengono una nazione, possono difenderle e mantenerle come loro “patria” e noi, che siamo qua da sempre, non possiamo farlo? L’ha stabilito il comitato tecnico scientifico?

Alla fine siamo arrivati a dar ragione al Metternich: l’Italia è un’espressione geografica. Però, incoerentemente, continuiamo a definire il nostro patrimonio culturale, senza peraltro portare prova alcuna, il più importante del mondo, la nostra cucina, la migliore del mondo, i nostri paesaggi, i più meravigliosi. la nostra moda, la più raffinata.

Nostri di chi? In che senso nostri? Non è razzista parlare di cultura nostra? Non dovremmo abolire la parola nostra? Non dovremmo abolire noi stessi?
Ma allora perché ci “consigliano”di chiamare Rom gli zingari: salvaguardare la loro cultura non è razzismo?

Occorre decidersi: siamo un popolo e una cultura che occupa un territorio e vogliamo rimanere tali, o non lo siamo. O lo siamo soltanto quando qualche industrialotto deve vendere la mozzarella di autentica bufala (già la parola dice tutto), o quando fa comodo all’ideologia obbligatoria ufficiale consolare il popolino sostenendo l’evidente balla di possedere due terzi del patrimonio artistico mondiale?

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