DI RAMI G. KOURI
The Daily Star
Il deterioramento continuo della situazione politica in Siria ha portato l’emiro del Qatar a suggerire la settimana scorsa che sarebbe stato adeguato spedire truppe arabe per fermare le uccisioni. Quanto serio sia stato questo suggerimento è ancora poco chiaro. Potrebbe aver solo offerto una soluzione pratica, o stava semplicemente inviando un messaggio politico per cui il mondo arabo non può aspettare in modo indefinito che i siriani vengono uccisi a decine ogni giorno.
La Lega araba si incontrerà al Cairo questa fine settimana per valutare la sua missione oramai mensile di ispettori, la cui presenza in Siria non ha rallentato gli omicidi. Anche se la lega dovesse titubare con la propria strategia e cercasse di migliorare l’efficacia degli ispettori, o se la interrompesse portando la questione della Siria al Consiglio della Sicurezza delle Nazioni Unite, fa poca differenza al momento. Nei due casi il problema più grande che incombe è se inviare o meno le truppe straniere o se prendere le altre misure per fermare le morti in Siria.Sono due domande ben differenziate: è realistico e desiderabile avere truppe straniere in Siria? Il Consiglio Nazionale Siriano (SNC), un consorzio di gruppi di opposizione, si sta appellando ai governi arabi e stranieri per iniziare a pensare di creare un porto sicuro lungo i confini settentrionali e meridionali della Siria, o addirittura per istituire “città per i rifugiati “, dove le truppe del governo siriane non potrebbero attaccare i cittadini. Questo non sarebbe fattibile senza la partecipazione diretta di truppe straniere, principalmente dall’aria con l’introduzione di una zona di divieto di volo, per iniziare. In questo momento non c’è alcun consenso fra i paesi arabi per fare questo, e questo consenso sembra un requisito indispensabile per prendere in seria considerazione un’iniziativa simile.
Personaggi dell’opposizione siriana
parlano delle esperienze in Kosovo e in Bosnia nei decenni scorsi, quando le truppe straniere protessero i civili del posto come un precedente da emulare in Siria. I porti sicuri, protetti dalle forze straniere o arabe, lungo i confini permetterebbero a molte più truppe o funzionari civili di disertare dalle posizioni che ricoprono per unirsi all’opposizione, e ciò potrebbe accelerare la caduta del regime. Tutto ciò sarebbe una serie di iniziative politiche e diplomatiche che i governi arabi
e stranieri potrebbero intraprendere, oltre a tenere cadenzate riunioni operative col SNC, e alla fine riconoscerlo formalmente come il rappresentante ufficiale del popolo siriano, una sorta di governo in esilio.
Le varie opzioni che hanno gli altri
governi per impegnarsi con l’opposizione siriana sono crucialmente importanti per quei siriani che stanno tentando di abbattere il loro governo. Questo è considerato il modo più fattibile nelle presenti circostanze per convincere il Presidente Bashar Assad a farsi da parte, per dare spazio a un nuovo sistema di governo democratico e pluralistico nel paese.
La situazione corrente è in fase di stallo, simile a quello in Yemen. I ribelli e dimostranti esprimono una forte opposizione al regime, ma anche quest’ultimo è capace di poter radunare beni considerevoli (truppe e soldi, principalmente) per uccidere, respingere o intimidire a sufficienza i dimostranti per mantenere il regime di Assad al potere. Rompere questo stallo è la priorità di molti oppositori siriani che riconoscono come il livello attuale
di manifestazioni e di scarse defezioni dalle forze armate o dal servizio civile non saranno sufficienti per abbattere il regime.
Ci sono anche considerazioni prioritarie per coloro quelli che stanno pensando a spedire le truppe straniere. Altri paesi che stanno sperimentando tensioni simili e morti come avviene in Siria potrebbe chiedere anche loro un intervento armato straniero per proteggere i civili. L’appello dell’emiro qatariota per spedire truppe arabe in Siria invia il segnale che questa ipotesi, una volta inconcepibile, non potrà rimanere per sempre nell’ambito dell’impossibile. I problemi tecnici di come intervenire per assistere i civili siriani e i gruppi di opposizione sono quanto meno complicati. L’ostacolo più ora è la valutazione politica se sia saggio intraprendere una mossa di questo tipo.
La conclusione che io traggo da tutto questo rafforza ciò che penso e ho detto sin da quando un anno fa si verificarono le prime manifestazioni contro i regimi tunisino ed egiziano: la Siria soffre di molti degli stessi problemi e delle condizioni che erano evidenti in questi due paesi (povertà, mancanza di democrazia, corruzione generalizzata e rabbia tra la cittadinanza), e perciò non è immune al loro destino.
La situazione libica offrì un esempio di un processo graduale di organizzazione dell’opposizione e di un intervento internazionale. A dire il vero, come veniamo a sapere tutti i giorni, la Siria non è la Libia. Ma almeno sembra corretto dire che la Siria assomiglia sempre più alla Libia nell’ambito delle mosse dell’opposizione e delle risposte del regime che stanno provocando in modo sempre maggiore la possibilità di interventi drastici e di misure per salvare le vite dei civili.
Fonte: Syria looks more like Libya every day
21.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE