DI VLADIMIR KOTLYAR
Strategic Culture
I rapidi cambiamenti demografici in
atto negli Stati Uniti e il loro potenziale impatto a livello globale
sono stati oggetto di importanti dibattiti nello scorso ventennio. Come
si può evincere dalle stime dell’Ufficio del Censimento statunitense
(1), la quota di discendenti dei bianchi europei è crollata dall’83,4%
del 1970 al 65% del 2010 e si abbasserà ulteriormente fino al 46-48%
nel 2050 (2). Di contro, la crescita della popolazione tende a essere
estremamente veloce nella comunità ispanica, con quella afro-americana
subito alle spalle. Entro il 2050, ci si aspetta che il numero dei non
europei negli USA raggiunga il totale di 200 milioni (il 25% della popolazione
sarà ispanica, il 16% afroamericana e il 10% originaria dell’area
asiatica del Pacifico). In California, per esempio, soltanto il 40,1%
della popolazione è di origine europea (dato del 2010). Al momento
gli europei rimangono la maggioranza a New York con il 57%, ma la loro
quota è calata nelle aree metropolitane più grandi, dal 54,3% al 49,6%
durante l’ultimo decennio.
C’è consenso fra gli esperti, confermato
per esempio da una recente indagine del Brookings Institute (3),
sul fatto che la contrazione della percentuale di discendenti europei
nella conformazione etnica degli Stati Uniti sarà una tendenza di lungo
corso. Infatti l’ultimo dubbio rimasto è se diverranno la minoranza
entro il 2050 oppure considerevolmente in anticipo rispetto a tale data.
Il cambiamento è spiegato dall’invecchiamento
e dalla bassa percentuale di fertilità della popolazione di origine
europea paragonate alle vigorose dinamiche demografiche delle comunità
ispaniche e asiatiche (0,2% fra gli “europei”, quindi piuttosto
evanescente, contro una percentuale fra il 3,2% e il 2,7% per gli altri
due gruppi). Nel 2008 negli USA il 47% dei bambini sotto i 5 anni, e
più del 44% dei ragazzi sotto i 18 anni erano ispanici, asiatici o
afroamericani, con i ragazzi ispanici che costituiscono circa la metà
dell’intero ammontare. Come risultato, fra il 2000 e il 2009 le popolazioni
ispaniche ed europee sono cresciute rispettivamente di 8,2 e 2,4 milioni
di unità, mentre il flusso migratorio è stato di 4,8 e 1,3 milioni
di individui, così da far risultare la crescita globale dei due gruppi
di 13,1 e 4,3 milioni (4).
Gli osservatori francesi hanno contribuito
con interessanti valutazioni sull’aspetto sociale della situazione
(5). Tradizionalmente, il termine “europeo” negli Stati Uniti era
utilizzato per definire la categoria dei bianchi anglosassoni provenienti
dalla Gran Bretagna, dall’Irlanda e dalla Scozia. Lo stesso gruppo
che la classe politicamente e socialmente dominante tendeva a definire
come la cultura e l’identità americana, mantenendo la nazione all’interno
di una struttura europea modificata. Oggi gli Stati Uniti si stanno
rapidamente evolvendo verso un modello di nazione post-europeo, etnicamente
caratterizzato da un mosaico di culture, a mano a mano che i suoi gruppi
di popolazione non europea non si adattano o non vogliono essere assorbiti
e assimilati dal melting pot statunitense e le cui comunità
tendono a rimanere isolate culturalmente.
Le masse non europee, in particolare
gli immigrati ispanici, suscitano serie discussioni nell’establishment
e l’idea di contrastare tale flusso migratorio sta guadagnando sempre
più consenso sia all’interno del Congresso che nella società civile.
Il controllo alla frontiera messicana, attraverso cui si riversa la
maggior parte del flusso migratorio, è effettuato con l’ausilio dell’esercito
e il numero di immigrati clandestini espulsi nel solo 2010 ha raggiunto
la straordinaria cifra di 400mila unità. Allo stesso tempo, nell’opinione
pubblica si sta sviluppando una tendenza contraria a offrire la piena
cittadinanza agli immigrati di discendenza non europea. Samuel Huntington,
lo stranoto e controverso autore de “Lo scontro delle civiltà e il
nuovo ordine mondiale”, ha stroncato le politiche dell’amministrazione
statunitense di multiculturalismo e di incoraggiamento all’immigrazione
nel suo saggio del 2004 intitolato “La sfida ispanica”, dove attribuiva
la responsabilità di tale atteggiamento alle elite politiche, finanziarie
e intellettuali dalle connotazioni cosmopolite e transnazionali e ha
prospettato, come risultati imminenti, la crescita di gruppi sociali
basati sull’identità della razza, dell’etnia e del genere sessuale
al di sopra di ogni identità nazionale, nonché l’espandersi di un
grande numero di immigrati dalle doppie nazionalità e dal biforcuto
senso di fedeltà (6).
