LA SANIT DEL LIBERO MERCATO: UN RACCONTO PERSONALE

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DI MICHAEL PARENTI
Information Clearing House

Quando recentemente mi sono recato

all’ospedale Alta Bates per un intervento chirurgico, ho scoperto

che le procedure legali hanno la precedenza su quelle mediche. Ho dovuto

firmare dichiarazioni intimidatorie su: assistenza finanziaria, assicurazione,

responsabilità del paziente, consenso alla cura, uso di tecnologie

elettroniche e simili.

Uno di questi documenti mi vincolava

così: “Il medico dell’ospedale

è con questo autorizzato, a sua discrezione, a disporre di ogni membro,

organo o altro tessuto rimosso dalla sua persona durante la procedura.”

Ogni membro? Ogni organo?Il giorno successivo sono ritornato

per l’operazione. Al suono della musica di Frank Sinatra il chirurgo

ha cominciato a sezionare diversi strati del mio addome allo scopo

di trattenere i miei intestini con una rete permanente. Successivamente

ho trascorso due ore nella sala post-operatoria. “Mi sento come

se avessi partecipato ad un combattimento con i coltelli”, dissi

a una infermiera, che mi spiegò: “Si chiama chirurgia”.

Quindi, ancora imbottito di anestetici

e medicamenti, sono stato portato fuori in strada. In strada? Si, poche

ore dopo l’intervento mi hanno mandato a casa. Nei paesi che hanno

un servizio sanitario pubblico (mi sono detto), ci sarebbe stato in

attesa un mezzo dotato di personale specializzato per aiutare

il paziente a raggiungere il proprio domicilio.

Niente di tutto questo nell’America

del libero mercato. L’accordo pre-operatorio specifica in neretto

che si deve avere “un conoscente adulto e responsabile” (in

contrapposizione a un estraneo adolescente e irresponsabile) incaricato

di riaccompagnarvi a casa con un veicolo privato. Continuavo a pensare,

cosa accade a quegli sfortunati che non hanno nessuno per impacchettarli

via? Deperiscono all’infinito per le vie d’accesso all’ospedale

finché il cattivo tempo non li fa fuori?

Non è consentito chiamare un

taxi. Se un taxi dovesse causare qualche danno, si potrebbe ritenere

l’ospedale legalmente responsabile. Ripeto, è una faccenda di responsabilità

e di avvocati, non di salute e dottori.

Uno dei due amici che mi ha condotto

fino a casa se n’è poi andato in farmacia per comprare i potenti

antibiotici che dovevo prendere ogni quattro ore per due giorni. A me

non piace come gli antibiotici distruggano i “batteri buoni” che

il nostro corpo produce e come contribuiscano a creare pericolosi ceppi

di batteri super-resistenti. Continuavo a pensare a una scoperta recente:

fare eccessivo affidamento sui farmaci uccide più americani di tutte

le droghe messe insieme.

E allora, perché devo prendere

gli antibiotici? Perché, come tutti continuavano a dirmi, gli ospedali

sono luoghi davvero pericolosi, infettati da stafilococchi e super-batteri.

È una questione di autoprotezione.

Due giorni dopo l’intervento, ho

notato un’area di colore rosso scuro nel basso ventre che segnalava

un’emorragia interna. Teoricamente, avrei dovuto ricevere una telefonata

di controllo da parte di un infermiere che si accertasse del mio decorso.

Ma la telefonata non sarebbe mai arrivata, perché lo staff stava preparando

uno sciopero. “Non abbiamo alcun contratto”, mi aveva detto

uno di loro mentre mi trovavo nella sala post-operatoria. Così ora

le infermiere sono in sciopero, e io da solo a fare congetture sulla

mia emorragia interna. Che spasso.

Fortunatamente, non è andata

così. Una infermiera mi ha chiamato nonostante lo sciopero. Sì, mi

ha detto, si è trattato di un’emorragia interna, ma bisognava

aspettarselo. Il mio chirurgo ha richiamato quello stesso giorno per

confermarmelo. La morte non stava ancora bussando alla porta.

Alcuni giorni più tardi, si è

verificato un esteso sciopero degli infermieri da una costa all’altra.

