LA SPARIZIONE DELLE FAVELAS BRASILIANE

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DI DAVE ZIRIN
english.aljazeera.net

La domanda di infrastrutture per
soddisfare gli interessi delle aziende più potenti nel mondo dello sport in Brasile lascia le famiglie senza casa

In Cile veniva chiamato “il Mattone“. Era l’interminabile manifesto economico del dittatore Augusto Pinochet scritto dai Chicago Boys, gli studenti cileni dell’University of Chicago. Allievi del professore universitario, conservatore e neoliberista Milton Friedman stamparono Il Mattone in occasione dell’altro 11 settembre, quello del 1973. Mentre veniva bombardato il palazzo presidenziale, il “Compañero Presidente” Salvador Allende stava per essere assassinato e il generale Pinochet era sul punto di assumere il potere, “Il Mattone” divenne il compasso economico di Pinochet. Ha fatto da guida al paese per due decenni di tagli e privatizzazioni selvagge, di requisizioni e disuguaglianza, tutto nel nome dello “sviluppo”.
Oggi Pinochet è vituperato e non è più tra noi, ma Il Mattone

è diventato un manifesto in tutto il pianeta. I suoi più accessi

sostenitori ironicamente ne portano ancora il nome con un acronimo:

i paesi BRIC: Brasile, Russia, India e Cina. Queste nazioni ambiziose

si sono poste alla guida del futuro, non solo della crescita economica

globale, ma anche come fari dello sport internazionale. Possono offrire

due cose che le decadenti potenze occidentali non possono più dare:

un massiccio incremento del debito di bilancio e le strutture di una

polizia di stato in grado di trasferire, distruggere o far scomparire

tutti quelli osino mettersi in mezzo.

Tutto questo lo possiamo vedere in modo pesante in Brasile. Il paese

ospiterà sia la Coppa del Mondo di calcio nel 2014 e le Olimpiadi estive

del 2016. Nel XXI secolo, questi eventi sportivi necessitano di stadi

e alberghi. Il paese ospitante deve fornire un imponente apparato di

sicurezza, la disponibilità nel negare i diritti civili e la volontà

di creare il tipo di infrastrutture che questi giochi richiedono. Il

che non vuol dire solo stadi, ma stadi da mille e una notte. E significa

non solo sicurezza, ma l’utilizzo delle ultime tecnologie anti-terrorismo.

Che significa non solo nuove linee di trasporto da e per gli impianti,

ma anche il nascondere la povertà da color che viaggeranno per vedere

i giochi. Che significa il proposito di spesa di miliardi di dollari

per creare un paradiso per il turismo internazionale e gli sponsor multinazionali.

Ogni giorno nelle favelas, le baraccopoli che circondano le maggiori

città del Brasile, questi festival internazionali dell’atletismo

stanno invocando con forza i metodi del Mattone. Amnesty International,

le Nazioni Unite e persino il Comitato Olimpico Internazionale – timorosi

di veder macchiato il proprio “brand“, stanno facendosi

delle domande. E si può capire anche il perché.

Questa settimana sono successe tutta una serie di cose gravi, con i

bulldozer che hanno spianato le favelas, il tutto per “portare

il Brasile a essere pronto per i Giochi “. Centinaia di famiglie

della Favela de Metro si sono trovate in mezzo alle macerie senza

un posto dove andare dopo la spietata demolizione ordinata dalle autorità

brasiliane. Per aver abbattuto le case delle famiglie

prima ancora che queste abbiano avuto la possibilità di trovarne un’altra

o di essere “rilocalizzate”, il governo è in flagrante violazione

delle più elementari principi dei diritti umani.

Come riportato dal Guardian, “le baracche di mattoni sono

state squarciate dalle ruspe. Le strade sono ora ricoperte da uno spesso

tappeto di macerie, d’immondizia e metalli contorti. Di notte, i tossici

che si fanno di crack prendono posto in qualche tugurio, riempiono i

salotti di bottiglie vuote, di materassi zozzi e di improvvisate pipe

per il crack, che ricavano dalle tazze in plastica. Il tanfo degli escrementi

aleggia nell’aria.”

Un abitante di una favela, Eduardo

Freitas ci ha detto: “Sembra di essere in Iraq o in Libia. Non

c’è rimasto più nessuno. È una città fantasma.”

Freitas non ha bisogno di un master dell’University of Chicago per capire quello che sta succedendo: “La Coppa del Mondo è iniziata e loro vogliono quest’area. Io penso che tutto questo sia disumano.”

L’assessorato alla casa di Rio ha detto che tutto ciò avviene nel

nome dello ‘sviluppo’ e nel rinnovare l’area stanno dando agli

abitanti delle favelas un po’ di ‘dignità’.

Può darsi che qualcosa sia andato perso nella traduzione. O forse il

concetto di “dignità” per i burocrati è oramai smarrito

di modo che il tuo quartiere possa diventare un parcheggio per i danarosi

fan del calcio. E di ‘dignità’ se ne vedrà parecchia. Secondo

Julio Cesar Condaque, un attivista che si sta opponendo alla distruzione

delle favelas, “da questo momento alla Coppa del Mondo del

2014, un milione e mezzo di famiglie saranno dislocate dalle proprie

abitazioni in tutto il Brasile.”

Ho parlato con Christopher Gaffney, Professore Esterno all’Universidade

Federal Fluminense di Rio de Janeiro e Vicepresidente dell’Associacao

Nacional dos Torcedores.

“È come una caduta libera

verso un paradiso neoliberale”, ha detto.”Viviamo in città

che viene progettata dalle aziende di pubbliche relazioni e realizzata

da uno stato autoritario assieme ai partner delle multinazionali. Questi

eventi sono giganteschi cavalli di Troia che ci lasciano esterrefatti

e impressionati dalla loro capacità di trasformare i luoghi e le persone

mentre è in azione un governo parallelo che usa i fondi pubblici per

generare profitti privati. Come in un’invasione militare, l’unico

modo per occupare con successo il paese con un mega-evento si ottiene

bombardando la gente con le informazioni, liberandosi degli indesiderabili

e lanciando una campagna di comunicazione che ridicolizzano le voci

alternative facendole passare per perdigiorno che odiano lo sport e

il ‘progresso’.”

È una traiettoria impressionante.

Pinochet ora è solo un ricordo grottesco, ovunque disprezzato da morto.

Ma il Mattone rimane una pietra miliare al collo dell’America

Latina. Aspettiamoci una serie di proteste a Rio all’avvicinarsi dei

giochi. E aspettiamoci anche che queste ricevano un trattamento che

ricorderà a tutti le più abbiette tradizioni politiche della regione.

***************************************************

Dave Zirin è l’autore di “Bad

Sports: How Owners are Ruining the Games we Love”. Il suo ultimo

documentario è “Not Just a Game”.

Link: http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/05/201159123141256818.html

10.05.2011

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SUPERVICE

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