Nell’America di oggi la nostalgia
per l’era WASP dell’uniformità culturale è un fenomeno
molto diffuso. L’impressionante successo del Tea Party, che
si è andato a infilare nella nicchia della politica neoconservatrice,
dimostra la sua importanza nell’intero quadro culturale USA e l’avvento
del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca non dovrebbe offuscarla.
A volte l’opposizione all’immigrazione
non europea negli USA assume forme davvero bizzarre, come quando il
magnate del business Donald Trump richiamò l’attenzione sulla legittimità
della cittadinanza americana di Barack Obama alla vigilia delle elezioni
del 2008, e talvolta questa avversione sfocia nella violenza. Al massimo
della sua virulenza, la violenza anti-immigrazione ha colpito anche
obiettivi istituzionali, come nel caso di Oklahoma City nel 1995, oppure
quando agli uffici governative furono recapitati pacchi con esplosivi
o batteri tossici negli anni ‘00.
È da tenere in conto che la tendenza
al cambiamento nell’equilibrio demografico si tradurrà, presto o
tardi, in una trasformazione della politica estera statunitense. L’opinione
condivisa è che Washington focalizzerà l’attenzione in maniera crescente
sull’America Latina, l’Asia e l’Africa, a discapito dell’Europa
(7). Infatti le regioni al di fuori dell’Europa occupano uno spazio
senza precedenti nella agenda estera di Obama, ma le previsioni per
le quali l’Europa è destinata a uscire dal centro della scena, vanno
prese con la dovuta cautela. Il rafforzamento sotto ogni punto di vista
della Cina, delle altre nazioni asiatiche del Pacifico e dell’America
Latina, accompagnato dal ritorno sulla scena internazionale della Russia,
fanno sembrare improbabile che gli USA riescano a mantenere il controllo
sui cambiamenti globali senza il costante ausilio dell’Europa e della
Nato.
La tendenza demografica statunitense
e il massiccio flusso di popolazioni non europee nel paese continueranno,
alimentando nuove opposizioni al multiculturalismo che si rifletterà
anche in maniera crescente sulla politica estera americana. Una domanda
pertinente è questa: riuscirà il sistema politico bipartitico USA
a integrare l’emergente maggioranza di popolazione non europea all’interno
della sua base elettorale o le dinamiche sociali condurranno alla nascita
di un terzo partito la cui politica estera sarà molto differente da
quella caratteristica degli Stati uniti del ventesimo secolo?
I sondaggi indicano che la “maggioranza
in divenire” è largamente scontenta di essere così scandalosamente
priva di rappresentanza nell’amministrazione USA. Al momento gli ispanici
sono solo il 4% tra i membri nell’USSES (US senior executive service).
La percentuale è destinata a raggiungere il 6,8% e a salire fino al
9,5%-12,5% fra il 2030 e il 2050, periodo in cui una quota fra il 23%
e il 30% dei lavoratori occupati sarà di etnia ispanica.
Importante è anche notare che
i recenti sviluppi in Europa, lo scoppio delle rivolte degli immigrati
in Gran Bretagna nel mese di agosto e la crescita dell’opposizione
al multiculturalismo, come nel caso del duplice attentato di Oslo, si
accompagnano al contesto della rivoluzione demografica negli USA.
Note:
1. U.S. Census Bureau, Cumulated
Estimates of the Components of Resident Population Change by Race and
Hispanic Origin for the United States: April 1, 2000 to July 1, 2009
(NC-EST2009-05), giugno 2010, http://www.census.gov.
2. Jim Cohen, Phillip S.Golub. Etats
Unis, vers une societe post-europeenne, Le Monde diplomatique, 5
luglio 2011.
3. Sabrina Tavernise, U.S. looking
more Hispanic and Asian and less white, The International Herald
Tribune, 1° settembre 2011.
4. Tavola 5. Componenti dei cambiamenti
di popolazione per razza e origini ispaniche. U.S. Census Bureau, ibidem.
5. Per ulteriori dettagli, vedi: Jean-Francois
Boyer. “Etats-Unis,
version ‘Latinos’”,
Le Monde diplomatique, dicembre 2005.
6. Samuel Huntington, “The Hispanic
Challenge”, Foreign Policy, marzo-aprile 2004.
7. Vedi nota 2.
8. Joe Davidson, Report: Latinos
in SES will be “vastly underrepresented” by 2030, The Washington
Post, 22 settembre 2011.
Fonte: US Demographic Revolution and Its Global Impact
04.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCO SCURCI