Tra l’altro, gli infermieri lamentavano “una mancanza di rispetto

da parte della cultura ospedaliera corporativa che richiede sacrifici

ai pazienti e a quelli che si prendono cura di loro, ma che paga i dirigenti

milioni di dollari” (New York Times, 16 Dicembre 2011).

Era citato anche uno spietato negoziatore dell’amministrazione: “I

soldi li abbiamo. Quello che proprio ci manca

è la volontà di darveli.” (ibid.)

Come per gli altri medici, sia il chirurgo

che il mio medico di base (GP, General Practitioner) rappresentano

le vittime e non i perpetratori dell’attuale sistema corporativo sanitario.

Il mio GP mi ha spiegato che farsi pagare dalle compagnie assicurative,

per i servizi ipoteticamente coperti, è una battaglia senza fine. Sentendosi

sempre più come un addetto al recupero crediti piuttosto che un medico,

il GP ha capito che era meglio non prendere più parte alle infinite

discussioni telefoniche con le compagnie assicurative.

In America ci sono 1.500 compagnie

assicurative sanitarie, tutte freneticamente consacrate a massimizzare

i profitti, aumentando i premi e bloccando i pagamenti. L’industria

sanitaria è nel suo complesso l’affare più grosso e più redditizio

della nazione, per un ammontare di circa un trilione di dollari.

Insieme alle smisurate compagnie assicurative

e farmaceutiche, coloro che ne traggono il più elevato vantaggio sono

le Health Maintenance Organizations (HMOs, Organizzazioni

per la Salvaguardia della Salute Pubblica, ndt] rinomate per pretendere

pagamenti esorbitanti a fronte di medici sottopagati e obbligati a trascorrere

sempre meno tempo con ogni paziente, e qualche volta persino a negare

le cure necessarie.

Io non ho un’assicurazione privata.

E la mia Medicare [Assistenza Statale Medica per soggetti di

età superiore ai 65 anni, ndt] almeno finora funziona. Come molti altri

dottori, il mio GP non accetta più Medicare. Da diversi

anni ormai, i pagamenti di Medicare ai medici generici sono rimasti

relativamente invariati, mentre i costi della gestione amministrativa

(staff, spazi, assicurazione) sono aumentati progressivamente. Così,

i pazienti del mio GP ora devono pagare per intero ogni visita,

una cosa non sempre semplice da realizzare.

Il nostro sistema sanitario riflette

le nostre classi sociali. Alla base della piramide ci sono i poverissimi.

Molti di loro soffrono per lunghe ore nelle sale del pronto soccorso

per poi essere semplicemente allontanati con una prescrizione inutile

o dannosa. Nessuna meraviglia se “tra le nazioni industrializzate,

gli Stati Uniti registrano il più

alto numero di morti evitabili tra i pazienti in cura“ (Healthcare-NOW!,

1° dicembre 2011).

Troppo spesso i più poveri non

ricevono cura alcuna. Semplicemente muoiono di una qualche malattia

per la quale non possono permettersi una terapia. Un mio conoscente

mi ha raccontato di come sua madre sia morta di AIDS perché non poteva

permettersi i trattamenti che avrebbero potuto mantenerla in vita.

Una volta, a Houston, ho fatto conversazione

con l’autista di una limousine, un giovane afroamericano, che

mi spiegava di come entrambi i suoi genitori fossero morti di tumore

senza mai avere ricevuto alcuna cura. “Sono semplicemente morti”,

mi disse con un dolore nella voce che riesco ancora a ricordare.

Nella piramide sociale, proprio al

di sopra della classe dei poveri, si trova l’assediata classe media

che assiste all’estinguersi della copertura sanitaria mentre paga

ingenti somme alle compagnie assicurative orientate al profitto. Io

ho potuto effettuare l’intervento chirurgico all’Alta Bates soltanto

perché sono abbastanza vecchio per avere la Medicare e ho a

disposizione un reddito sufficiente per contribuire al cofinanziamento.

Per la mia operazione ambulatoriale,

l’ospedale ha addebitato a Medicare 19.466 dollari. Di questi,

Medicare ha pagato 2.527 dollari, mentre a me è stato presentato

un conto di 644 dollari. Poi l’ospedale ammortizzerà il disavanzo

risparmiando notevoli somme sulle tasse da versare (equivalenti a un

tributo indiretto da parte di tutti i contribuenti). Se non avessi avuto

la copertura Medicare, avrei dovuto versare l’intera somma

di 19.466 dollari.

Sono stato informato dall’ospedale

che la spesa di 19.466 dollari copre solo i costi dell’ospedale per

l’attrezzatura, i tecnici, le forniture e la sala. Così, oltre ai

644 dollari, dovrò pagare per ogni medico, assistente e anestesista

che ha fornito servizi addizionali. Sto aspettando l’altra tegola

sulla testa.

Quanto guadagna il mio chirurgo? Non

molto, tra i 400 e i 500 dollari in tutto, incluse le visite prima e

dopo l’intervento e l’operazione stessa, un lavoro di estrema precisione

che richiede competenze del più alto livello. Anche lui deve sostenere

l’onere di un’assicurazione, di un ufficio, di un assistente e di

un crescente carico burocratico.

Il mio chirurgo mi sottolineò: “Se

domanda alle persone quanto prendo per un’operazione come la sua,

le risponderanno dai 4.000 ai 5.000 dollari, sbagliandosi in eccesso

solo di uno zero.” Mi fece poi notare che in un recente discorso

il Presidente Obama aveva criticato un chirurgo per avere guadagnato

30.000 dollari nella sostituzione di una rotula. “Al chirurgo spetta

una frazione minima di quella somma”, mi spiegò il dottore.

A peggiorare le cose, la notizia che

circola su un taglio del 27% ai rimborsi dell’assistenza Medicare

per i medici generici. Se questo accadrà, sarà sempre più difficile

trovare un chirurgo che accetti Medicare. E ancora peggio, le

compagnie private di assicurazione parteciperanno alla spremitura dei

medici per ottenere ulteriori profitti.

Ho potuto far fronte al mio pagamento

(644 dollari), non soltanto perché la mia operazione è coperta in

maniera consistente da Medicare, ma perché è stata eseguita

in day hospital. Non so come me la sarei cavata se avessi dovuto

sottopormi a un trattamento prolungato ed estremamente costoso.

E tanti saluti alla vita della classe

media. All’estremo più alto della piramide si colloca l’1% di quelli

che non devono preoccuparsi di nulla di tutto ciò, i super ricchi che

hanno denaro abbastanza per qualunque tipo di trattamento all’avanguardia

nelle case di cura più raffinate del mondo con suite di lusso

e menu ricercati.

Tra i privilegiati del settore sanitario

ci sono i membri del Congresso e il presidente degli Stati Uniti. Non

pagano nulla. Sono curati con trattamenti del più alto livello.

Gradiscono, come dire, il sistema sanitario pubblico. Nessun legislatore

conservatore è rimasto fedele ai propri principi di libero mercato,

rifiutandosi di accettare questa cura medica finanziata col denaro pubblico.

John Mackey, Amministratore Delegato

di Whole Foods, ha allegramente annunciato che le spesa sanitaria non

è tra i diritti umani; dovrebbe essere “regolata dal mercato proprio

come per il cibo e l’alloggio”. Nessuno ha un’opinione di

John Mackey più alta della mia, ritenendolo una sanguisuga antisindacale

mossa dall’avidità. Nonostante ciò, gli accorderò il merito per

avere ammesso candidamente la sua dedizione maniacale al profitto disumanizzato.

Il sistema sanitario degli Stati Uniti

costa molte volte di più rispetto a quanto si spenda per i sistemi

di assistenza pubblica, ma è tanto più scadente in termini di qualità

della cura e trattamento. Che è poi il modo in cui intendeva essere.

L’obbiettivo di ogni servizio a libero mercato – che si tratti di

forniture, alloggio, trasporti, educazione o sanità – non è quello

di massimizzare la prestazione, ma di massimizzare i profitti, spesso

a discapito delle prestazioni.

Se i profitti sono alti, allora il

sistema funziona bene, per l’1%. Ma per il restante 99%, la brama

di profitto è essa stessa il cuore del problema.

**************

Michael Parenti ha preso il Dottorato

di Ricerca in scienze politiche alla Yale University. Ha insegnato in

molti college e università, negli Stati Uniti e all’estero. È autore

di ventitre libri.

**********************************************

Fonte: Free-Market Medicine: A Personal Account

27.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANTONELLA SACCO

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